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san-nicola-eventiA Santu Nicola ogne vallune sona e ogni mandria fa la pruovula. A San Nicola la portata d’acqua lungo i corsi dei fiumi, dei torrenti, dei valloni è abbondante e quindi sono rumorosi e ogni mandria produce più del solito prima che arrivi il crudo inverno. Questo era un antico proverbio e un modo di dire per oggi 6 Dicembre . La Chiesa cattolica oggi festeggia il grande Santo, San Nicola da Bari. Mi ricordo che una volta veniva festeggiato anche a Lago (‘U Vacu), un paese confinante al mio, molto carino e ricco di tradizioni culturali e popolari. Il Santo Patrono del simpatico paese è infatti San Nicola (Santu Nicova in dialetto laghitano) e la chiesa parrocchiale è intitolata proprio a San Nicola. E qui voglio ricordare la famosa “Strina”, una antica tradizione folcloristica tipica dei territori della nostra terra e chi la cantava erano gli strinari, molto bravi ed intonati. Andavano in giro per le case a cantare la strina per portare gli auguri e per raccogliere regali. Se le porte delle case rimanevano chiuse erano canti ingiuriosi. Si vendicavano con stornelli sdegnati e pieni di profezie di disgrazie. E poi i famosi biscotti di San Nicola che venivano preparati dalle massaie il giorno della festa, benedetti dal sacerdote e poi distribuiti ai fedeli che erano in chiesa. Quelli rimasti venivano gelosamente conservati come oggetti sacri, e quando si sentiva nell’aria minaccioso il brontolio dei tuoni, precursori delle tempeste, si esponevano fuori sulle finestre o sui balconi, credendo vi fossero in essi la virtù di scagionarle. Tutto questo me lo raccontava la signora Giuseppina, originaria di Lago, e che aveva sposato l’ufficiale postale del mio paese. Ho voluto accennare a questa credenza per cogliere l’essenza dell’animo popolare che è andata lentamente sgretolandosi sotto i colpi potenti del civile progresso, ma che offre ancora oggi la possibilità di scoprire le tracce di un mondo rurale, semplice, dove la gente si accontentava del solo pane quotidiano, dove la chiave di casa era nascosta nella buca della gatta, dove gioia e dolore venivano divisi con gli altri, dove tutti si aiutavano a vicenda. Ma ritorniamo al proverbio. Questo proverbio è noto in tutta la Calabria, è frutto di esperienza di vita quotidiana e costituisce un estimabile bene culturale nella storia delle tradizioni popolari calabresi. Esso fa parte dei cosiddetti proverbi meteorologici. Ci venivano detti dalle nostre mamme, dai nostri padri, perché gente contadina. Eccone alcuni: Se è malu tiempu da muntagna piglia la zappa e vatinde in campagna. Se è malu tiempu da marina piglia a pignata e vatinde in cucina. Alla Candelora de l’inverno siamo fora, ma se piove e tira vento dell’inverno siamo dentro. Se il ragno fa il filato il bel tempo è assicurato. Quandu se sente la littorina cambia lu tiempu. Quandu jazze de mullure ‘nde fa senza misura.

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Giorgia Rombolà è una giornalista calabrese che da tempo vive e lavora a Roma, alla Rai.

Ha lavorato al TgR e adesso fa parte del gruppo di RaiNews24.

In particolare, è una cronista politico-parlamentare.

 

Oggi sul suo profilo Fb ha raccontato una storia incredibile.

Questo è successo a me, e non a qualcun altro.

È successo alle 14.30 su un treno della linea A della metro di Roma. Fermi a una fermata, trambusto, urla e il pianto disperato di una bimba.

Una giovane, credo rom, tenta di rubare il portafoglio a qualcuno.

La acciuffano e ne nasce un parapiglia, la strattonano, la bimba che tiene per mano (3/4 anni) cade sulla banchina, sbatte sul vagone.

Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta.

Vuole punirla.

La picchia violentemente, anche in testa.

Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli.

Ha la meglio.

La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte.

La bimba piange, lui la scaraventa a terra.

Io urlo dal vagone: “Non puoi picchiarla, non puoi picchiarla”.

Ma non si ferma.

Io urlo ancora più forte, sembro una pazza.

Esco dal vagone, mi avvicino e cerco di fermarlo.

Solo ora penso che con quella rabbia mi avrebbe potuto ammazzare, colpendomi con un pugno. “Basta, basta”, urlo.

I vigilantes riescono a portare via la ragazza.

Lui se ne va urlando, io risalgo sul treno.

