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(ANSA) - REGGIO EMILIA, 5 DIC - Sono stati rinviati a giudizio su richiesta della Procura di Reggio Emilia il comandante della polizia municipale dell'Unione della Val d'Enza Cristina Caggiati, il suo vice Tito Fabbiani e l'ispettore Annalisa Pallai.

 

Lo scandalo emerso nel luglio scorso dopo un'inchiesta condotta dal pm Valentina Salvi aveva portato alla luce diverse contestazioni di reato, a vario titolo, di concussione, abuso d'ufficio, peculato, omessa denuncia, truffa aggravata ai danni dello Stato, bossing e mobbing.

Il gip dispose gli arresti ai domiciliari per Fabbiani - che secondo le accuse avrebbe messo in piedi un vero e proprio sistema di potere all'interno della caserma - e la sospensione dal servizio di Pallai (compagna di Fabbiani).

Il 4 agosto scorso è stata sospesa Caggiati, accusata di omessa denuncia.

I sindaci dei rispettivi Comuni dell'Unione hanno annunciato la decisione di costituirsi parte civile per "il danno d'immagine e credibilità".

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Non è il primo e tantomeno non sarà l’ultimo. Ma è uno dei pochi preti “capelloni”!

Parliamo dei preti della “nuova”chiesa dei migranti che per non offenderli non vogliono il presepe, senza pensare(?) che in tal modo offendono i “cristiani” che spesso ricordano Cristo e la sua storia sin dalla sua nascita.

L’unica sua difesa è che è un prete di strada, senza una chiesa dove fare ogni anno il presepe per i suoi parrocchiani

Comunque leggete:

“Boicottate il presepe «per rispetto ai poveri»: l’incredibile appello del prete pro-migranti

Non bastavano i dirigenti scolastici pronti a levare i crocifissi dalle aule. Forse non era abbastanza neppure che solerti maestre devote al dogma dell’accoglienza censurassero la parola Gesù dalle canzoni dei cori e delle recite di Natale (laddove ancora vengono proposte prima della pausa vacanziera per le festività e non bandite dalle attività curriculari come sempre più spesso accade). E così, più che mai sincronizzato con i tempi e un contesto socio-culturale che punta a cancellare tradizioni, usi e costumi autoctoni, pur di non offendere i nostri ospiti obbedienti ad altri credo e portatori sani di una diversità culturale che nel Belpaese ormai contagia educatori e amministratori più di un virus influenzale – costringendo i più a derogare al Natale e ai suoi aspetti spirituali e folcloristici – arriva anche l’ultimo sostenitore dell’opportunità dei non festeggiamenti natalizi.

Padova, se il prete (pro-migranti) invita a non fare il presepe

E l’ultimo – ma solo in ordine di tempo – ad inserirsi nel solco battuto da insegnanti e sindaci solerti a bandire il Natale e i suoi riti dalle nostre scuole e dalle nostre piazze, è un prete, meglio noto nel Padovano come “sacerdote pro-migranti”, anche lui solerte a venir meno agli obblighi religiosi che abito e religione gli suggerirebbero invece di osservare. «Quest’anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri…», esorta con pio spirito d’accoglienza don Luca Favarin dal suo profilo Facebook. A suggerire di non celebrare il rito del presepe natalizio, insomma, incredibile am vero, stavolta è addirittura un prete. A detta di quanto riferito, tra gli altri, sul sito de il Giornale sull’argomento, il religioso, noto a Padova per essere un sacerdote di strada, sempre in prima fila quando si tratta di opere e attività a sostegno dei migranti soprattutto, ma anche di poveri ed emarginati italiani, «lavora per l’organizzazione no profit “Percorso Vita Onlus” ed è ideatore e promotore di progetti di accoglienza innovativi come il ristorante etico “Strada Facendo”, nel quale lavorano richiedenti asilo. Inoltre, è autore del libro “Animali da circo-I migranti obbedienti che vorremmo”, la cui prefazione è stata curata da Gad Lerner».

