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Pubblicato il primo video dei colloqui tra il capo di Cosa Nostra e il boss pugliese
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo - 21 gennaio 2014 Palermo.

Fa un certo effetto vedere il primo video dei dialoghi tra Totò Riina e Alberto Lorusso pubblicato questo pomeriggio sul sito di Repubblica. Quelle condanne a morte lanciate dal capo di Cosa Nostra acquistano quindi le voci e i volti di chi le pronuncia. Seppur in lontananza restituiscono plasticamente il quadro che si era delineato leggendo la trascrizione di quei dialoghi. “Vedi – dice Riina a Lorusso riferendosi a Nino Di Matteo –, si mette là davanti, il presidente, si mette là davanti si presenta per… tutto… guarda così, guarda, mi guarda guarda con gli occhi puntati così e io pure… a me non mi intimorisce, a me paura…”. E Lorusso gli replica: “E’ lui che è intimorito con la cacarella e ci fanno tutte queste cose, queste strumentalizzazioni, questo è questo, questo è, ma secondo me questi vogliono anche mantenere viva la lotta alla mafia sempre viva la situazione e allora ci bombardano di queste notizie, di questi pericoli, di ‘ste cose ci fanno questo bombardamento”.

A quel punto nel video si sente la vera e propria condanna a morte del boss di Corleone nei confronti del pm Di Matteo: “Ed allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e dico e non ne parliamo più”. Dal canto suo Alberto Lorusso risponde affermativamente con la testa. Riina insiste: “Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare… gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile… ad ucciderlo… un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo partivamo la mattina da Palermo a Mazara, c’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo”. “Ecco perché incominciamo da Di Matteo – prosegue l’anziano boss – , perché in questi giorni Di Matteo, Di Matteo perché Di Matteo tutte, tutte, tutte le cosa le impupa lui. Perché… perché lui pensa ma se questo è Riina ma questo è così freddoso, così terrificante, ma così malvagio… questo, ci macina a tutti e ci mette a tutti sotto i piedi, a tutti… minchia”. Il video termina con ulteriori “insegnamenti” di Riina verso il suo interlocutore. “Le insegno un segreto siciliano: ‘chi il dito bene si attaccò lo ha sempre sano’”. Per poi addentrarsi nel suo ragionamento: “Quindi, quindi, voialtri avete sbattuto la testa quando eravate bambini, perciò che volete da me. A me mi hanno condannato, però mi hanno condannato così. Veramente la vita è una ruota, no? Perché si può essere poveri e si può diventare benestanti, e potere stare bene, io ho iniziato da zero e mi sono trovato poi sollevato”. Fine del film.

Le prossime puntate

Restano inevitabilmente ancora altre “puntate” che verranno divulgate prossimamente in questa spasmodica ricerca delle immagini del boss. In questo modo potremo ascoltare dalla sua stessa voce la domanda di Riina a Lorusso (captata lo scorso 6 agosto) su cosa dicevano i telegiornali in merito a quel "buffone" di Berlusconi. Il boss della Sacra Corona Unita rispondeva sommessamente che a Roma "stanno vedendo come fare per salvarlo ". E a quel punto Riina proferiva un'altra delle sue critiche: "Noi su Berlusconi abbiamo un diritto: sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo". Per proseguire poi: "Non lo ammazziamo però perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto". Il 20 settembre dello scorso anno, i due erano stati intercettati mentre parlavano dei "guai" del Cavaliere. Nel rispondere ad Alberto Lorusso, che lo aggiornava  sulle novità relative al leader di Forza Italia, il boss di Cosa Nostra aveva scosso la testa affermando con convinzione: "Se lo merita, se lo merita. Gli direi io 'ma perchè ti sei andato a prendere lo stalliere? Perchè te lo sei messo dentro?'". Secondo gli inquirenti, Riina aveva fatto riferimento a Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, condannato per mafia, e deceduto nel 2000. Il 25 ottobre, poi, lo stesso Riina era tornato a parlare dell’ex premier, e anche dei potentissimi fratelli mafiosi Filippo e Giuseppe Graviano. Di loro aveva detto: "Avevano Berlusconi... certe volte...". Seguiva un'altra parola, incomprensibile. Ed è parlando delle stragi di Capaci e via D’Amelio che era emersa ulteriormente l’arroganza e la malvagità di chi si è reso corresponsabile di quegli eccidi. "Loro pensavano che io ero un analfabeticchio – aveva spiegato Riina riferendosi alla bomba del 23 maggio ’92 –, così la cosa è stata dolorante, veramente fu tremenda, quanto non se lo immaginavano". "Abbiamo cominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, dall'aeroporto... siamo andati a Roma, non ci andava nessuno, non è a Palermo.... fammi sapere quando può arrivare in questi giorni qua. Andammo a tentoni, fammi sapere quando prende l'aereo ". Questo specifico passaggio ha lasciato aperto un interrogativo, non si capisce infatti da parte di chi i mafiosi avrebbero dovuto sapere dell’arrivo di Giovanni Falcone a Palermo. Ma è anche parlando della strage di via D’Amelio che le parole del capo di Cosa Nostra restano appese a un filo. "Cinquantasette giorni dopo, minchia, la notizia l'hanno trovata là dentro... l'hanno sentita dire... domenica deve andare da sua madre, deve venire da sua madre... gli ho detto... ah sì, allora preparati, aspettiamolo lì". Chi aveva informato Riina e i suoi sodali che il giudice Borsellino sarebbe andato da sua madre quella domenica pomeriggio? Il boss aveva fatto riferimento a "quello della luce... anche perché ... sistemati, devono essere tutte le cose pronte, tutte, tutte, logicamente si sono fatti trovare pronti. Gli ho detto: ‘Se serve mettigli qualche cento chili in più...’". Misteri su misteri. Come quello della scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino. "Si fottono l'agenda, si fottono l'agenda", aveva spiegato Riina a Lorusso. Ma chi è che si è “fottuto” l’agenda del giudice? Certamente non uomini di Cosa Nostra. E proprio in merito a quelle entità esterne su cui si tenta di fare luce al processo sulla trattativa Stato-mafia che il boss di Corleone aveva dato in escandescenze riferendosi al pm di punta di quel processo. "Questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblica... Questo prende un gioco sporco che gli costerà caro, perché sta facendo carriera su questo processo di trattativa... Se gli va male questo processo lui viene emarginato ". Per poi profetizzare: "Io penso che lui la pagherà pure... lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel'hanno fatta finire a quello palermitano, a quello... Scaglione (il procuratore di Palermo assassinato dalla mafia nel 1971 ndr), a questo gli finisce lo stesso". Il delirio di onnipotenza è ormai senza limiti: “Io sono stato un nemico pericoloso, non ne avranno mai… (…) non gliene capiteranno più. Gliene è capitato uno e gli è bastato e se ne debbono ricordare sempre”. E ancora “Io ve l’ho detto tannu (l’altra volta) io ve l’ho detto ieri, ve l’ho detto ieri… deve succedere un manicomio, deve succedere per forza, perché vedete deve succedere per forza!”. Per poi concludere con un invito rivolto all’esterno a “divertirsi”, che nel gergo mafioso si traduce in azioni delittuose: “Intanto… intanto io ho fatto il mio dovere, ma continuate continuate, qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno divertitevi.. una scopettatona (fucilata) nella testa di questi cornuti”.(antimafia2000)

http://www.youtube.com/watch?v=1wO5J-SJ80I&feature=player_embedded

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ACERRA. È morto Michele Liguori, il vigile che per vent'anni ha combattuto contro i trafficanti di rifiuti tossici.

Aveva inventato il nucleo ambientale di polizia municipale di cui era l'unico componente. Alla ricerca delle discariche abusive portava con sè la moglie ed il figlio. Si era ammalato di cancro lo scorso maggio. "È come don Peppe Diana, un eroe. Nel suo sangue c'erano alte percentuali di Pcb, la stessa sostanza che è presente nei regi lagni e che ha avvelenato le greggi ad Acerra" , tuona dal suo blog il tossicologo Antonio Marfella.

Il tenente Michele Liguori era stato anche uno dei protagonisti del docu-film "Biutiful cauntri" sugli scempi del traffico di rifiuti tossici in Campania. Centinaia di messaggi di cordoglio sono giunti alla famiglia da tutt'Italia e tramite Facebook. Il video della sua ultima intervista rilasciata al quotidiano La stampa" è tra i più cliccati sulla rete ( da Il mattino)

Terra dei Fuochi, morto il vigile che lottava contro i veleni della Camorra

Era l’unico addetto della sezione ecologica di Acerra. L’ultima intervista a La Stampa: “Se tornassi indietro non so se rifarei quello che ho fatto”

niccolò zancan

È morto stamani alle 6:43 Michele Liguori, l’unico vigile di Acerra che non si era arreso alla camorra, denunciando per anni la situazione nella Terra dei Fuochi. Questa l’ultima intervista a La Stampa, registrata venerdì 17 gennaio e pubblicata sull’edizione domenicale del giornale e nel videoreportage qui a fianco.