E lì vengo circondata.

Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara.

Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla.

Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina.

Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli.

Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate.

Dicono così.

Io litigo, ma sono circondata.

Mi urlano anche dai vagoni vicini.

E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo

Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti.

Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza.

Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra.

Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita.

C’è un tizio che continua a insultarmi.

Dice che è fiero di essere volgare.

E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata.

Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle.

E scoppio a piangere.

Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata.

E questo, invece, è successo a me.

Da Iacchite - 5 dicembre 2018

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Renzi continua farne una dopo l’altra.

La prima: Dice che in Andalusia la sinistra è andata malissimo e si chiede se la colpa non sia anche lì del suo carattere.

La seconda dice che «Quelli che ce l’hanno con Macron sostengono i gilet gialli, io sto invece con Macron e la legalità»

La terza per smentire di voler fare un partito con Berlusconi: «Il Cavaliere non mi ha mai votato la fiducia, cosa che ha fatto con Monti e persino una volta con Gentiloni».

La quarta fa disperare Marco Minniti che si arrabbia delle giravolte renziane

Ma ecco cosa dice il Corriere della Sera:

“Pd, Minniti dà l’ultimatum all’ebetino: “O fai sul serio o non mi candido più”

«Basta, se è così non mi candido più»: poche parole ma esaustive che Marco Minniti manda come un messaggio non proprio d’amore a Matteo Renzi.

L’ex ministro dell’Interno è veramente arrabbiato. Non ne può più delle giravolte renziane: «O sei con me o sei contro di me».

Tradotto: o fai il nuovo partito, e allora io cedo il passo, o vai avanti con me.

«Marco è proprio incavolato», ammettono quelli del giro stretto renziano.

E poi si interrogano: «E adesso, che facciamo?».

Poi si rispondono da soli in questa giornata convulsa: «Faremo di tutto per arrivare all’obiettivo della candidatura di Minniti».

La risposta dei pd che stanno lavorando per l’ex ministro dell’Interno non è confortante: «Non è che possiamo continuare con una parte di renziani che si impegnano sulla candidatura di Marco, o almeno dicono di impegnarsi, e lui, Renzi, che ci dice “buon lavoro” e poi si impegna a creare comitati civici, fa girare, non smentita, la voce che sta facendo un nuovo partito.

E insomma, così un congresso non lo si vince di certo».

C’è anche stato un colloquio telefonico tra Renzi e Minniti: il secondo ha chiamato il primo per tentare di chiarire la questione. Alla fine di quella chiacchierata a Minniti è rimasto l’amaro in bocca: «Matteo non prende impegni, continua con questa storia dei comitati», ha sbuffato allargando le braccia e alzando le spalle.

A quel punto è cominciata a circolare l’ipotesi concreta e realistica di un disimpegno, dapprima nei termini «ci starebbe pensando», dopo sempre più concreta, alle porte, ad horas.

Non solo. Minniti disdice tutti gli appuntamenti della giornata (era atteso a Bergamo e a Brescia). Panico tra i renziani che hanno deciso di appoggiare la sua candidatura come segno di continuità del «riformismo renziano dentro il Pd», come ripete spesso Lorenzo Guerini. Tanti altri renziani, invece, hanno maturato l’idea che questo Pd sia ormai un guscio vuoto, più un qualcosa da archiviare che far rinascere.

Sullo sfondo c’è la questione europea, nel senso delle elezioni. Renzi non ha alcuna intenzione di andare nelle file di un Pse dato ormai in caduta libera: in settimana sarà a Bruxelles con Sandro Gozi, il teorico dell’andare oltre il Pd per vedere di stringere alleanze con le forze di stampo macroniano. Nella sua e-news, Renzi fa due passaggi significativi. Primo: in Andalusia la sinistra è andata malissimo, «sarà mica colpa anche lì del mio carattere?». Secondo: «Quelli che ce l’hanno con Macron sostengono i gilet gialli, io sto invece con Macron e la legalità». E in chiusura, Renzi affida il suo pensiero a una decina di righe per smentire di voler fare un partito con Berlusconi: «Il Cavaliere non mi ha mai votato la fiducia, cosa che ha fatto con Monti e persino una volta con Gentiloni». Smentisce il partito con Berlusconi, ma non che ne voglia fare uno comunque, distinto e magari distante dal Pd.

La decisione, Renzi o non Renzi, Minniti non l’ha ancora presa.

Forse la sola minaccia di desistere potrebbe servire a dare una scossa ai renziani «fermi sulle gambe», come ha detto Veltroni.!

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I Racconti

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