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Ieri sera 24 luglio un treno ad alta velocità ( Alvia) che stava per transitare da Santiago di Compostela è deragliato.

Ancora il quadro non è certo.

Le ultime notizie parlano di 80 morti e 178 feriti tra cui molti turisti

Le prime informazioni parlano di una tragedia associabile all’alta velocità in violazione alle disposizioni emanate per il tratto in questione; una grande curva da farsi a non più di 80 kmh ed invece percorsa a quasi 190 kmh!

Il macchinista addolorato sembra abbia dichiarato via radio che andava "a 190 all'ora.

Poi ha detto “Spero che non ci siano morti perché me li porterei sulla coscienza. Sono umano, sono umano...".

I tecnici della procura, delle ferrovie e del ministero sono al lavoro per accertare le cause che hanno determinato la tragedia: se si tratti di un errore umano, di un guasto tecnico oppure di una coincidenza di entrambe le cose.

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Camorra Casalese, imprenditori legati a Cosa nostra, un boss della 'ndrangheta, prestanome vari, professionisti locali. L'inchiesta "Rischiatutto" coordinata dal pm Antonello Ardituro della Procura antimafia di Napoli ha portato tre giorni fa a 57 arresti, 165 indagati e al sequestro di 450 milioni di euro. Un patrimonio enorme sottratto al clan dei Casalesi e alle sue cellule modenesi.

 

Questo romanzo criminale racconta di alleanze tra camorristi di Casal di Principe, imprenditori legati alle famiglie Santapaola e Madonia e di Cosa nostra e boss della 'ndrangheta, diventati in Emilia padroni del settore gioco d'azzardo legale.

C'è Nicola Schiavone, il figlio di "Sandokan", padrone di Gomorra. C'è Antonio Padovani, imprenditore delle slot e delle sale bingo vicino alla mafia siciliana che fino al 2011 tramite i figli gestiva la Gari Srl nella zona indutriale dei Torrazzi di Modena. C'è Renato Grasso e i suoi fratelli, impresari diventati milionari con il gioco legale e appoggiati dal gotha dei Casalesi. C'è Nicola Femia, "Rocco", che ai circoli modenesi del Clan piazzava le ricariche per il poker online e a un certo punto diventa socio occulto di Antonio Noviello (punto di riferimento dei Casalesi a Modena) a cui fornisce la connessione dei siti per giocare online. Portali sul web registrati all'estero, in Romania, dove sia Femia che Schiavone hanno diversi interessi economici, e a Malta, l'isola diventata il paradiso per chi vuole investire nel settore delle scommesse e del poker.

Tra gli indagati compaiono anche i romani Luigi e Antonio Tancredi, figure di primo piano del settore con forti agganci nelle lobby politiche del gioco, coinvolti insieme a Femia nell'indagine "Black Monkeys"dell'Antimafia bolognese del gennaio scorso.

SISTEMA GIOCO. Gli inquirenti hanno scoperto che i circoli modenesi del Clan guidato da Schiavone venivano riforniti dalle aziende legate alla 'ndrangheta che fanno capo a Nicola Femia e per un periodo dalla società Gari, con sede a Modena di proprietà della famiglia Padovani (colpito nel 2011 da un sequestro di 40milioni di euro da parte della Finanza di Caltanissetta). «Si assiste a una vera e propria marcia di conquista, da parte dello Schiavone e dei suoi che, nel solco già tracciato da consorterie siciliane e calabresi e, talvolta, in parallelo ad esse, invadono letteralmente intere province del nord, soprattutto dell'Emilia Romagna installando "circoli privati"».

A Castelfranco Emilia, Carpi, Cavezzo, nel Bolognese, si trovavano questi "circoli". E qui pensionati, operai, giovani e meno giovani, hanno sperperato centinaia di migliaia di euro. Ogni circolo, a detta degli indagati fruttava almeno 4mila euro al giorno. A incassare era il Clan dei Casalesi, le aziende di Padovani e quelle di Femia che mettevano a disposizione macchinette e postazioni per giocare a poker online.

«Emerge, poi, con chiarezza, il rapporto che legava i campani al siciliano Padovani, il quale utilizzava i locali del Matrix (circolo di Castelfranco) quale luogo in cui installare gli apparecchi a lui riferibili e da lui appositamente taroccati, dividendo con i gestori del circolo i relativi introiti», scrive il gip di Napoli che ha firmato l'ordinanza di arresto. «Abbiamo tutto... due piani sono, abbiamo una quarantina di slotmachine e computer collegati con il casinò». Intercettato è Carmine Sola, tra gli arrestati e ritenuto il prestanome del super boss Nicola Schiavone. Sola in una telefonata si autodefinisce "socio" del circolo di Castelfranco. «C'ho il circolo che va molto bene un po’ la Isolantetti (la ditta di Sola), il Circolo (di Castelfranco, ndr) guadagna 4mila euro al giorno». Denari che, secondo gli investigatori, finivano nei libri mastri del grande capo Schiavone. Carmine Sola è una figura centrale nell'indagine e pedina strategica in provincia di Modena. È l'uomo dei reinvestimenti dei soldi nell'economia legale, nel settore delle costruzioni.

