
Non ho nessuna intenzione di ricostruire in laboratorio impossibili memorie condivise un tempo che fu, ma di riconoscere che Amantea, la città che mi ha dato i natali, custodisce orgogliosamente un passato calcistico di cui andare fieri. L’attaccamento a quei valori e ai ricordi di quei fantastici risultati ottenuti sin dal 1927 e consegnati alla storia, sono un patrimonio che ci arricchisce tutti, indistintamente.
Ultimamente, Amantea è stata troppo ingannata e troppo delusa, perché debba provare ancora delusioni. Senza scomodare Salvemini, Nitti, Gramsci e tutti i grandi intellettuali che hanno studiato la questione meridionale, è evidente che l’economia del Sud ha sempre fatto fatica ad emergere.
Primo fra tutti, al Sud mancano grandi gruppi industriali in grado di patrocinare una città, come fatto, solo per fare alcuni esempi, dalla famiglia Agnelli con Torino, dal gruppo Percassi con Bergamo, dagli Squinzi che hanno saputo portare sul palcoscenico nazionale una realtà provinciale come quella di Sassuolo.
Esistono delle vere e proprie disfunzioni e prassi fuorvianti delle amministrazioni regionali e locali nella regione Calabria, e anche sedimentazioni profonde di comportamenti collettivi impropri. Insomma, non solo ci sono pochi soldi, ma quei pochi sono, in parte, gestiti male dalle Amministrazioni calabresi.
Vorrei ricordare al Capo dell’amministrazione di Amantea che negli ultimi dieci anni, sono stati investiti solo 180 milioni di euro a fronte dei 15 miliardi di euro investiti negli stadi del resto dell’Europa. Eppure, in questa grande trasformazione del calcio che stiamo vivendo, lo stadio diventa un luogo fondamentale: non più asset immobiliare, ma infrastruttura strategica del futuro.
Il calcio è diventato, egregio Primo Cittadino, uno strumento vitale per migliaia di programmi di sviluppo sociale promossi da organizzazioni non governative e comunitarie in tutto il mondo. Questi programmi forniscono ai bambini e ai ragazzi mezzi importanti per rendere la loro vita veramente differente. Affrontando le questioni più urgenti in ogni comunità, questi programmi stanno contribuendo ad un positivo cambiamento sociale su scala globale.
Nel 2005 la FIFA e l’ente Street football world hanno iniziato congiuntamente a mettere insieme organizzazioni di questo genere rafforzando i loro programmi attraverso il supporto diretto e l’incremento della loro visibilità. Il movimento “Football for hope” (il calcio per la speranza ndt)”è stato creato proprio come movimento unico e globale che usa il potere del calcio come forza per lo sviluppo sociale sostenibile. Un Rapporto Sport e Società non può ovviamente avere un carattere puramente celebrativo occorre quindi analizzare anche le criticità e le distorsioni che minano l’etica ed il portato valoriale dello sport.
La capacità dello sport di innervarsi nella società – anche come veicolo di comunicazione sociale – è un fatto noto anche se a volte dimenticato. Oltre lo sport spettacolo solidaristico (partite del cuore, manifestazioni sportive di denuncia, etc.) che richiama pubblici e audience esiste una capillare attività di promozione del sociale che gli organismi territoriali e le migliaia di società sportive pongono in essere.
Sono certo che nel partecipare alle elezioni passate, vinte dall’attuale maggioranza, il Condottiero della cordata non avrà sprecato neanche un attimo nel soffermarsi su tematiche, forse per lui banali, come quella dello sport e sull’importanza che ha nella collettività di una cittadina come Amantea.
Altri condottieri come Annibale e Napoleone vengono celebrati come geni della guerra. Ci si è mai domandato perché? Che diamine: perché gli storici scrivono per i vincitori di quei geni inarrivabili. Ora tu, cara vecchia smandrappata Amantea 1927, hai sfruttato appieno le virtù della tua indole. “Non si può giocare a calcio senza storia”.
Non fossi sfinito per altri motivi, le troppe note prese e poi svolte in frenesia, le seriazioni statistiche e le molte cartelle dettate quasi in trance, giuro candidamente che attaccherei questo pezzo secondo ritmi e le iperboli di un autentico epinicio come nella lirica della Grecia antica, che era un vero e proprio canto corale di vittoria.
