
Parla il Nobel Paul Krugman sul New York Times ed attacca il luogo comune che identifica nei PIIGS (acronimo di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) i colpevoli, perché la realtà è ben diversa.
Il paese che più di tutti non ha rispettato le regole è la Germania – con prezzi e costo del lavoro fortemente disallineati rispetto all'obiettivo di inflazione - ma la responsabilità maggiore è dei politici dei paesi periferici, che ancora oggi fanno finta di non capire.
“L’economia USA sembra finalmente emergere dal buco in cui si era cacciata durante la crisi finanziaria globale. Sfortunatamente, non possiamo dire lo stesso dell’Europa – l’altro epicentro della crisi. La disoccupazione nell’eurozona è ferma a circa il doppio di quanto si registra negli USA, mentre l’inflazione è ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale, e la deflazione è ormai diventata un rischio incombente”.
Continua Krugman .” Gli investitori se ne sono accorti: i tassi di interesse europei sono sprofondati, con i bond tedeschi a lunga scadenza che rendono appena lo 0,7%. Questi tassi sono quelli che siamo abituati ad associare alla deflazione giapponese, e i mercati stanno infatti segnalando che si aspettano un “decennio perduto” anche in Europa”
Da allora la domanda: “. Perché l’Europa si trova in condizioni così disastrose? Il luogo comune dei politici europei è che stiamo pagando il prezzo dell’irresponsabilità: alcuni governi non hanno agito con la prudenza che sarebbe richiesta dalla moneta comune, scegliendo invece di assecondare degli elettori disinformati e seguire delle dottrine economiche fallimentari.”
Ed ecco la risposta di Krugman : “ E se chiedete a me (e a molti altri economisti che hanno studiato a fondo la questione), l’analisi è essenzialmente corretta, eccetto che per un dettaglio: hanno sbagliato l'identità dei "cattivi".
Sì, perché gli errori che stanno all’origine del lento disastro europeo, non vengono dalla Grecia, dall’Italia o dalla Francia. Vengono dalla Germania.
Non sto negando che il governo greco abbia agito irresponsabilmente prima della crisi, o che l’Italia non abbia un grosso problema di produttività stagnante. Ma la Grecia è solo un piccolo paese il cui disordine fiscale è unico, mentre i problemi di lungo periodo dell’Italia non sono la fonte della deriva deflazionistica europea. Se proviamo a identificare quali sono i paesi le cui politiche erano pesantemente disallineate prima della crisi e che hanno danneggiato l’Europa da quando la crisi è scoppiata, e che rifiutano di imparare dall’esperienza, tutto indica che la Germania è stato il principale colpevole.
Consideriamo, in particolare, il paragone tra Germania e Francia.
La Francia viene spesso attaccata dalla stampa, in particolare sulla sua presunta perdita di competitività. Questi discorsi esagerano decisamente la realtà; non viene mai detto, dalla maggior parte dei media, che la Francia ha solo un piccolo deficit commerciale. E in ogni caso, anche se fosse un problema, da dove deriva? La competitività della Francia è stata erosa da una crescita eccessiva di costi e prezzi?
Assolutamente no. Da quando l’euro è stato introdotto nel 1999, il deflatore del PIL francese (il prezzo medio dei beni e servizi prodotti in Francia) è aumentato dell’1,7% all’anno, mentre il suo costo del lavoro unitario è aumentato dell’1,9% annuo. Entrambi i numeri sono perfettamente in linea con l’obiettivo della Banca Centrale Europea di un’inflazione appena al di sotto del 2%, e sono simili a quelli degli Stati Uniti. La Germania, invece, è decisamente disallineata, con una crescita di prezzi e costo del lavoro dell’1% e 0,5% rispettivamente.
E non è solo la Francia ad avere costi in linea con quanto dovrebbe. La Spagna ha visto salire i propri costi e prezzi durante la bolla immobiliare, ma ormai tutti gli eccessi sono stati eliminati da anni di disoccupazione devastante e pressione al ribasso sui salari. La crescita dei prezzi italiani è stata forse un pochino alta, ma non è neanche lontanamente disallineata quanto quella tedesca.
In altre parole, se esiste un problema di competitività interno all’Europa, esso è in massima parte causato dalle politiche “beggar-thy-neighbor” (letteralmente: “frega il tuo vicino” ndVdE) della Germania, che sta di fatto esportando deflazione nei paesi vicini.
