Numero 47, ‘o muorto che parla! Amici alzi la mano chi non ha mai giocato almeno una volta nella vita a tombola. Da ragazzo io ho giocato a tombola con i miei amici diverse volte sull’ astrachiello di qualche caseggiato per ore ed ore e poi la vigilia di Natale aspettando la Messa di mezzanotte. Quando usciva il numero 47 tutti gridavamo:- Il morto che parla -. Ma davvero i morti parlano? Quando uno è morto non parla più. Ma qualche volte può succedere, qualche volta parla, eccome. Quando specialmente il morto non è morto per davvero. Succede spesso quando le persone dichiarate morte sono ancora in vita. Adesso vi voglio raccontare la storia di una donna di un paesino dell’hinterland Sassarese data per morta da un medico dell’ospedale dove era stata ricoverata per un ictus cerebrale i cui familiari avevano già preparato il funerale, come si conviene per una persona cara, ma che poi in fretta lo hanno dovuto disdire perché la signora risultava ancora in vita nel reparto di terapia intensiva. Quando appresero la notizia della morte della signora i familiari non avevano perso tempo. Subito si erano recati nella parrocchia di appartenenza e con il parroco avevano stabilito il giorno e l’ora della funzione religiosa. Il parroco, che conosceva la signora, fece subito suonare le campane della chiesa a morte. La notizia si è sparsa in un baleno tra gli abitanti del quartiere udite le campane a morte. I familiari della signora si sono poi recati presso un gestore delle pompe funebre e hanno finanche scelto la bara. Tutte le prescrizioni burocratiche erano state svolte alla perfezione e furono finanche appesi ai muri del quartiere i manifesti mortuari. Anche i fiori erano stati acquistati ed era stato concluso l’iter per l’occupazione del loculo nel cimitero del paese. Ritornati in ospedale per prelevare il cadavere della signora hanno scoperto, però, che la signora non era morta, era ancora in vita. In serata un comunicato dell’ospedale ha chiarito tutto. C’è stato evidentemente un errore di comunicazione tra il medico e i familiari. Il Primario si è poi scusato con la famiglia della signora che è ancora in vita. Per le campane a morte e per il funerale c’è ancora tempo. Ma non è la prima volta che succedono cose del genere. Una donna data per morta, camminava lungo la via di un paesino, ha visto il suo manifesto funerario, però poi il funerale è stato sospeso perché la donna all’anagrafe risultava ancora in vita. E’ una storia vera e la signora si chiama Carla Piola, di 88 anni, residente a Lendinora. Tutta colpa di un errore commesso dall’ospedale dove era deceduta un’altra signora pure lei di Lendinora, di anni 88, che si chiamava anche lei Carla, ma di cognome faceva Paiola. Il solerte impiegato dell’ospedale per avere omesso una semplice vocale, la “a”, ha dichiarato defunta un’altra donna, stessa età, stesso nome di battesimo, stesso comune di residenza, che abitava, guarda caso, a pochi metri dalla donna deceduta davvero. Ecco perché non si sono potuti eseguire i funerali della signora Paiola nonostante fosse morta per davvero. Sebbene morta, per la burocrazia risultava ancora in vita e quindi per le persone ancora in vita non si possono fare i funerali. Fino ad oggi non ho mai visto esequie di persone ancora in vita. Al cinema forse. Amici, avete visto che casino combinano a volte gli impiegati del Comune e dell’ospedale.. Non sono dunque i defunti che fanno casino, bensì i vivi. Ha ragione il grande Totò quando nella poesia “A Livella” fa dire al netturbino Esposito Gennaro rivolgendosi al nobile Marchese di Rovigo e di Belluno:- Sta pagliacciata ‘è ffanno sulo ‘e vive: Nuje simmo serie…appartenemmo à morte!-
Un parto speciale quello avvenuto nei giorni scorsi all'ospedale di Perugia. Il piccolo ce l'ha fatta (e sta bene), la mamma dovrà lottare ancora
Ha scoperto di avere un tumore in gravidanza, ma le terapie chemioterapiche cui è stata sottoposta non le hanno impedito di diventare mamma.
Il bimbo è nato nei giorni scorsi al Santa Maria della Misericordia di Perugia e, stando a quanto si legge in una nota dell’ospedale, gode di ottima salute.
I due, mamma e figlio, sono stati dimessi questa mattina. Il piccolo la sua battaglia l’ha già vinta, la mamma dovrà lottare ancora, ma i medici assicurano che le prospettive di una guarigione sono buone.