I camorristi l’avevano soprannominato in modo sprezzante: «O’ vigile chiatto co à barb». Era l’unico fuori dal giro. L’unico che non serviva per fare affari con i rifiuti tossici. «Lui non ha mai offerto coperture» ha dichiarato il pentito Pasquale Di Fiore, a proposito di Michele Liguori. Ma adesso il vigile grasso con la barba, al centro esatto della Terra dei Fuochi, sta smagrendo in maniera spaventosa.

Ha due tumori che gli divorano la pancia. Colpa della diossina, PCB 118 e PCB 126. Gli stessi agenti patogeni che avevano avvelenato le greggi ormai dodici anni fa.

Da allora nulla è cambiato. Si continua a morire ogni giorno. Non esiste un registro tumori della Regione Campania. I fusti sono ancora interrati in località Calabricito. I cavolfiori e le fragole vengono coltivati in questa stessa terra, davanti alle recinzioni. Ogni notte, la ciminiera dell’ex Montefibre sputa fiammate da cui ricadono lapilli e cenere nera, che si deposita ovunque. Un pentito ha raccontato che l’impresa edile dei fratelli Pellini, dal 1998 al 2005, è stata costruita usando cemento impastato con amianto. Non solo le verdure, la frutta, le bestie, i contadini, ci sono anche sette anni di edilizia tossica da considerare. Ma ancora nessuno ha aperto un’inchiesta per capire quali palazzi siano pericolosi per la salute pubblica.

«Il mio lavoro non è servito», dice il vigile urbano Michele Liguori con un filo di voce scura. Il suo letto è imbottito di coperte. Ha un ciondolo con un crocifisso appeso alla flebo. La moglie Maria, sempre al suo fianco. Per sette anni, è andato a vedere ogni fuoco e ogni sversamento. «Un giorno è tornato con le suole che si squagliavano sul pavimento della cucina - racconta la signora Liguori - non so dove avesse camminato, ma le scarpe erano letteralmente in decomposizione. Un’altra volta ha perso la voce all’improvviso. Certe notti lo annusavo sconcertata, trasudava odore chimico, puzzava di pneumatici bruciati». Il vigile Liguori scattava fotografie, stendeva rapporti. Denunciava. Chiedeva aiuto. Nell’epicentro del disastro, lui era l’unico agente della sezione ambientale di Acerra, il che rende l’idea. Ma per due anni è stato addirittura spostato ad aprire la porta del castello del paese, perché era considerato «troppo zelante».

Alla fine, è tornato sul campo di battaglia, a respirare veleni per altri due anni, dal 2011 al 2013. In perfetta solitudine. «A maggio si fece giallo di colpo - racconta Maria Liguori - prima si pensava fosse la colecisti, poi scoprimmo i tumori». E’ una donna con un sorriso dolce e disperato. «Sappiamo che in paese molti sono felici di questa nostra tragedia, abbiamo provato a scappare. Ma ai concorsi, Michele arrivava sempre secondo». Il vigile Liguori si rigira a fatica, ha un lampo di rabbia negli occhi lenti: «Questa è la terra di mio padre e di mio figlio - dice - non potevo far finta di non vedere. A me i vigliacchi non sono mai piaciuti». Per lui nessuna indennità, ovviamente. Neppure una telefonata di ringraziamento. E se volete verificare da vicino perché l’Italia è un Paese perduto, venite qui con in mano le sentenza del Tribunale di Napoli, Sesta sezione penale, sul caso Acerra.

Vi si racconta del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Curcio, comandante della «locale stazione». Scriveva i verbali al posto degli avvelenatori, per non scomodarli inutilmente. Avvisava di ogni controllo, insabbiava le denunce dei cittadini onesti. Sono stati sversati rifiuti tossici persino nel parco archeologico. Hanno rimpinzato le fosse comuni dei guerrieri sanniti con scarti di fonderia. Piombo e denaro. Tonnellate di banconote della zecca, destinate al macero, sono state seppellite qui. Con amianto, materiali gassosi che innescavano fiammate improvvise, vecchi telefoni a rotelle della Sip, liquami delle industrie del Nord. Nelle intercettazioni li senti dire: «Questa roba puzza troppo. Scegli tu, dammi due o tre codici diversi». Scrivevano quello che volevano sulle certificazioni, tanto avevano contro soltanto il vigile grasso.

«Dal 1999 nulla è stato fatto per bonificare», dice l’oncologo Antonio Marfella. Lavora all’Istituto Tumori di Napoli. E’ stato il primo a far analizzare in Canada, a sue spese, il sangue del pastore Cannavacciulo, morto di tumore a maggio del 2007: «Perché gli ottocento laboratori pubblici della Regione Campania non erano attrezzati». I canadesi, invece, hanno risposto a stretto giro di posta. «Nel sangue del pastore, così come in quello delle sue pecore, c’era un livello di diossina 400 volte superiore al consentito». I livelli sono ancora alti. «Ma in questi anni lo Stato ha trattato peggio gli uomini delle bestie - dice il dottor Marfella - per comprendere cosa stia succedendo a una popolazione di 3 milioni di abitanti, a fronte di 12 milioni di tonnellate di rifiuti tossici accertati, hanno campionato 84 casi». Quando la famiglia Cannavacciulo si era rivolta a lui, l’oncologo Marfella non conosceva questa storia: «Pensavo bastasse un richiamo alle istituzioni, ritenevo che fossero distratte o molto impegnate. Ma ora, dopo sei anni di immobilismo, ho capito: erano colluse».

Acerra è un perfetto laboratorio italiano. Per i fratelli Pellini il reato di disastro ambientale è stato prescritto. E anche la condanna in primo grado per traffico di rifiuti illeciti rischia di cadere in prescrizione in appello. Il maresciallo Curcio, seppur condannato, gira per il paese a testa alta. Mentre gli unici due operai dell’impresa di smaltimento fanghi, che avevano avuto il coraggio di raccontare con quali sostanze preparassero il cemento, non vivono più. «Sono stato massacrato di botte - ci racconta uno di loro - ho il cancro. Ho paura per me e per i miei figli. Voi giornalisti del Nord dovete lasciarci stare».

All’Asl Napoli2 le «esenzioni ticket per soggetti affetti da patologie neoplastiche maligne» sono aumentate del 34,1 per cento in tre anni. Ad Acerra erano 427 nel 2009, sono diventate 774 nel 2012 (+81,2%). Il sindaco Lettieri ripete a tutti la stessa litania: «Mancano i soldi per la bonifica». Anche se la ditta incaricata di smaltire almeno i fusti interrati in località Calabricito ha già preso i soldi, senza mai eseguire il lavoro.

In pochi posti al mondo si può soffrire di solitudine come in questo pezzo di Italia-Europa. «E’ andata così - dice Liguori - la gente vede quello che succede, ma non vuole impicciarsi. Non capisce che per colpa dei veleni moriranno anche i nostri figli». La flebile luce del tramonto filtra nella camera dell’agonia. Le persiane sono ricoperte di una patina nera collosa. I limoni in giardino non danno più frutti. Alle cinque del pomeriggio, gli occhi del «vigile zelante» si chiudono per la fatica. «Tornassi indietro, non lo so. Non lo so se lo rifarei».( Da la stampa)

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La vicenda come quella dei Parioli prende sempre inizio dalla denuncia di una madre insospettita dai comportamenti della figlia che adolescente aveva una eccessiva disponibilità di denaro e mostrava assoluta mancanza di rispetto alle regole familiari..

E come quella dei Parioli tra i clienti liberi professionisti, dirigenti di aziende e commercianti della Roma Bene.

L’esca era il miraggio del mondo dello spettacolo, la promessa di ingaggi da sogno.

Con questa speranza il finto manager di modelle gestore costringeva le sue ragazze a vendere il loro corpo.

Un finto manager di modelle, un vero e proprio gestore di un importante giro di prostituzione di ragazze italiane, tra le quali anche alcune minorenni.

Si chiama Glauco Guidotti di 55 anni.

Ora la squadra mobile della Questura di Roma lo ha arrestato.

Per incontrare i clienti usato il sito Bachecaincontri.it, lo stesso utilizzato dalle due ragazzine di 14 e 15 anni dei Parioli

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