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Secondo il New York Times, il primo ad ammalarsi di Ebola( il cosiddetto paziente zero), sarebbe stato un bimbo di 2 anni, originario del piccolo villaggio di Guéckédou, nella Guinea sudorientale, maal confine tra Liberia, Sierra Leone, morto il 6 dicembre scorso, pochi giorni dopo aver contratto il virus.

Si pensa che il piccolo abbia contratto la malattia mangiando frutta contagiata dai pipistrelli.

I primi ad ammalarsi e morire sarebbero stati i familiari del bimbo: la madre, la sorellina di tre anni e la nonna.

Due partecipanti al funerale delle prime vittime avrebbero poi contribuito alla trasmissione del contagio ai loro rispettivi villaggi e da lì, attraverso i parenti stretti e alcuni operatori sanitari, ad altri centri.

Quando il virus è stato isolato per la prima volta, a marzo, decine di persone erano già decedute in otto diverse comunità della Guinea, e i casi sospetti erano già in crescita negli altri due Paesi confinanti.

Nel villaggio di Guéckédou “La sensazione predominante era di terrore – afferma Kalissa N’fansoumane, a capo del locale ospedale -. Ho dovuto persuadere gli impiegati a recarsi a lavoro”. 

Thomas R. Frieden, direttore dei Centers for disease control and prevention (Cdc) Usa ha detto che “La risposta iniziale è stata inadeguata, sia a livello locale che internazionale".

Secondo l’Oms l'ultimo bilancio parla di 1.013 decessi e di 1.848 casi censiti nei quattro paesi colpiti dal virus.

Le ultime 52 vittime sono state registrate tra il 7 e il 9 agosto insieme ad altri 69 nuovi casi di contagio.

Nessun nuovo caso in questi due giorni è stato riscontrato in Nigeria, dove il virus è stato portato da un viaggiatore liberiano che ha infettato altre dodici persone.

L’emergenza è tale che l'agenzia Onu si è decisa a dire sì all'utilizzo di farmaci ancora non testati sull'uomo.

A gelare le speranze però, oltre a diversi esperti, è la stessa azienda che produce il siero 'miracoloso' ZMapp, secondo cui le ultime dosi sono state ormai distribuite in Liberia.

L'agenzia per la sanita' pubblica canadese donera' un vaccino sperimentale contro l'Ebola in risposta alla crisi nell'Africa occidentale.

Le autorita' canadesi - riporta il Globe and Mail - stanno trattando con i partner internazionali per definire l'esatto numero di dosi.

Il Canada avrebbe 1.500 dosi del vaccino, che non e' ancora stato testato sulle persone e, secondo indiscrezioni, sarebbe pronto a inviarne all'estero 800-1.000 dosi.

Sono 145 al momento gli operatori sanitari infettati: più della metà di loro, 80, sono già morti.

Secondo gli epidemiologi dell’Oms, ci vorranno ancora molti mesi e, soprattutto, molte migliaia di operatori sanitari in più di quelli che attualmente operano nei Paesi africani, per riuscire a controllare l’epidemia.

Uno dei rischi nell’immediato è l’impennata parallela di malaria, dissenteria e altre patologie, a causa della debolezza dei sistemi sanitari dei Paesi colpiti, le cui risorse, già carenti, sono in queste settimane drenate dal tentativo di far fronte all’epidemia di Ebola.

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Che serve viene da chiedersi vivere nel paese con una propria produzione ( made in Italy) con livelli di sicurezza da record e con un numero di prodotti agroalimentari con residui chimici che sono risultati peraltro inferiori di nove volte a quelli della media europea e addirittura di 32 volte a quelli extracomunitari (dati sulla base delle elaborazioni Coldiretti sulle analisi condotte dall'Efsa) se poi mangiamo prodotti inquinati provenienti dal resto del mondo ed usati in Italia per altre preparazioni senza saperlo? .

