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ombrello studentePassata la sbornia delle elezioni in Sardegna e della vittoria al fotofinish dell’On. Todde, oggi ci occupiamo dell’occupazione studentesca del famoso Liceo Parini di Milano e dell’ombrellata data sulla testa di uno studente da parte di un professore che voleva a tutti i costi entrare in classe, ma che gli studenti gli hanno impedito con la forza di entrare. Non si può entrare. Qui non si passa. La scuola è occupata. Comandiamo noi. Gli altri dovranno ubbidire. Anche Massimo Gramellini nella sua rubrica “Il Caffè” sul Corriere della sera ha scritto:- A scuola con l’ombrello-. Ah, l’ombrello, ma noi lo usiamo quando piove per ripararci dalla pioggia, invece un professore milanese l’ha usato per picchiare gli studenti del Liceo Parini che protestavano pacificamente usando fumogeni e che avevano occupato la scuola e impedivano a chiunque di entrare in classe. Lo avevano deciso la mattina presto: Nessuno doveva entrare in classe. Lo studente che ha subito l’ombrellata non si è fatto niente. E paragonare l’uso dell’ombrello da parte di un solo professore con le manganellate della polizia a Pisa e a Firenze mi pare un po’ esagerato. Ma il Prof. non doveva usare l’ombrello. Questo è pur vero. Ha esagerato un poco. A scuola si usano solo libri, penne e calamai. E’ accusato: E’ uscito dal suo ruolo. Ma il Prof. voleva entrare a scuola come faceva tutte le mattine. Era un suo diritto. Ma i ragazzi che erano all’ingresso gli hanno sbarrato la strada. Il Prof. non era stressato. Gli studenti non l’avevano deriso o contestato. Non c’entra se la paga del Prof. è una miseria. Gramellini ha così commentato l’episodio:- Se l’insegnante esce dai gangheri esce anche dal suo ruolo-. Ma il Prof. voleva solo entrare in classe. Era o non era un suo diritto? E allora perché criticarlo. Gli studenti, anche se pacificamente, gli hanno impedito di esercitare un suo diritto. L’ombrellata è solo un banale episodio. Ma cosa chiedevano gli studenti e perché protestavano: Cessate il fuoco a Gaza. Manifestazione a favore della Palestina. Proteste contro l’uso dei manganelli da parte della polizia. Supporto ai 18 studenti feriti negli scontri. Critica alla Meloni e al Ministro Valditara. Ma io dico e confermo: Gli studenti hanno la massima libertà di protestare e criticare chiunque, anche il Presidente del Consiglio, però non hanno nessun diritto di occupare un edificio pubblico e di impedire con la forza e la violenza a compagni e professori, che non aderiscono alla protesta, di entrare in classe. Meno male che non ci sono stati feriti, solo un’ombrellata. Non ci sono state manganellate, nessuno ha chiamato il 118, nessuna ambulanza è arrivata. Il gesto del Prof. sta facendo, però, discutere.

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braccio di ferroNel passato qualcuno (mio padre) voleva a tutti i costi farmi nascere, crescere e diventare capitano di lungo corso su un veliero sull’oceano Indiano, cercatore di pepite d’oro nei fiumi del Klondike e scrittore in Argentina, la terra di J. L. Borges. Sembrava così vero che a volte finivo per credere che fosse vero.

I sogni di quel qualcuno mi costrinsero a varcare l’Atlantico a bordo di una nave di crociera che si trovò a passare dal porto di Napoli il giorno del funerale di Totò nel mese di aprile del 1967. I risultati di quella costrizione mi resero libero. Di questo gliene sarò sempre grato.

Un sogno, che non faccio più da decenni, era la trasformazione del mondo in cui ero nato e la valorizzazione degli “umili” (questo termine certamente mutuato da Antonio Gramsci) che non poteva essere altro che il sabotare tutto ciò che veniva imposto. Come si doveva riuscire a concretizzare quella concezione di un mondo nuovo e senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo?