E come la mettiamo col debito? Non è forse vero che i paesi europei – tranne la Germania – stanno pagando il prezzo della loro passata irresponsabilità fiscale? In realtà, questa storia regge per la Grecia e per nessun altro. E in particolar modo non funziona per la Francia, che non sta affrontando alcuna crisi fiscale; la Francia può attualmente prendere in prestito denaro a lunga scadenza pagando tassi al minimo storico, sotto l’1%, appena al di sopra del tasso tedesco.
Nonostante ciò i politici europei sembrano determinati a dare la colpa della loro situazione ai paesi sbagliati e alle politiche sbagliate. Certo, la Commissione Europea ha approntato un piano per stimolare l’economia con investimenti pubblici – ma il denaro pubblico impegnato è così poco in confronto al problema che deve risolvere che il piano stesso è praticamente uno scherzo. E nel frattempo, la Commissione sta ammonendo la Francia, che sta pagando tassi al minimo storico, che potrebbe incorrere in sanzioni per non aver tagliato abbastanza il suo deficit.
Perché invece non risolvere il problema dell’inflazione troppo bassa in Germania? Una politica monetaria estremamente aggressiva potrebbe farcela (anche se io non ci conterei), ma le autorità monetarie tedesche stanno mettendo in guardia da una mossa del genere, perché potrebbe allentare la pressione sui paesi debitori.
Quello a cui assistiamo, quindi, è l’immenso potere distruttivo delle cattive idee. Non è tutta colpa della Germania – la Germania è un attore importante a livello europeo, ma è in grado di imporre le politiche deflazionistiche solo perché la maggior parte delle élite europee dà credito alla stessa falsa storiella. E c'è da chiedersi cos'è che farà irrompere in scena la realtà. di Paul Krugman (Traduzione di Malachia Paperoga)
ABBASSO LA GERMANIA!
6 dicembre 2014 : Ucraina: il dramma dei malati di mente di Lugansk
Stanno lottando per la sopravvivenza, contro il freddo, l’indigenza e l’abbandono, i 350 pazienti dell’ospedale psichiatrico di Lugansk, nell’Est dell’Ucraina. La struttura sanitaria è proprio nel mezzo del tiro incrociato dell’esercito di Kiev e dei ribelli filo-russi, che combattono per il controllo della zona, a una trentina di chilometri dal centro abitato. Il direttore dell’ospedale è rimasto ucciso nel corso di uno degli innumerevoli bombardamenti e ora, dopo la sua scomparsa, manca chi possa minimamente coordinare le attività mediche e soddisfare i bisogni dei malati, dai cibo alle medicine.
6 dicembre 2014 : Bergamo, il caso presepe: "La scuola non dev'essere cristiana"
Ha fatto discutere in questi giorni la decisione di non allestire il presepe in una delle classi della scuola elementare Edmondo De Amicis a Bergamo. Tanto da spingere Matteo Salvini a portarne uno fuori dall'istituto. Immediata la reazione del sindaco, del preside e del parroco del quartiere. "La scuola non dev'essere cristiana, ma deve formare pensieri autonomi attraverso la condivisione. La cosa peggiore che può accadere è strumentalizzare il Natale ed i ragazzi".
7 dicembre 2014 : Boston: nudi e di corsa, per un Natale solidale
Le rigide temperature invernali non hanno scoraggiato i più di 300 "Babbi Natale" che hanno deciso di partecipare alla Speedo Santa Run di Boston. Giunta alla sua 15esima edizione, la corsa ha una caratteristica imprescindibile: i corridori devono essere il meno coperti possibile e in tanti arrivano ad indossare solo indumenti intimi, oltre al cappello di Babbo Natale. Il percorso della gara si estende nella Boston's Back Bay e l'evento raccoglie fondi per i programmi sportivi delle scuole medie della città
7 dicembre 2014 : Filippine: un milione di sfollati per ciclone, 4 le vittime
Il tifone Hagupit che ha colpitole Filippine nell'isola di Samar, sulla costa orientale, ha causato almeno 4 morti e un milione di sfollati. Le raffiche di vento hanno raggiunto i 210 chilometri orari, causando black out elettrici, sradicamenti di alberi e gravi danni alle abitazioni e all'agricoltura. Sono state colpite aree che fanno ancora fatica a riprendersi dalla distruzione causata da Haiyan, il super tifone che un anno fa devastò la regione centrale dell'arcipelago, uccidendo più di 6.300 persone e costringendo 4 milioni di persone a lasciare le loro case
7 dicembre 2014 : Sarti: "Discutere proprietà simbolo non è un tabù"
L'onorevole Giulia Sarti, a margine della Convention del M5s a Parma, parla delle regole del Movimento e introduce anche il discorso sul simbolo e la sua proprietà, oggi appartenente a Beppe Grillo. "Discuterla non è un tabù". E sul nuovo direttorio: "E' un cambiamento di passo.'' Per Sarti il significato della giornata sta nel "non chiudersi: bisogna trovare metodi nuovi, serve aprirsi di più. Dobbiamo arrivare a chi non vota più, a chi pensa che da noi comandano due capi e che non abbiamo ancora fatto niente".
