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La famiglia Curato, de Curato o Curati, originaria di San Lucido (paese che prese il nome da San Lucido di Aquara e diede i natali a Frà Giovanni, compagno eletto di San Francesco di Paola, e al cardinale Fabrizio Ruffo, condottiero delle truppe sanfediste contro la Repubblica Napoletana del 1799, oggi comune sul Tirreno cosentino poco distante da Amantea), giunse a Cosenza nel 1456 e fu aggregata alla prima piazza del sedile.

 

Giovan Francesco de Curato († 1534), ebbe in possesso il Mulino feudale di Amantea (feudo fiscale) composto dall'orto e da due mulini, uno di essi detto di Catocastro prende il nome dell'omonimo torrente e dell'antico quartiere di Amantea.

Giovan Rutilio († 1540) patrizio di Cosenza, figlio di Giovan Francesco fu il suo successore.

Sposò Beatrice de Riso.

Giovan Vincenzo, ebbe significatoria di relevio il 2 ottobre 1545; lo vendette o donò a sua madre, alla sua morte riebbe significatoria di relevio il 19 novembre 1548.

(Il relevio altrimenti detto laudémio era un tipico tributo feudale esistente nel Regno normanno di Sicilia, che continuò ad esistere nei successivi regni di Napoli e Sicilia fino alla eversione della feudalità, dovuto al Re dal feudatario in due occasioni:

1) all'atto della sua prima investitura e 2) al momento della successione feudale.

Nel secondo caso, gli eredi del feudatario potevano conservare il possesso dei beni immobili solo dopo aver pagato una somma (detta appunto relevio) che in un certo senso rinnovava e perpetuava l'investitura feudale del dante causa.

Giovan Vincenzo de Curato vendette il feudo a Giulio Cesare Fava con Regio Assenso il 9 gennaio 1550.

I Fava si distinsero per la fiera opposizione verso i francesi nel 1807, grazie a donna Laura Procida Stocchi, moglie di Giulio Cesare Fava, che giunse ad impugnare addirittura le armi contro le truppe napoleoniche e “che iva a cavallo, scrive il Padula, con i suoi torrieri e mugnai” nell’inutile tentativo di combattere un nemico decisamente più forte.

Dopo la resa della città di Amantea, furono costretti a scegliere la via dell’esilio e l’umiliazione della confisca dei loro beni, tra cui il mulino e l’orto.

I detti beni finirono nella disponibilità del comune di Amantea e lo sono ancora oggi.

Oggi versano in un ingiustificato stato di abbandono.

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Don Pasquale Mirabelli Centurione   era   mezzo calabrese   e   mezzo   basilisco,   e   da   circa   dieci   annigovernava   quella   provincia.  

Fedelissimo   al   Re,   cui doveva   l'elevato   posto,   per   la   simpatia   ispiratagli   dai suoi modi di attore da arena e dal suo spirito rozzo, ma non   senza   qualche   acume,   egli,   nativo   di   Amantea,   vi era   stato   sindaco   e   poi   sottointendente,   dalla   quale ultima     carica     fu     destituito     durante     il     periodo costituzionale   del   1848.  

La   gesticolazione   teatrale   e l'enfasi calabrese erano gran parte della sua natura, e degli,   anziché   temperarle,   le   esagerava   simulando  sensi feroci, mentre in fondo aveva indole non cattiva, tranne coi liberali.

Per questi perdeva addirittura la testa.

Erano nemici   del   Re,   e   tanto   bastava,   perchè   egli   si   potesse permettere ogni nequizia a loro danno, come fece con Poerio, Castromediano, Schiavoni, Braico, Pica, Nisco egli   altri   condannati   politici,   rinchiusi   nelle   galere   di Montefusco.  

Il   suo   governo   fu   demoralizzatore   per necessità degli eventi e per la quasi assoluta assenza di carattere.  

Certo   la   dignità   umana   non   deve   molta riconoscenza   al   Mirabelli,   ma   egli   fu   personalmente onesto, e, perduto l'ufficio nel 1860, visse a Napoli in miseria   il   resto   della   sua   vita.  

Suo   figlio   Filippo   era sottointendente di Altamura.

Da La fine di un regno: Napoli e Sicilia.Parte I: Regno di Ferdinando II (nella foto)di Raffaele De Cesare

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“Come è possibile rapportarsi positivamente con il Pd regionale e locale visto che, ad esempio, nei prossimi giorni la Regione Calabria, a guida Pd, si prepara a riaprire ben cinque discariche dismesse?”.

Lo scrive il presidente dell’Antimafia Nicola Morra, che evidenzia così le distanze con il Pd calabrese.

 

 

 

 

“L’ArpaCal stessa ha riscontrato e ribadito negli ultimi anni che, a causa della discarica di Castrolibero, l’acqua di falda sarebbe inquinata visti i superamenti dei valori di Legge, – aggiunge Morra – come riportato nella documentazione dell’Ente”.

“Per questo motivo – spiega il pentastellato – ho già chiesto al ministro dell’Ambiente Sergio Costa di bonificare il sito e chiudere definitivamente la discarica”.

“Zingaretti ammetta che l’ambiente non è la priorità del suo partito, almeno di quello calabrese, – dice ancora Morra – perché mentre a Roma si parla di green new deal, in Calabria, dopo quattro anni e mezzo di loro governo, si riaprono discariche dismesse e potenzialmente pericolose”.

“Il Movimento 5 Stelle ha nel suo Dna la tutela dell’ambiente – puntualizza Morra – ed è per questo che non potremo allearci con chi minaccia la salute dei cittadini.

Nei prossimi giorni sarò in Procura per depositare un esposto a tutela dell’ambiente e quindi della salute pubblica a meno che la Regione intenda trovare soluzioni sostenibili e rispettose dei diritti dei cittadini”.

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