La donna ha scoperto di avere un linfoma solo a settembre, a gravidanza ormai avanzata, dopo una biopsia eseguita proprio all’ospedale di Perugia, dove era stata trasferita da un’altra struttura.
Una situazione delicatissima: da un lato c’era la necessità di iniziare subito le cure, dall’altra quella di salvaguardare la salute del bambino.
Secondo Giorgio Epicoco, direttore della Ostetrica di Perugia, il quadro era allarmante: "Oltre ad una pericolosa fibrillazione atriale e un versamento pericardico che affaticano il cuore, era necessario capire la gravità delle sue condizioni in rapporto alla eventuale nascita del bambino con i rischi connessi ad una forte prematurità".
La chemioterapia e il parto
La donna è stata stabilizzata e subito dopo i sanitari hanno dato inizio a una profilassi respiratoria e neurologica per il feto. Subito dopo la futura mamma è stata sottoposta a due cicli di chemioterapia. Ostetriche e medici hanno monitorato giorno per giorno lo stato di salute del bimbo.
Allo scadere della 36esima settimana la donna è stata trasferita presso la struttura di Ostetrica e sottoposta a un terzo ciclo di chemioterapia.
Il bambino è nato martedì 13 novembre con parto cesareo in buone condizioni (peso più che soddisfacente kg 2,5).
Questa mattina le dimissioni. La battaglia della neo mamma non è finita, ma ora ha una ragione in più per farcela.“
16 novembre 2018 17:35
16/11/2018 – Chiuse le indagini sui finti matrimoni misti per l’ottenimento della cittadinanza italiana in stile Lucano.
Settanta sono le persone sottoposte ad indagine. L’inchiesta della Procura di Salerno, ribattezzata “Unione di fede”, ha portato alla scoperta di un’associazione per delinquere, con base a Battipaglia,
nei palazzoni popolari di via Manfredi, che combinava sulla carta matrimoni con africani, in prevalenza marocchini di entrambi i sessi, dietro il pagamento di un lauto compenso.
Seimila euro.
Agivano come un’agenzia, una sorta di “Wedding planner” del falso.
Organizzavano in ogni dettaglio tutto ciò che occorreva per il rito, rigorosamente davanti all’ufficiale di stato civile.
Si preoccupavano di trovare lo sposo o la sposa italiana, coi quali combinavano il “cachet” per un anno di matrimonio, e reclutavano anche i testimoni per dimostrare, sempre falsamente, l’unione dei due sposi che, se andava bene, si erano visti due sole volte nella loro vita.
L’organizzazione seguiva i finti sposi durante l’iter burocratico, fornendo assistenza e mezzi di sostentamento.
Holding familiare.
A dirigere e promuovere l’organizzazione era Laura Iadanza, 57 anni di Battipaglia, che si serviva dei suoi più stretti familiari e di due stranieri, Ackik Mustapha e El Haryry Badia, che svolgevano i ruoli di mediatore ed interprete di lingua araba.
Soprattutto avevano il compito di reclutare i clandestini disposti a pagare per ottenere il permesso di soggiorno fingendo di sposarsi in Comune.
Nell’associazione avevano ruoli Donatina Iadanza , sorella di Laura, Donatella Raso , figlia di Laura, e l’amica Daniela Maresca .
Tutte agivano su delega di Laura Iadanza, reclutavano stranieri e trovavano gli italiani disposti a partecipare ai matrimoni fasulli.
La finta paternità.
Anche l’alterazione dello stato civile, attribuendo la paternità di una bambina, fu usata da un’indagata per favorire l’immigrazione di un clandestino, dietro il pagamento di corrispettivo.
La donna risulta a pieno titolo nella holding che, tra il 2015 e il 2016, organizzò decine di finti matrimoni tra Battipaglia, Eboli e nel Nord Italia.
La puerpera concordò con la Iadanza la falsa dichiarazione di paternità, permettendo al marocchino di ottenere la carta di soggiorno e favorendo così gli affari dell’associazione.
La falla nel sistema.
A far saltare gli equilibri dell’organizzazione fu il matrimonio fittizio e burrascoso celebrato il 22 settembre di due anni fa davanti all’ufficiale di Stato civile di Olevano sul Tusciano.
Per renderlo più credibile, la Iadanza aveva suggerito di far ospitare per qualche tempo la finta sposa, una marocchina irregolare, nella casa del finto sposo. La convivenza non fu delle migliori.
Fu il fratello del finto sposo a rivelare l’imbroglio ai carabinieri della locale stazione (grande!).
E a rivelare che la straniera non era, di fatto, la cognata.