Bisognava, innanzitutto, organizzarsi usando un metodo per la trasformazione sociale che di per sé era già strumento di conoscenza. L’obiettivo era l’esaltazione del valore d’uso del lavoro contro i "regimi politico-sociali fondati sul sistema capitalistico di produzione, in cui la classe dirigente è espressione delle forze economiche sfruttatrici e dominanti." Concetti che sedussero Filippo in una calda giornata di agosto di un secolo fa.

A quelli che, per esempio, ben poco sapevano sull'operato in Africa da parte di noi occidentali, consiglierei vivamente la lettura di "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, un polacco che scriveva in inglese.

"Cuore di tenebra" è stato spesso interpretato sia come un atto di accusa al colonialismo occidentale sia come un percorso di introspezione psicologica nell’animo umano, alla ricerca delle radici del Male e delle sue motivazioni.

La scelta di Conrad è stata quella di fare di queste due dimensioni le parti del “Cuore di tenebra” che Marlow, partito come avventuriero al soldo di una compagnia commerciale, scoprirà poco a poco durante la risalita del fiume.

Il punto è che questa scoperta non è affatto neutrale e senza conseguenze. Da un lato, sul piano storico, è una severa denuncia degli orrori nascosti su cui si regge l’economia e il benessere del “mondo civilizzato”: Kurtz (e la Compagnia per suo tramite) si arricchiscono sfruttando ciecamente le risorse dell’Africa da una posizione di potere politico e militare; le norme di Kurtz sullo sterminio dei nativi sono il punto d’arrivo finale ed estremo di una logica perversa di dominio.

D’altro canto, la ricerca di Kurtz da parte di Marlow porta in superficie tutta l’ambiguità affascinante del lato oscuro dell’umanità occidentale; i contorni tra Bene e Male cominciano a sfumare a mano a mano che si procede verso la verità, tanto che la figura di Kurtz - centro gravitazionale del “Cuore di tenebra” romanzo - è ammantata da un’aura irresolubile di ambiguità, cui Marlow non riesce a sottrarsi.

Durante il ritorno, mentre anche Marlow s’ammala gravemente, Kurtz muore, consegnando al protagonista alcune carte e una fotografia, mormorando solo “L’orrore! L’orrore!”.

Dal capolavoro di Conrad, Francis Ford Coppola ne ha tratto un film. "ApocalypseNow". E' una discesa lungo un fiume che pare conduca agli inferi, e c’è Coppola che ci porta in una giungla abbandonata dal mondo eppure ricca di fascino misterioso («Il limitare di una giungla colossale, di un verde così scuro da sembrare quasi nero, orlato dal bianco della risacca, correva dritto, come tracciato con la riga, lontano, lontano lungo un mare azzurro il cui scintillio era offuscato da una foschia strisciante»); c'è Kurtz, un uomo notevole. “Lui aveva qualcosa da dire. E lo disse”.

Un magnifico oratore, un “genio universale”. “È l'emissario della pietà, della scienza, del progresso e il diavolo sa di quante altre cose”. Un estremista, uno al quale non si parla ma che sarebbe preferibile ascoltare; ci sono morte, follia e menzogna che si mescolano fino a diventare un'unica cosa

“Nella menzogna c'è un odore di morte, di corruzione della carne, che ricorda ciò che fa più orrore al mondo e che si cerca di dimenticare”.

Ci sono anche il volto imbrattato di Martin Sheen che esce dalle acque paludose e quello di Marlon Brando che lentamente buca l'oscurità, Coppola e Storaro che fanno una fugace comparsata (come membri di una troupe televisiva), Robert Duvall che imperturbabile vuole praticare il surf in mezzo ai bombardamenti, il fotoreporter Dennis Hopper che riconosce la potenza visionaria di Kurtz :“La sua mente è lucidissima, ma la sua anima è matta”, Harrison Ford in una piccola parte e un giovanissimo Laurence Fishburne (sarà Morpheus nella saga di Matrix); c'è Jim Morrison con la canzone "The end".

Geniale cominciare il film con quella canzone) e la “Cavalcata delle valchirie” di Wagner, a sottolineare la notissima scena dei bombardamenti, con la musica “sparata” ad alto volume dagli amplificatori montati sugli elicotteri da guerra. E poi ancora Kurtz, “ombra più tenebrosa dell'ombra della notte”, e l'insieme di dubbi e ripensamenti che lascia in chi lo ha incontrato. “Marlow tacque e rimase seduto in disparte, indistinto e silenzioso, nella posa di un Budda in meditazione”. Infine l'orrore, ancora lui che ritorna. “L'orrore”!