Parliamo dei 273.800 chili peperoncino proveniente dal Vietnam con il 61,5 per cento dei campioni risultati irregolari per la presenza di residui chimici ed utilizzato nella preparazione di sughi tipici come l’arrabbiata, la diavola o la puttanesca piccante e per insaporire l’olio o per condire piatti senza alcuna informazione per i consumatori. Nella maggioranza del peperoncino dal Vietnam esaminato è stato trovata la presenza in eccesso di difenoconazolo, ma anche di hexaconazolo e carbendazim che sono vietati in Italia sul peperoncino.

Parliamo di 1,6 milioni di chili di lenticchie dalla Turchia che, secondo l’Efsa, sono irregolari in un caso su quattro (24,3 per cento) per residui chimici in eccesso.

Senza dimenticare , noi, paese degli agrumi, le arance dall’Uruguay che presentano il 19 per cento dei campioni al di sopra dei limiti di legge per la presenza di pesticidi come imazalil ma anche di fenthion, e ortofenilfenolo vietati in Italia.

E che dire delle melagrane dalla Turchia (40,5 per cento di irregolarità),

dei fichi dal Brasile (30,4 per cento di irregolarità) ,

dell’ananas dal Ghana (15,6 per cento di irregolarità),

delle foglie di the dalla Cina (15,1 per cento di irregolarità) le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1.100 per cento,

del riso dall’India (12,9 per cento di irregolarità) che con un quantitativo record di 38,5 milioni di chili nel 2013 è il prodotto a rischio più importato in Italia,

dei fagioli dal Kenia (10,8 per cento di irregolarità)

dei cachi da Israele (10,7 per cento di irregolarità).

Il maggiore pericolo lo affrontano coloro che hanno una ridotta capacità di spesa a causa della crisi e sono costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo dietro i quali spesso si nascondono infatti ricette modificate, l’uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi.

Il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ha dicharato che “In questo contesto è importante la decisione annunciata dal Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, di accogliere la nostra richiesta di togliere il segreto e di rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri per poi magari parlare di Made in Italy nelle pubblicità”.

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Canon Beach. Oregon. Una storia di quotidiana follia. È la storia di Jessica Smith, 40 anni.( nella foto piccola)

L’ex marito Greg Smith la aveva lasciata.

Il tribunale aveva disposto la consegna all’ex marito delle due figlie, Isabella di 2 anni ed Alana di 13 anni (vedi foto).

Jessica avrebbe dovuto consegnare le figlie quel giorno

Ma Jessica scappa e si nasconde nel Surfsand Resort a Cannon Beach.

Poi una mattina un addetto alle pulizie scopre le due figlie in una stanza del terzo piano al Surfsand Resort

Per Isabella non c’è nulla da fare , era già morta.

Sul corpo di Isabella nessun segno di abuso fisico, nessuna lesione apparente.

Dall'autopsia è emerso che la bimba è annegata, e dal rapporto tossicologico è risultato che ha contribuito, alla sua morte, una dose elevata di clorfenamina, un sedativo.

L’altra aveva i polsi e la gola tagliata.

Alana viene sottoposta ad intervento chirurgico presso l’ospedale Doernbecher di Portland e si salva.

La madre Jessica non c’era, era fuggita

Scattano le ricerche e Jessica viene trovata nella sua auto su una strada forestale in prossimità della Highway 26 .

L’ex marito Greg Smith aveva chiesto al giudice una valutazione mentale per l’ex moglie Jessica Smith dopo aver ricevuto strani messaggi dalla sua ex moglie.

Catturata e portata in Tribunale Jessica rideva, come se non fosse successo nulla

Anzi davanti ai giudici in videoconferenza dal carcere Jessica ha dispensato sorrisi e strizzatine d'occhio.

La verità da Alana che appena ripresasi ha raccontato che era stata la madre la quale prima aveva annegato sua sorella e poi aveva utilizzato su di lei un agente paralizzante e le aveva inferto ferite con una lametta

L'avvocato della donna ha dichiarato la sua assistita non colpevole e ha chiesto una perizia psichiatrica.

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