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Mauro Floriani, il marito di Alessandra Mussolini ed ex capitano della Finanza è coinvolto nel giro delle giovani prostitute( molti preferiscono baby squillo) e rischia 4 anni di carcere.

Al telefono chiamata dalla giornalista de Il mattino Cristiana Mangani risponde con un filo di voce «Cosa posso dire? Sono distrutta» poi la si sente chiaramente che piange.

E’ turbata, offesa, non solo preoccupata. Si sente tradita, è stata tradita dal suo uomo, l’uomo di sempre, suo fidanzato dai tempi della scuola e poi marito.

Dal giorno in cui il marito è finito nell'inchiesta sulle baby squillo, il matrimonio è andato in frantumi.

Lui ha dovuto fare i bagagli e si è trasferito in un non molto lontano da quello della famiglia.

Alessandra, invece, insieme ai tre figli, Caterina, Clarissa e Romano, è andata dalla mamma, Maria Scicolone.

«Devo pensare a loro, devo proteggerli», sembra abbia detto ai suoi più cari.

“La procura di Roma ha iscritto Floriani per prostituzione minorile, e potrebbe rischiare - qualora le contestazioni nei suoi confronti venissero definitivamente accertate dai magistrati - fino a 4 anni di carcere.

Decisiva la Convenzione di Lanzarote, ratificata in Italia nel 2012, sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale. Una ratifica voluta fortemente dalla moglie in Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Perché meravigliarsi, quindi, se ora non è scesa in campo, lancia in resta, per difendere il marito”.

Antonio Bassolino ex sindaco di Napoli ha scritto « Ad Alessandra Mussolini esprimo la mia vicinanza umana».

Anche Tirrenonews le è vicino.

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La procura di Roma contesta all'ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri il reato di false dichiarazioni a pubblico ministero.

Tutto nasce dalla vicenda delle telefonate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, arrestato dalla procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta su Fonsai insieme alle figlie, Giulia e Jonella.

Il fascicolo era stato invito arrivato dalla procura piemontese a quella romana per competenza.

Non aveva indagati né ipotesi di reato.

Agli atti c'era soltanto il verbale dell'audizione dell'allora Guardasigilli che si era svolto al ministero di via Arenula il 22 agosto 2013.

Al tempo il ministro Cancellieri non era indagato ma il procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi, gli aveva chiesto conto di alcune telefonate con Antonino, finite nell'inchiesta sulla compagnia assicurativa.

Il ministro sulle telefonate era stato molto vago, ed aveva ammesso di aver parlato con il suo "amico di famiglia" il 19 agosto e di aver discusso delle condizioni di salute della nipote, ma di aver risposto a una sua telefonata.

Ma la cosa alle indagini non è risultata vera.

I tabulati dimostrarono infatti che la telefonata della durata di 6 minuti era stata fatta da lei

Anche per un contatto precedente all'interrogatorio la cancellieri aveva detto di aver sentito Ligresti che le "aveva mandato un sms per sapere se c'erano novità".

Il contatto però era avvenuto telefonicamente. Antonino Ligresti aveva sì scritto al ministro che, però, lo aveva richiamato dal suo numero di telefono e anche in quel caso, come pochi giorni prima, la conversazione era durata parecchi minuti.

Silenzi, omissioni, imprecisioni poi smentite dagli atti anche sui rapporti con il marito del Guardasigilli, Sebastiano Peluso, che la procura di Torino aveva verbalizzato senza però contestargliele.

Forse lo avrebbe fatto se il caso non fosse scoppiato imponendo, a quel punto, l'invio degli atti a Roma, chiamata a indagare per il criterio della competenza territoriale.

Quando il procuratore capo Giuseppe Pignatone, ha ricevuto gli atti, ha disposto una serie di accertamenti, tra i quali anche l'acquisizione dei tabulati telefonici del ministro.

Da lì le incongruenze di quella testimonianza di agosto.

Si impone quindi di risentire l’ex Guardasigilli.

E per sentirla di nuovo e in modo super protetto negli uffici distaccati della procura in piazza Adriana, i pubblici ministeri Simona Marrazza, Erminio Amelio e Stefano Pesci hanno deciso di iscrivere l'allora ministro nel registro degli indagati per quelle false dichiarazioni rese ai colleghi torinesi.

Ad accompagnarla c'era il suo avvocato, Franco Coppi.

Sembra comunque che i PPMM siano orientati a chiedere l'archiviazione.

Ma l’ultima parola spetta al giudice per le indagini preliminari.

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Venti gli indagati, imprenditori e professionisti. Diversi i calabresi.

I carabinieri di Reggio Emilia hanno individuato e smantellato una presunta associazione a delinquere tra diversi soggetti, tra cui alcuni calabresi, accusata di clonare ditte realmente esistenti sul territorio nazionale e di effettuare acquisti di ingenti partite di merci di varia natura addebitando i costi alle ditte clonate.

Con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata all'uso di fatto falso, sostituzione di persona giuridica, truffa aggravata e continuata, sono state denunciate 12 persone, di cui due residenti nel milanese, 6 nel reggiano e 4 tra Modena e Parma in prevalenza calabresi (tra cui un parente diretto di Nicolino Grande Aracri, capo indiscusso della 'ndrangheta cutrese che ha ampie propaggini nel reggiano).

Nei guai anche otto imprenditori, fra cui un reggiano e 7 calabresi, ritenuti responsabili del reato di reimpiego di denaro o beni di provenienza illecita in attività lecite. Un business che le indagini dei Carabinieri di Reggio Emilia hanno stimato in oltre 1 milione di euro.

Nel corso dell'operazione "Total bluff", coordinata dal sostituto procuratore Valentina Salvi, sono finite agli arresti domiciliari tre persone, Enrico Gulloni, 52 anni, di Gioia Tauro (Reggio Calabria), Alfio Rovatti, 40 anni, residente a Reggio Emilia e Paolo Bonini, 53 anni, residente a Parma.

C.M., 45 anni, residente a Nova Milanese, è stato invece sottoposto a obbligo di dimora. Il colonnello dei carabinieri, Paolo Zito, presente in conferenza stampa, ha detto che queste persone hanno "legami di parentela e si muovono in un contesto tipico della criminalità organizzata".

Le indagini, condotte dal maresciallo Olindo Varratta, comandante della caserma di Santa Croce, sono iniziate nel 2011 in seguito a una denuncia fatta in provincia di Padova che non aveva ricevuto il pagamento della merce inviata. I beni che arrivavano dalle aziende venivano stoccati in un capannone, in via Ruspaggiari (poi sequestrato), nel quartiere di Santa Croce. Lì dentro è stato trovato di tutto: materiali edili, materie prime metalliche, gasolio.

Racconta il maresciallo Varratta: "Questa associazione mandava alle aziende a cui chiedeva la merce false visure camerali e falsi bilanci di aziende operanti in vari settori del mercato simulandone l'identità. Poi acquisivano la merce addebitando il costo dell'operazione alle reali società di cui avevano clonato l'identità. I proventi venivano reinvestiti nel miglioramento e nell'ampliamento dell'organizzazione criminale, oppure rivendendo con grossi sconti il materiale a imprenditori della zona". Da http://www.reggionline.com.

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