L'AVVOCATO. Agli atti dell'inchiesta spuntano anche professionisti modenesi che parlano di affari con gli uomini di Schiavone. C'è un'avvocatessa modenese indagata. B. P., per cui il gip ha rigettato la richiesta di arresto della Procura. Ma nell'ordinanza emergono i suoi rapporti con uno degli indagati più importanti, Carmine Sola che secondo l'accusa è il prestanome emiliano del boss Schiavone. P. «prestava la sua opera professionale relazionandosi con Carmine Sola, diretto referente di Schiavone Nicola». E inoltre avrebbe fissato "incontri "de visu «finalizzati esclusivamente ad aggiornare lo stesso Schiavone sull'evoluzione delle vicende per le quali era stata incaricata».

«Qualsiasi ora, qualsiasi momento o Carmine o Nicola Schiavone chiedono qualche cosa… la pregherei di riferirgli tutto quello che c'è da riferire», uno degli imprenditori legati a Sola sollecita l'avvocato P., che risponde: «Come ho fatto fino adesso…». Sono telefonata registrate tra il 2004 e il 2005, finite agli atti dell'indagine "Rischiatutto" in cui si descrive ampiamente il rapporto tra Sola e P..

Gli accertamenti svolti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Modena consentivano di individuare il cantiere edile relativo agli investimenti immobiliari del clan e al quale si faceva riferimento nel corso delle conversazioni. Un sopralluogo ha permesso di verificare l'esatta posizione del complesso residenziale: via Bertelli, frazione San Martino Secchia del Comune di San Prospero. Qui il Clan ha realizzato cinque immobili. «Gli appartamenti, come si vedrà sarebbero stati poi rivenduti, in modo da realizzare, sempre in forma sotterranea, ulteriori utili».

Non solo riciclaggio dunque, ma il clan riesce a creare profitti dalla vendita degli immobili costruiti per ripulire il denaro sporco. Un soggetto economico attivo a tutti gli effetti. La prima fase dell'investimento immobiliare è del 2001, anno in cui ottengono regolare concessione edilizia (la numero 27 del 2001) intestata a Giuseppe Corvino, detto "Peppe l'evangelista", un imprenditore orginario di Casal di Principe e trapiantato in Emilia Romagna, che risultava, anche per altri versi, vicino al giovane padrino Nicola Schiavone. Tre anni più tardi comunicano l'inizio lavori e una variante. E forse parlano proprio di questo Sola e l'avvocato quando l'imprenditore accusato di essere prestanome del boss dice all'avvocato P.: «Io devo pagare 8.000 euro al Comune per la concessione edilizia… per San Prospero».

I TESSERATI PDL. Tra gli indagati ecco spuntare nuovamente tesserati al Pdl. Iscritti al partito di Silvio Berlusconi almeno fino al caos scoppiato in seguito alle denunce di Isabella Bertolini e dall'inchiesta della Gazzetta di Modena in cui si davano i primi nomi dei tesserati legati al Clan.

Nell'indagine compare il nome di Gianfranco Dessi, di Castelfranco, inserito nell'elenco dei tesserati Pdl. A cui si aggiunge Giovanni Corvino, di Cavezzo, altro indagato nell'inchiesta "Rischiatutto", che dagli atti risulta coinvolto nella gestione di un circolo bisca in via Rua Muro a Modena. Prima del congresso erano state sospese in via cautelativa 180 tessere, tra queste quella di Renato Corvino, ritenuto elemento di spicco del clan in provincia. Tra i 180 però non c'era né Gianfranco Dessi, né Luigi Melucci, indagato con Corvino dalla procura antimafia di Bologna.

