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3 anni di asilo nido

5 anni di scuola elementare

3anni di scuola media inferiore

5 anni di scuola media superiore

5 anni di università

21 anni per esercitare l’attività di avvocato?

Macchè ! Per esempio si legge che “Al fine di assicurare un’adeguata preparazione ai giovani tirocinanti, possono essere ammessi a svolgere la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato”. Come dire che la laurea non assicura una adeguata preparazione.

E non solo ma occorre superare l’esame di abilitazione.

Anzi si legge nei regolamenti per lo svolgimento delle pratiche forensi che “ Chiunque voglia avviarsi alla professione forense deve aver svolto un periodo di pratica professionale della durata stabilita dalla legge, frequentando uno studio legale e partecipando alle udienze giudiziali, il che è anche condizionenecessaria per l’ammissione all’esame di abilitazione”.

Facile allora che si cerchino scorciatoie come quella di conseguire il titolo di “Abogados" in Spagna o di “ Avocat" in Romania e poi di iscriversi negli elenchi italiani

Ma l’Italia frappone difficoltà. Ed allora ecco la pronuncia delle Corte di Giustizia Europea.

“Professione forense in Italia made in  Spagna e  Romania. Per la Corte di Giustizia UE non è abuso del diritto acquisire il titolo di legale dove è più facile. L’Italia non può creare pregiudizio alla professione dei suoi cittadini che hanno ottenuto la qualifica all’estero. La prassi di rifiuto compromette funzionamento e obiettivi della direttiva europea.

Per qualcuno di  fatto una scorciatoia che elude l’esame di abilitazione nazionale che non si riesce a superare mentre per altri è un diritto di ciascun cittadino europeo. Alla fine Lussemburgo si schiera con gli Abogados "spagnoli" e Avocat "rumeni". Per l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Nils Wah non costituisce un abuso del diritto la condotta dei cittadini italiani che scelgono di acquisire il titolo di avvocato di un altro Stato membro, come ad esempio la Spagna, per beneficiare di una normativa più favorevole. Di più: la prassi italiana di rifiutare ai propri cittadini che abbiano conseguito il titolo in un altro Paese comunitario l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo prevista per gli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero pregiudica il corretto funzionamento della direttiva Ue e compromette i suoi obiettivi. Queste le conclusioni del “procuratore” Ue nelle cause riunite C-58/13 e C‑59/13 che contrappone due abogados a un Consiglio dell’Ordine forense delle Marche. Bisognerà tuttavia aspettare la sentenza dei giudici comunitari, comunque. Secondo l’avvocato generale Wahl, affinché si configuri un abuso, si richiede il concorso di circostanze oggettive e di un elemento soggettivo (la volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento). Spetta comunque al giudice nazionale accertare l’esistenza dei due elementi conformemente in base alla normativa interna, a condizione che l’efficacia del diritto dell’Unione non ne risulti compromessa. La direttiva non consente che l’iscrizione di un avvocato nello Stato Ue ospitante possa essere subordinata a ulteriori condizioni, come ad esempio un colloquio inteso ad accertare la padronanza della lingua o lo svolgimento di un determinato periodo di pratica o di attività come avvocato nello Stato membro di origine. Se non è richiesta alcuna precedente esperienza per esercitare, ad esempio, come «abogado» in Spagna, non vi è ragione di richiedere una tale esperienza per esercitare con il medesimo titolo professionale («abogado») in un altro Paese comunitario. Insomma: non può essere attribuita alcuna importanza al fatto che l’avvocato intenda approfittare di una normativa estera più favorevole o che egli presenti la domanda di iscrizione all’albo poco dopo aver ottenuto il titolo professionale all’estero. Non resta ora che aspettare il verdetto dei giudici di Lussemburgo. Per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei diritti”,  il fenomeno da ora in poi sarà in crescita. Saranno centinaia infatti i cittadini italiani che ogni anno si recheranno all’estero per accedere alla professione forense soprattutto per chi butta la spugna già al secondo tentativo e sceglie la via facile dell’abilitazione professionale all’estero, dove non c’è alcun esame. All’origine di tutto una normativa europea con la quale si fornisce la possibilità agli avvocati iscritti negli altri ordini europei di esercitare la professione forense anche in altri paesi della comunità al termine di un triennio. Attualmente gli Ordini forensi che contano il maggior numero di avvocati “stabiliti” di nazionalità italiana, iscritti nell’elenco speciale, sono Roma (1058), Milano (314), Latina (129) Foggia (126). Un fenomeno anche che nasconde abusi “commerciali”, pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole, da parte di agenzie, società, associazioni che millantano risultati immediati con messaggi ingannevoli tipo “diventa avvocato senza fare l’esame”, magari ad alti costi. Anche su internet esistono diversi siti che pubblicizzano la possibilità di diventare avvocato iscrivendosi all’ordine di questo o quel paese europeo, convertendo poi facilmente il titolo in Italia ad alti costi economici. Addirittura sono nate molteplici associazioni e/o scuole volte unicamente ad assistere il candidato nell’iter volto a ottenere il titolo abilitativo all’estero: insomma, come con i tour operator, si vende un vero e proprio “pacchetto professionale” per chi decide di intraprendere questa strada. ( Giovanni D'Agata).