Sulla lapide di mio padre, presso il cimitero di Amantea, OGGI si legge: “Arriverà la Primavera col profumo dei fiori e il volo delle rondini”.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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Istituto-Papa-GiovanniPasseggiando l’altro giorno per le vie di Corso Mazzini a Cosenza fui attratto da una locandina appesa al muro nelle vicinanze di una edicola:- Scandalo di Serra d’Aiello, chiesti 120 milioni di euro alla Diocesi-. Leggendo la notizia mi è tornato alla memoria l’antico romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga e un suo integerrimo aforisma: Ad albero caduto, accetta, accetta. La famiglia di padron ‘Ntoni aveva perso tutto, il figlio Bastianazzo, la nuora Maruzza detta La Longa, la barca “La Provvidenza”, il carico dei lupini, la casa del “Nespolo”, il disonoree tutti hanno infierito su chi era caduto in disgrazia. Sono stato colpito da questo detto. E’ facile, facilissimo ora attaccare chi è caduto in disgrazia. Dopo tanti anni, ce ne eravamo quasi del tutto dimenticati, è venuto alla luce lo scandalo dell’Istituto di Serra d’Aiello “Papa Giovanni XXIII°”, istituto ardentemente voluto, fondato e diretto con tanto amore e dedizione dal defunto sacerdote Don Giulio Sesti Osseo, originario di Belmonte Calabro. Io l’ho conosciuto questo sacerdote, ero un Aspirante dell’Azione Cattolica, quando venne a San Pietro in Amantea la prima volta a celebrare una Santa Messa nella Chiesa della Madonna delle Grazie dopo la sua ordinazione sacerdotale. Era molto amico del parroco Don Giovanni Posa e la famiglia Sesti Osseo aveva parenti anche in paese. E quando venne per la seconda volta, dopo l’allontanamento dalla struttura da lui fondata, ad inaugurare sempre a San Pietro in Amantea, una piccola struttura denominata “Il Resto” che accoglieva pazienti provenienti dalla struttura di Serra d’Aiello. Si fermò in paese alcuni giorni e celebrò le Sante Messe nella parrocchia di San Bartolomeo Apostolo in attesa che venisse nominato parroco. Non solo non venne nominato parroco, ma questa struttura dopo alcuni anni, morto don Giulio, subì la stessa sorte del Papa Giovanni. Chiusa e abbandonata. L’Istituto di Serra d’Aiello fondato da don Giulio fu chiuso e poi venne dichiarato fallito nel lontano 2009. Sono passati diversi anni. Molti pazienti furono ospitati in altre strutture regionali e provinciali, i dipendenti, tanti, tanti, furono licenziati. Alcuni si sono riciclati ed hanno trovato lavoro nelle varie cliniche private e negli ospedali. La maggior parte fu costretta ad emigrare. Ora, dopo 15 anni, è ritornato lo scandalo, il debito milionario e l’inchiesta giudiziaria che portò all’arresto e alla condanna Don Alfredo Luberto, amministratore della struttura per conto della Archidiocesi di Cosenza-Bisignano. Chiuso l’Istituto, allontanati i malati e i ricoverati, licenziati i dipendenti, sono rimasti solo i debiti accumulati che vennero messi all’asta nel 2019, cinque anni fa. Nel 2020 sono stati acquistati da una società italo belga con sede a Roma e adesso il suo avvocato ha chiesto all’Archidiocesi di Cosenza-Bisignano il pagamento di 120 milioni di euro. Il Papa Giovanni non solo è fallito, non solo ha dovuto chiudere i battenti, non solo ha dovuto allontanare i suoi tanti dipendenti che avevano finanche costruito le loro case nelle vicinanze della struttura, ora dovrà pure pagare i debiti accumulati durante la dissennata gestione di don Luberto. Allora è vero come disse Verga: Ad albero caduto, accetta, accetta.

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