BANCARI INDAGATI. Al centro dell'indagine sono finiti anche due dipendenti di banca. Sergio Pittalà, dipendente della Cassa di Risparmio di Carpi nell'agenzia di Formigine, nel periodo incriminato(il 2005), e Cristian Giusti della Unicredit Banca Impresa: «Nelle loro qualità favorivano l'organizzazione criminale, permettendo a Carmine Sola e a Antonio Noviello di operare sul conto corrente di Dell'Aversano Massimo» per eludere e aggirare le norme antiriciclaggio. Denaro, secondo gli inquirenti, che proveniva dalla gestione del gioco d'azzardo. Benvenuti a Modena, tra Gomorra e 'ndranghetopoli. Gazzetta di Modena di Giovanni Tizian  

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Il monsignore di Salerno Nunzio Scarano, un funzionario dei Servizi segreti - e un broker finanziario sono stati arrestati nell' ambito di un filone di indagine sullo Ior in corso alla procura della Repubblica di Roma.

L'alto prelato, l'agente dell'Aisi Maria Zito e il broker finanziario Giovanni Carenzio sono stati bloccati questa mattina da militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, con le accuse di corruzione e truffa. Tra i reati contestati, anche la calunnia. L'indagine nasce come filone autonomo della più ampia inchiesta sullo Ior.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate del gip Barbara Callari su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei sostituti Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci.

La vicenda giudiziaria ruota intorno ad un accordo tra Scarano e Zito finalizzata a far rientrare dalla Svizzera 20 milioni cash di proprietà di alcuni amici del monsignore a bordo di un jet privato. Per questo «servizio», Zito avrebbe ricevuto 400 mila euro.

Scarano, tra l'altro, è coinvolto a Salerno in un'altra indagine per ricettazione, era già stato sospeso dal Vaticano.

Nel Palazzo Apostolico dove ha sede l’Apsa, l’amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, praticamente il forziere d’Oltretevere, da diversi giorni la scrivania del responsabile del servizio addetto alla contabilità analitica è vuota.

La luce spenta, l’ufficio chiuso. Monsignor Nunzio Scarano è stato sospeso cautelativamente dal lavoro dopo che la Procura della Repubblica di Salerno lo ha iscritto nel registro degli indagati assieme ad altre 56 persone per il reato di riciclaggio. Una accusa pesantissima che ha suggerito ai suoi superiori di agire senza indugio. «La sospensione dal servizio in via cautelativa scatta automatica, da regolamento, quando un dipendente, laico o consacrato, risulta soggetto a provvedimenti giudiziari sia da parte della magistratura vaticana che di quella italiana» spiegano al di là del

Tevere aggiungendo che nonostante la sospensione al monsignore verrà garantito lo stipendio in attesa del verdetto definitivo. Solo se sarà giudicato colpevole e responsabile dei fatti a lui contestati scatterà il licenziamento e l’allontanamento dalla Santa Sede.

Provvedimenti simili sono stati presi recentemente anche per Paoletto, il maggiordomo che aveva trafugato le carte dall’appartamento pontificio, per Claudio Sciarpelletti, il tecnico dei computer e per un gendarme anch’esso coinvolto nell’affaire Vatileaks. Il caso Scarano e l’ombra del riciclaggio stanno causando notevole imbarazzo in Vaticano perché ancora una volta il comportamento di un singolo prelato rischia di gettare una luce sinistra sull’immagine complessiva della Curia e dello Ior, la banca sulla quale si sta concentrando l’attenzione di Papa Francesco deciso più che mai a vederci chiaro e capire se si tratta veramente di una specie di porto delle nebbie come spesso viene descritto. Anche la neonata commissione d’indagine appena istituita è frutto di un orientamento teso a garantire un piano di riforma all’insegna della pulizia e della trasparenza.

L’inchiesta relativa a Scarano, coordinata dal pm Elena Guarino, riguarda un giro di assegni che passando sotto forma di donazioni sarebbero rientrati in una operazione di riciclaggio.

Secondo l’ipotesi accusatoria, il prelato riceveva assegni ufficialmente per ripianare i debiti di un’immobiliare a Salerno. Il denaro - sempre secondo l’ipotesi al vaglio degli investigatori - veniva restituito in contante agli imprenditori che avevano effettuato le donazioni. Spetterà ora agli inquirenti appurare se la società immobiliare è in qualche modo collegata allo Ior e al conto di cui era titolare il monsignore. Scarano, originario di Salerno, vive da tempo a Roma, in un appartamento in via della Scrofa con la madre, anche se ha mantenuto profonde radici nel salernitano dove attualmente possiede alcuni immobili di pregio.

In Vaticano c’è chi ricorda le origini piuttosto modeste della sua famiglia, la vocazione al sacerdozio arrivata in età adulta quando era impiegato alla Banca d’America e d’Italia, la sua intraprendenza. Dopo l’ordinazione venne portato a Roma dal cardinale Martino che per lungo tempo lo ha considerato suo pupillo. Poi ad un tratto i rapporti si sono interrotti.

Continua su “Il Mattino” di oggi 28 giugno

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