Vi proponiamo un importante articolo che difficilmente udirete sui nostri TG:
“Draghi ha ragione: euro significa un unico governo e un superstato europeo, e fingere il contrario è intellettualmente infantile.
La Banca Centrale Europea si trova ad affrontare una vera e propria crisi di leadership. L'autorità di Mario Draghi sta venendo meno, con importanti implicazioni per i mercati finanziari e il destino a lungo termine dell'unione monetaria.
Sia Die Zeit che Die Welt hanno riportato che tre membri su sei del comitato esecutivo della BCE si sono rifiutati di firmare le ultime dichiarazioni di Draghi, un ammutinamento senza precedenti nel sancta sanctorum che decide la politica economica della BCE.
I dissidenti sono la tedesca Sabine Lautenschläger, il lussemburghese Yves Mersch e, fatto più sorprendente, il francese Benoît Coeuré, un segnale che Parigi spera ancora di evitare una rottura delle relazioni con Berlino sulla gestione dell'UEM.
La realtà è che ben sei mesi dopo che Draghi ha parlato per la prima volta liberamente di un blitz da € 1000 miliardi per scongiurare i rischi di deflazione, di concreto non è accaduto quasi nulla. Il bilancio della BCE si è ridotto di oltre € 100 miliardi.
Le sue parole hanno portato a un euro più debole, ma questo non è uno stimolo monetario. Non compensa il ritiro di 85 miliardi di dollari di acquisti netti di obbligazioni da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti per l'economia globale nel suo complesso. E' una dinamica a somma zero.
Lo scontro arriva in un momento delicato in cui la stampa italiana riporta che Draghi potrebbe presto tornare a casa per assumere la presidenza italiana, con l'89-enne Giorgio Napolitano che si prepara a dimettersi. Un esito di questo genere è improbabile. Eppure non c'è dubbio che Draghi abbia pressanti motivi familiari per tornare a Roma, oltre al fatto che ormai riesce a nascondere a malapena la sua irritazione verso Francoforte.
Questo articolo incendiario sulla ARD Tagesschau dà l'idea di quel che si dice in Germania. Giustamente o meno, Draghi è accusato di perdere le staffe, di non voler ascoltare le obiezioni, di tagliar fuori il capo della Bundesbank Jens Weidmann e di ritirarsi in un "gabinetto ristretto".
L'ultima disputa riguardava un cambiamento nel testo della dichiarazione della BCE sul suo bilancio. Anche se sembra una questione semantica e banale - se l'aumento di € 1000 miliardi fosse "previsto" o "programmato" - lo scontro che ci sta dietro è serio. I falchi non si lasceranno trascinare in un vero e proprio quantitative easing prima di essere pronti. Stanno palesemente giocando contro il tempo, continuando a sperare che il Rubicone non sarà mai attraversato.
Mrs. Lautenschläger ha generato un certo scalpore lo scorso fine settimana contravvenendo alla regola del silenzio che precede i meeting, per dire che la guardia sul QE resta ancora molto alta. Ha criticato l'"attivismo" per il gusto di fare e ha avvertito che a questo punto il QE farebbe più male che bene: gli acquisti di titoli di Stato equivalgono a dei trasferimenti fiscali e creano un "serio problema di incentivi".
Lei è naturalmente sostenuta da Jens Weidmann della Bundesbank, il quale stamattina ha detto che la politica monetaria è troppo allentata per le esigenze della Germania - anche se la Bundesbank dimezza le sue previsioni di crescita economica della Germania per il prossimo anno all'1pc, e anche se la quota delle merci tedesche in deflazione dei prezzi raggiunge il 31.2pc. Weidmann sostiene che il crollo dei prezzi del petrolio è un "mini-stimolo", e sembra implicare che questo riduce quindi la necessità del QE.
I tedeschi sospettano che Draghi stia cercando di puntare sul QE sovrano in modo che ci possa essere un prestatore di ultima istanza per le obbligazioni del Club Med il prossimo anno, quando le banche venderanno le loro partecipazioni a seguito del rimborso dei prestiti della BCE (LTRO).
Da quando Draghi ha lanciato il suo primo carry trade da 1000 miliardi di € tre anni fa, gli istituti di credito italiani hanno raddoppiato il loro portafoglio di titoli di Stato italiani (BTP) a circa € 400 miliardi. Mediobanca si aspetta che il portafoglio scenderà a € 100 miliardi nel 2015. Chi acquisterà questo diluvio di offerta sul mercato, e a quale prezzo?
Draghi ha reso chiaro che in caso di necessità la BCE può ignorare il voto contrario della Germania sugli acquisti di obbligazioni. "Non abbiamo bisogno di avere l'unanimità", ha detto, anche se difficilmente avrebbe potuto rispondere diversamente se interrogato espressamente sul punto. Si può immaginare lo scandalo se avesse suggerito, invece, che la Germania ha un diritto di veto.
Ma è difficile capire come possa andare avanti una BCE profondamente divisa – come ha fatto di recente la Banca del Giappone con una stretta maggioranza di 5: 4 voti a favore della Abenomics II - su una questione di così grande portata politica e giuridica come un pieno QE. (Un QE minimale è un altro discorso, ma non farebbe alcuna differenza).
Come ho scritto ieri sera, un'azione del genere sarebbe una bella fonte di reclutamento per il partito tedesco anti-euro AFD e metterebbe in pericolo il consenso popolare e politico tedesco per l'unione monetaria. La Verfassungsgerichtshof ha già dichiarato che il precedente piano di sostegno per l'Italia e la Spagna (OMT) "vìola manifestamente" i Trattati ed è probabilmente Ultra Vires. Questo problema non è ancora risolto alla Corte europea.
I professori euroscettici tedeschi stanno già preparando una nuova causa contro il QE, sostenendo che esso fa ricadere grandi responsabilità sui contribuenti tedeschi, è politica fiscale de facto, e vìola la sovranità di bilancio del Bundestag. Sentenze precedenti da parte del Verfassungsgerichtshof suggeriscono che molti dei giudici potrebbero essere d'accordo. Né è chiaro se la Bundesbank potrebbe partecipare al QE una volta che venisse presentata una denuncia del genere, questione che non riceve quasi nessuna attenzione da parte dei mercati.
Sia chiaro, io non critico Mario Draghi. Ha fatto miracoli, dati i vincoli della politica. La sua gestione della BCE è stata niente meno che eroica. Concordo pienamente con la logica - anche se non l'obiettivo - del suo grido d'allarme in Finlandia di una settimana fa. Il successo finale dell'UEM, ha detto, "dipende dal riconoscimento che la condivisione di una moneta unica è un'unione politica, e quindi dal saperne trarre le conseguenze".
Oppure, per dirla in un altro modo, una volta che avete lanciato una unione monetaria, avete automaticamente lanciato anche un'unione politica. Questo è ciò che significa l'UEM. L'euro significa un unico governo e un superstato europeo, e implicitamente l'abolizione della Germania come stato indipendente pienamente sovrano. Fingere che non sia così è intellettualmente infantile. Resistere a questa verità – e continuare comunque a procedere ostinatamente con l'UEM - condanna l'Europa a delle crisi ricorrenti e a una depressione permanente.
Su questo Draghi ha perfettamente ragione, ed è questo il motivo per cui quelli di noi che eravamo euroscettici a Maastricht - e ho scritto io l'editoriale del Daily Telegraph la notte dell'infame Trattato, esattamente 23 anni fa – si sono sempre opposti all'UEM con inflessibile determinazione, e hanno grande simpatia per quei tedeschi che vogliono tirarsi fuori dall'UEM per salvare il proprio stato sovrano, prima che sia troppo tardi.
Altrettanto ha ragione Weidmann a pensare - come pare che faccia - che la carica a testa bassa verso la mutualizzazione del debito e l'unione fiscale di fatto realizzata con mezzi monetari sia una minaccia mortale per la democrazia tedesca e per lo stato di diritto.
La posta in gioco è molto alta. Una prova di forza arriverà sicuramente nei prossimi mesi, in un modo o nell'altro.
di Ambrose Evans Pritchard, 5 Dicembre 2014