L’incredibile appello arriva via social in un post su Facebook

Insomma un passaporto che parla chiaro e che pone l’operato evangelico di don Favarin al centro di una serie di attività di sostegno per i poveri e gli emarginati stranieri, fino al punto di esortare al “Morning Show” di Radio Padova, a non fare il presepe. E così, in un messaggio postato su un suo profilo social spiega: «Se il presepe deve essere pura esteriorità, allora tanto vale non farlo». Invito o provocazione, insomma, forse fa davvero poca differenza: resta il fatto che, in risposta alla sua invocazione al rispetto di poveri e stranieri, sono molti quelli che hanno preso male l’appello a boicottare il presepe, ingaggiando, almeno in un dibattito sul web, una crociata in sostegno del Natale e dei suoi “bistrattati” riti…

di Martino Della Costa lunedì 3 dicembre 2018 - 12:23

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Il nonno de “Le Jene” di cui il programma televisivo di Italia 1 si era occupato e la cui storia aveva commosso tutta l’Italia è morto non in quella casa che aveva costruito e che amava tanto.

Cari amici, oggi vi voglio raccontare la triste e imbarazzante storia di un uomo di 90 anni , malato terminale,

morto lontano dalla sua casa che aveva costruito e dove era vissuto con la consorte per oltre sessanta anni.

E’ una triste storia di faida familiare, purtroppo, con la nipote e suo marito.

La sua storia, la storia di nonno Mariano ce l’avevano raccontata con dovizia di particolari “Le Jene” e le foto di questo uomo, sdraiato su una barella che viene legato e poi portato via dal suo letto di dolore, hanno fatto il giro sui Social e hanno commosso l’Italia intera, non certo la nipote e l’ufficiale giudiziario.

Nonno Mariano abitava in Via Diana a Partanna Mondello, periferia di Palermo, con la moglie, poi morta nel maggio scorso.

Rimasto solo, per una disputa in famiglia, una faida familiare, l’appartamento gli è stato pignorato e poi messo all’asta.

E’ stato ricomprato da una sua nipote che subito ha voluto impossessarsi.

Inutili i tentativi di nonno Mariano e delle sue due figlie.

Il nonno voleva morire in quella casa.

Si era offerto finanche di pagare 400 euro di fitto al mese perché non voleva andare via dalla sua casa.

Aveva a novanta anni suonati un ultimo desiderio: dare l’ultimo respiro nella sua casa e non in una casa di riposo, lontano dai suoi ricordi, dai suoi cari, dai suoi affetti più cari. Non è stato, purtroppo, accontentato.

Neanche le figlie, neanche “Le Jene” sono riuscite a trovare una soluzione e noi, spettatori televisivi, abbiamo assistito impotenti allo sfratto di questo nonno moribondo.

Nessuna pietà per lui.

Il filmato di nonno Mariano, legato ad una barella e portato via con la forza dalla sua abitazione, aveva scatenato la rabbia non solo della giornalista de “Le Jene” Nina Palmieri e di tutta la sua troupe televisiva ma anche dei telespettatori.

Ora nonno Mariano è morto, non ce l’ha fatta.

La nipote e suo marito sapevano che lo zio era gravemente ammalato e che sarebbe morto a breve, ma non hanno voluto aspettare neppure un mese.

“Le Jene” l’hanno voluto ricordare così sulle pagine di Facebook postando anche una sua foto sdraiato nel suo letto, sorridente:- Amici e amiche purtroppo abbiamo perso un grande uomo, nonno Mariano non ce l’ha fatta.

Il nonno de “Le Jene” di cui avevamo raccontato l’odissea, ha perso la sua battaglia.

Si è spento sabato pomeriggio, solo e sfrattato da quella casa che ha difeso fino alla fine.

Non è morto nel suo letto, ma in una casa di una famiglia palermitana che aveva preso a cuore la sua sorte.

Noi ti vogliamo ricordare così, con quel sorriso.

Purtroppo tanta gente cattiva quel sorriso te l’ha tolto.

Nonno Mariano, hai sofferto tantissimo e ci auguriamo che lassù troverai la serenità che non hai avuto in questa terra.

Buon viaggio, grande uomo.

Che Dio ti possa accogliere tra le sue braccia -.

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