Egregio Condottiero, hai gli occhi addosso di migliaia di Amanteani, che chi scrive di politica o di cultura può solo sognarsi. Da qui viene una cura per ciò che avviene intorno ad un avvenimento e una indispensabile precisione nello scrivere. Basterebbe ricordare il passato di giornalista sportivo di Indro Montanelli, ma anche l’epopea di Gianni Brera.
Devo essermi distratto per non aver riconosciuto in illo tempore, la caratteristica un po' alla Dionisio, tiranno di Siracusa, ed anche un po' di Abd el Karim, pirata saraceno. Altezza media, possente, i capelli neri ondulati, non crespi, il naso forte, gli occhi vivi, sempre capaci di accendersi d' una luce non proprio bonaria, i baffetti sottili a proteggere una bocca larga e sensuale, tracciata di netto sopra un mento quadrato e volitivo.
Il nostro personaggio era ed è certo di esser nato per comandare, lo distingui sicuro protagonista quando ormai ti sei sbilanciato in un giudizio fin troppo perentorio: ho scritto infatti di lui che è un "KONDUCATOR". In sogno mi sono rivolto al lui chiedendogli, rispettosamente, di porre fine, rassegnando le dimissioni, a questo ciclo amministrativo inconcludente e disastroso per le sorti già avvilite della città. Come lui ben sa, i cittadini di Amantea stanno pagando sulla propria pelle la ormai farsesca vicenda di un’amministrazione che, perdendo i propri pezzi strada facendo, non è riuscita a fare nulla di buono e di utile.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik
Oggi voglio onorare quei pensieri che durano il tempo di una stella cadente.
Ciò che viene definito ‘normale’ è figlio della repressione, del diniego, della proiezione, introiezione, spaccature e altre forme di azioni distruttive acquisite con l’esperienza. E’ radicalmente alienato dalla struttura dell’essere.
Più si riconosce, più si pensa all’inutilità di andare avanti con descrizioni generalizzate di presupposti e specifici schizoidi, schizofrenici, “meccanismi” isterici. Inoltre, non bisogna dimenticare che vi sono forme di alienazione relativamente strane rispetto a quelle statisticamente ‘normali’. La persona alienata ‘normale’, per il semplice fatto che agisce come gran parte della gente, viene considerata sana di mente.
Altre forme di alienazione considerate fuori dal seminato del prevalente stato di alienazione sono quelli che vengono additati dalla maggioranza come cattivi o matti e dunque facenti parte di una minoranza. Non si possono schiudere le ali della libertà e volare senza lasciare qualcuno o qualcosa dietro di Te. Aiuto!!!
La soluzione del dilemma me la diede lo scrittore John Fante: “Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo a Bunker Hill nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.”
Il mio breve sonno venne riempito dalla presenza di Vladimir Majakovskij e a ciò che scriveva alla sua donna, anche se, forse, in maniera, un po' esagerata: "L'amore è la vita, è la cosa più importante. Dall'amore si dispiegano i versi, e le azioni, e tutto il resto. L'amore è il cuore di tutte le cose... Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se funziona non può non manifestarsi in ogni cosa."
Al mattino non Ci fu nulla di più odioso del trillo della sveglia che mi strappò bruscamente al sonno. Cercai allora, per quanto possibile, di rendere l’impatto meno duro con una suoneria gradevole. La luce del sole è stato il segnale più naturale e atavico dell’ora in cui svegliarsi. Visto che dormire in una stanza buia è il modo più fisiologico per assicurarsi un buon riposo.
Mi sono svegliato poco a poco, come quando ero bambino, per gradi. Nel corso degli anni ho cominciato a scoprire me stesso e il mondo. Per lungo tempo li ho dimenticati, per poi riscoprirli. Qualche anno fa, preso coscienza del risveglio, ho cominciato ad ipotizzare che uno degli anni futuri, sarei stato sveglio sempre più, senza mai più tornare indietro, senza mai più liberarmi di me stesso.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik
Dopo aver passato il tempo ad andare, viaggiare, pianificare, a cercare posti con più possibilità, più lavoro, più locali, più persone, più rumore. Salvo poi accorgermi che, quando davvero abbiamo bisogno di sentirci a casa, è il ritorno l’unico gesto che siamo in grado di compiere. Una riflessione che mette assieme la voce di Cesare Pavese e di noi mortali.
Mentre riflettevo sul senso della mia nuova esistenza in Calabria, mi è capitato in mano il testo “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar che ho riletto con vero piacere.