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Riceviamo e pubblichiamo:

Più di 300.000 marinai, soldati ed aviatori delle forze Alleate, ragazzi venuti per affermare i valori della libertà e della democrazia, persero la vita nel nostro Paese durante la Campagna d'Italia,condotta dagli Alleati durante la seconda guerra mondiale, dal giugno 1943 al maggio 1945. L’invasione della Sicilia e poi dell’Italia meridionale, gli sbarchi a Salerno, a Termoli, sulla costa tirrenica tra Minori e Paestum, e infine ad Anzio portarono sul suolo italiano centinaia di migliaia di soldati americani, inglesi, neozelandesi, indiani, sudafricani, canadesi, polacchi, francesi, greci. Ed è grazie a loro se il nostro paese è tornato libero e in Europa è stata ristabilita la pace.

Ma c’è anche un altro modo di leggere la storia, quello che già era venuto fuori da “La ciociara” un film del 1960 diretto da Vittorio De Sica, tratto dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia,e interpretato da Sophia Loren; quello che viene fuori oggi dal libro del giornalista e saggista Gigi Di Fiore, "Controstoria della Liberazione. Le stragi e i crimini dimenticati degli alleati nell'Italia del Sud”, edito da Rizzoli nel 2012. Cominciano in Sicilia le violenze e i soprusi commessi dagli Alleati in Italia durante la difficile risalita della penisola: esecuzioni sbrigative di soldati italiani che si arrendono, bombardamenti non sempre necessari, che distruggono case e ammazzano civili,fino agli stupri di massa in Ciociaria, dove i marocchini del contingente francese comandato dal generale Alphonse Juin ebbero in premio tre giorni di impunità per il coraggio dimostrato nello sfondare la linea Gustav: in quei tre giorni saccheggiarono case e stuprarono donne, uomini e ragazzi. Viene svelato così il volto poco dignitoso degli Alleati salvatori.

Quelle che il popolo volgarmente chiamò "Marocchinate", la brutalità e la tragedia che le donne e non solo, della provincia di Frosinone, la Ciociaria appunto, dovettero subire durante la seconda guerra mondiale, è una parte di storia che non può e non deve essere dimenticata.

Tra le truppe francesi presenti sul territorio italiano c’erano molti marocchini, algerini, tunisini e senegalesi; il generale Juin, comandate della 2^ divisione di fanteria, composta dalle truppe nordafricane, alla vigilia dell'attacco sul fronte del Garigliano, fece loro una promessa "Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c'è una terra ricca di donne, di vino e di case. Se voi riuscirete a passare senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette che tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per 50 ore". Ai soldati marocchini, cioè, il loro generale avrebbe concesso il diritto di preda. Quello che accadde dopo rimane una delle pagine più nere della seconda guerra mondiale, una violenza brutale perpetrata da parte di chi diceva di essere venuto per liberare.

Con l'avanzare degli Alleati lungo la penisola, altri eventi di questo tipo si registrarono nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale. Numerosi uomini che tentarono di difendere le proprie donne furono a loro volta uccisi o violentati. Il parroco di Esperia, cittadina in provincia di Frosinone, insignita della medaglia d’oro al merito civile per il suo spirito di sacrificio, cercò invano di salvare tre donne dalle violenze dei soldati: fu legato e sodomizzato tutta la notte e morì due giorni dopo.

La sensibilità e la tenacia di Maria Maddalena Rossi , deputata PCI e presidente dell’UDI, fece sì che nel 1952 l'argomento, evidentemente scomodo all'epoca e controverso, venisse portato all'attenzione del parlamento, e di conseguenza si cominciò a prenderne coscienza. Migliaia furono i casi denunciati di violenza subita, e, anche se si ritiene improbabile il numero di 60.000 domande di risarcimento, è pur vero che molte donne violentate evitarono di denunciarlo perché si vergognavano; molte, pur avendo subito violenza senza poter far nulla, si sentivano in colpa, quasi complici. A seguito delle violenze sessuali molte di loro contrassero anche malattie veneree, e solo con la penicillina americana si poté evitare l’epidemia.

L'episodio delle "marocchinate" è una delle tante storie poco conosciute che riguardano il sud, e prova come le donne nelle guerre sono sempre l’elemento più debole, esposte a violenze provenienti da ogni parte, dai nemici come dagli amici. Le protagoniste di questa brutta vicenda, per motivi anagrafici, sono quasi tutte scomparse, pertanto resta a noi il dovere di ricordare e fare in modo che questa pagina triste della nostra storia non venga dimenticata. Conservare la memoria è l’unico mezzo che abbiamo per rendere loro giustizia: per questo vorremmo vedere in tutti i comuni della Ciociaria, dove si sono verificati gli abusi, uno spazio con una intitolazione collettiva alle “Donne vittime di tutte le guerre”. di Franco Gaudio e Livia Capasso                  

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Riceviamo e pubblichiamo

La direzione nazionale approva le liste per le elezioni del 25 maggio. La terza preferenza dovrà andare per forza a una donna, pena la nullità del voto. Sfuma la possibilità di inserire una rappresentante dei Gd. Pina Picierno capolista

Una giornata di riunioni e lunghe trattative. Alla fine il dado è tratto: saranno tre i candidati calabresi nella lista del Pd – votata dalla direzione nazionale – alle prossime Europee. Ai parlamentari uscenti Pino Arlacchi (eletto nel 2009 nelle liste di Italia dei valori) e Mario Pirillo (vicino a Beppe Fioroni), si aggiunge il consigliere regionale Mario Maiolo. Lettiano, ma all'ultimo congresso schierato con i renziani, Maiolo è stato espressamente indicato al duo Renzi-Guerini dall'area politica vicina al segretario regionale Ernesto Magorno. Non ci sarà nessuna presenza femminile. In compenso la lista del Pd nella circoscrizione meridionale sarà guidata da Pina Picierno, deputata casertana e responsabile Legalità del partito. È sfumata la possibilità – ventilata nelle ultime ore – di inserire una rappresentante dei Giovani democratici.
Ufficializzati i nomi, adesso viene il difficile perché per conquistare un seggio nel Parlamento di Bruxelles sarà necessario non solo fare il pieno in Calabria ma anche trovare gli accordi giusti con i candidati “forti” - vedi Emiliano, Pittella (sulla concessione della deroga si attende ancora la decisione dei garanti), Cozzolino e Picierno – delle altre regioni. Alle Europee, come è noto, è possibile esprimere fino a un massimo di tre preferenze ma con una particolare attenzione alle presenze femminili.
Proprio stamattina, infatti, è arrivato il sì definitivo dell'Aula della Camera al disegno di legge sulle elezioni europee, che contiene fra l’altro il meccanismo delle quote rosa. Il testo è stato approvato a Montecitorio con 338 sì, 104 no e 29 astenuti (i deputati della Lega). Il ddl introduce le quote rosa nelle elezioni europee a partire dal 2019, con una misura transitoria per le elezioni di maggio 2014. Stabilisce che «nelle prime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia successive alla data di entrata in vigore della presente legge nel caso di tre preferenze espresse» queste «devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della terza preferenza». Per le elezioni successive, dunque a partire dal 2019, si stabilisce che «all’atto della presentazione, in ciascuna lista i candidati dello stesso sesso non possono eccedere la metà, con arrotondamento all'unità. Nell’ordine di lista, i primi due candidati devono essere di sesso diverso».
Il primo parlare dopo l'ufficializzazione della candidatura è stato Arlacchi: «Spero che gli elettori calabresi valutino quello che ho fatto per il porto di Gioia Tauro, l'impegno per la valorizzazione del patrimonio archeologico della Calabria insieme al mio lavoro per rendere i fondi europei accessibili ai Comuni, bypassando la burocrazia regionale». Antonio Ricchio da il Corriere della calabria

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