“Le memorie di Adriano” è una profonda meditazione in prima persona sul tempo, sulla morte, sul potere, sul divino; ma nel contempo è anche un libro di memorie, e un romanzo storico: in questo sta il suo carattere innovativo. La scrittura mescola narrazione e riflessione filosofica, ed esclude discorsi diretti e impressioni immediate.
“Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo”, è la confessione dalla quale traspare un potente desiderio di ricercare un accordo tra la felicità e il metodo, tra l’intelligenza e la volontà, facendosi ad un tempo carico dei problemi di tutti gli uomini.
Penso sinceramente che chi amministra la Cosa pubblica si debba a suo modo sentire responsabile, come l’imperatore Adriano, della bellezza, la felicità dei concittadini e la giustizia sociale.
Ma questo pensiero si è addirittura tramutato in una spina dolorosa, continua, nella ricerca di un nesso tra quanto stava capitando, in particolar modo nel nostro territorio sull'impossibilità di definire la qualità e tutto quanto sapete benissimo perché l’avrete letto sui giornali, un nesso dicevo tra l’attuale situazione di chi amministra il Bene Pubblico e alcuni concetti di fondo come il bello, il vero, il giusto.
Concetti che mi sono venuti ripetutamente alla mente perché nelle mie diatribe quotidiane di questi ultimi tempi con i cittadini di questo paese che mi ha visto nascere mi è sempre stato rinfacciato di inseguire concetti indefinibili che mi avrebbero impedito una corretta pratica e moderna gestione della nostra terra e così – poiché non mi arrendo tanto facilmente – ho pensato che fosse venuto il momento di socializzare questo mio pensiero, vista l’impossibilità di farlo dove invece si dovrebbe fare, e dove invece si preferisce usare sempre più spesso il potere contro la verità.
Così come dovrebbe far riflettere che ci siano alcuni “maitre a penser” in questa nostra cittadina che hanno grandi responsabilità nell’operare per il Bene Pubblico, con grande serenità e lucidità fanno addirittura delle separazione, della scissione del vero dal giusto e dal bello la loro bandiera cultural/professionale. Si arriva così a sostenere che ogni forma di programmazione è pura fiction, pura sostituzione della realtà con una sua protesi artificiale allo scopo di procurare emozioni a chi non è più in grado di provarne nella vita di ogni giorno.
Per la verità non si tratterebbe di una sostituzione grave se il concetto di "bello" ed in generale le categorie dell'estetica avessero conservato ancora una loro intima relazione con il concetto di verità e di giustizia. In questo caso ci troveremmo dinnanzi ad una accentuazione diversa, ad una graduazione mutata di elementi all'interno della stessa scala di valori. In realtà è venuta meno, sembrerebbe irrimediabilmente, la stessa solidarietà che in tutto il pensiero classico e in molta parte del pensiero moderno ha caratterizzato il rapporto tra il vero, il bello, il giusto.
L'allargamento del ruolo della comunicazione e della informazione a principale fattore di ordinamento della convivenza umana ha fatto sì che, con il declino delle grandi agenzie di senso ( siano esse religiose o ideologiche) le preoccupazioni della società occidentale venissero espresse non più in termini etici ( il giusto ) ma in termini estetici ( il bello).
Trasferito in campo amministrativo, potremmo dire che al concetto di utilità si sostituisce quello di gradimento; al concetto di bene, quello di partecipazione. L'utilizzo massiccio delle procedure di consenso (ovvero tutta la comunicazione più tutta l'informazione all'interno di sistemi chiusi e tendenzialmente monopolisti di controllo dei mass media), l'utilizzo massiccio dell'estetica e degli obiettivi sociali implica che gli uomini conoscano che cosa è l'uomo, a cosa serve, a cosa
tende.
Ogni essere umano sa che il bello che produce non è solo un prodotto delle sua mani. Usando un esempio che atteneva al mio lavoro ,con i suoi meccanismi così simili a quelli del procedimento artistico (sintesi, taglio, montaggio, compresenza di più livelli cronologici e semantici, pluralità dei punti di vista) potrebbe essere un grande fattore di educazione al bello…ma il fatto che invece si avvicini sempre più spesso alla parola TV l’aggettivo spazzatura dovrebbe farci riflettere.
La vera etica ( il giusto) nasce dalla ontologia (dalla verità e dalla sua conoscenza). Una estetica che non sia lo splendore del vero e del giusto è condannata ad una mortale contraddizione che tanto più stridente quanto più estremo è l'impiego che se ne fa: non bastano dirigere i violini per coprire gli orrori di Auschwitz, come non basta un bel manifesto elettorale per nascondere la falsità.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik