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Tre settimane fa l’omicidio del giornalista Jan Kuciak, che indagava sui presunti legami tra politica e `ndrangheta

Il premier socialdemocra tico slovacco Robert Fico ha annunciato le dimissioni, nella bufera dopo l’omicidio del giornalista Jan Kuciak, che indagava sui presunti legami tra politica e `ndrangheta. Ieri si era dimesso il ministro dell’Interno Robert Kalinak, dopo le manifestazioni di protesta e le pressioni degli alleati della coalizione Most-Hid.

«Oggi ho offerto le mie dimissioni al presidente della Repubblica» Andrej Kiska, ha dichiarato il premier.

«Se il presidente le accetta sono pronto a dimettermi domani», ha aggiunto.

L’uccisione del reporter

L’omicidio è avvenuto nella notte tra domenica 25 e lunedì 26 febbraio.

Con Kuciak è morta la sua fidanzata Martina.

Il ragazzo aveva in bozza un articolo che legava esponenti del governo slovacco di Fico a presunti elementi della ‘ndrangheta, ma sette italiani sospetti sono stati rilasciati per mancanza di prove.

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L'Unione applica una tariffa media sulle importazioni del 5,3%. Gli Usa si fermano al 3,5%.  Ma lo scontro rischia di essere un boomerang per gli stessi Stati Uniti: i precedenti del 1930 e del 2002.

Donald Trump protezionista? Si', ma non è il solo. Anzi, se si guarda ai dati dell'Omc, l'organizzazione internazionale del commercio, è l'Unione europea quella che, nell'Occidente sviluppato, applica i dazi più elevati.

Secondo l'Omc, infatti, il dazio medio applicato dai paesi dell’Unione era del 5,3% nel 2016, superiore nettamente al 3,5% degli Stati Uniti, al 4,2% del Giappone, al 4,1% del Canada e al 2,7% dell’Australia. Per trovare medie più alte di quella europea bisogna guardare alle tariffe dei paesi emergenti.

I dazi di Trump

Dati che danno a Trump un motivo in più per imporre la sua linea dura su acciaio e alluminio. Il capo della Casa Bianca ha annunciato  dazi del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio. Per ora, sono esentati dalle tariffe solo Messico e Canada, mentre il paese più colpito sarebbe la Cina. L'Ue spera di essere esentata, anche perché, stando a uno studio del Parlamento europeo, il rischio per la nostra economia è una perdita di 5,8 miliardi e di migliaia di posti di lavoro in tutto il Continente. 

Per il momento, Bruxelles non ha ancora varato contromisure, sperando in una mediazione last minute. La via del ricorso all'Omc sembra in salita, perché il suo tribunale, che si dovrebbe occupare di dirimere la controversia, rischia di restare senza giudici nei prossimi mesi proprio per l'opposizione degli Stati Uniti a nominare nuovi componenti. L'Ue ha redatto una lista di possibili contro-dazi su beni importati dagli Usa come il bourbon, il succo d'arancia e le arachidi, ma la speranza è di evitare una guerra commerciale. Che, stando agli analisti e alla storia, non converrebbe a nessuno. 

A chi conviene la guerra commerciale?

Una guerra commerciale, stando alle dichiarazioni degli analisti, non converrebbe a nessuno. Ogni paese sviluppato, infatti, rischia di subire contraccolpi. Tanto più chi, come l'Italia, esporta più di quanto importa, con un surplus nella bilancia commerciale di circa 50 miliardi. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, che invece ha un deficit: importa più di quanto esporta, circa 640 miliardi di euro nel 2017. 

Eppure, la storia insegna che il protezionismo è rischioso anche quando la bilancia commerciale è in negativo. L'esempio arriva proprio dagli Usa, che nel 1930 scatenarono una guerra commerciale internazionale. Come racconta l'Agi, il “Trump” di allora fu il repubblicano Reed Smoot, presidente della commissione Finanze del Senato. “Fin dal 1929 – scrive l'Agi - l'America si trova nell'occhio del ciclone, dopo il crack di Wall Street del 1929 e la successiva grande recessione. Smoot è convinto che bisogna salvare i posti di lavoro americani, in pericolo perché troppi paesi stranieri vendono i loro prodotti negli Stati Uniti, minando il benessere dei lavoratori americani”. Allora come oggi, gli Usa avevano un corposo surplus commerciale, poiché la crescita dell'export manifatturiero era più veloce di quella dell'import.

La "tragedia" del 1930

La ricetta di Smoot per restituire all'America i suoi posti di lavoro e il suo benessere è semplice: dazi stellari e protezionismo. Smoot convince il Congresso e una nazione prostrata dalla crisi che, con una stretta sui dazi, tutto tornerà a posto e cosi' riesce a varare nel giugno 1930 il famoso “Smoot-Hawley Tariff Act”, ratificato dal presidente Herbert Hoover, nonostante l'appello di oltre mille economisti a non firmarlo. Nel giro di una notte il provvedimento fa balzare al 60% i dazi su oltre 20 mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli. Il risultato? Un'impennata del nazionalismo in tutto il mondo e una guerra commerciale di Washington con Canada, Francia, Impero britannico, Italia e Germania, che rispondono con misure di ritorsione all'impennata dei dazi Usa.  

Le conseguenze economiche di questa guerra sono, a dir poco, disastrose. Nel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollano del 66%, mentre le esportazioni si inabissano del 61%, insieme al commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplica dall'8% al 25%. In barba alla "nuova era di prosperità" sbandierata da Smoot, la ricchezza degli Stati Uniti si dimezza. 

La guerra commerciale non danneggia solo l'economia Usa ma è anche un boomerang politico per Washington. La legge ultraprotezionista viene smontata nel 1934, non appena Franklin Delano Roosvelt diventa presidente e sostituita con riduzioni delle tariffe legate ad accordi bilaterali. 

Il precedente di Bush

Il caso dello “Smoot-Hawley Tariff Act” ha insegnato che le guerre commerciali sono più che rischiose (e controproducenti per chi le dichiara). Ma la lezione sembrava essere stata dimenticata da George W. Bush, che nel marzo del 2002 avviò una guerra dei dazi sempre per difendere l'acciaio americano. In realtà, ricorda sempre l'Agi, “si trattò più che altro di una guerra annunciata, visto che il presidente dovette presto fare marcia indietro, dopo la messa a punto da parte dell'Ue di contromisure volte a colpire i prodotti Usa, che andavano fino al 100% nel caso di succhi di frutta, T-shirt e slip”. Anche le altre potenze siderurgiche globali, all'epoca, risposero con contromisure per oltre 2 miliardi di dollari in grado di colpire frutta, legumi, tessili, scarpe, moto. Risultato: nel dicembre del 2003 Bush ritirò i dazi sull'acciaio.

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urna-elettoraleRisultato uscito dalle urne il 4 marzo 2018: Hanno vinto Salvini e Di Maio, è stato sonoramente sconfitto Renzi e per il Pd è stata una disfatta senza precedenti. Per risollevarsi da questa inattesa e sonora batosta ce ne vorrà del tempo. Sono già incominciate le diatribe e le notti dei lunghi coltelli. Ora tutti a domandarsi:- Di chi la colpa? Perché c’è stata questa rivoluzione? Perché tanta moria di personaggi eccellenti? Perché tanti Ministri in carica sono stati trombati dal corpo elettorale? E Gentiloni non aveva ben governato?-. La risposta è semplicissima:- Gli italiani che si sono recati alle urne vogliono, desiderano un cambiamento radicale. Non si fidano più dei vecchi tromboni che hanno governato l’Italia da trenta anni senza mai risolvere i gravi problemi che affliggono la povera gente -. Renzi, malgrado sia stato eletto senatore nella sua Toscana, non è stato un Segretario e un ex Presidente del Consiglio affidabile. Per anni ha continuato a dire bugie e a raccontare un’Italia che non esiste nella realtà e un’immagine di società italiana che non c’era. Non ha capito che la società italiana è cambiata, che le imprese sono in crisi e lasciano l’Italia ed emigrano altrove, che le famiglie soffrono e che i bonus elargiti non hanno risollevato le sorti di milioni di famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, che i disoccupati aumentano, che la disoccupazione giovanile fa spavento, che l’immigrazione incontrollata genera paura, preoccupazione e disagi, che la delinquenza e i furti sono in continuo aumento, che la gente che vive in periferia non è più tranquilla, che i vecchi vengono derubati e malmenati, che lavorare fino a 70 anni è un assurdo, che milioni di giovani con la laurea sono costretti a lasciare il proprio paese ed emigrano all’estero in cerca di fortuna e di un avvenire migliore. Ecco allora il perché hanno vinto Salvini e Di Maio. Non c’è da stupirsi, dunque, se anche in San Pietro in Amantea, piccolo paese, hanno preso un centinaio di voti e in Amantea il Movimento 5 Stelle ha sbancato e Salvini 400 voti. Perché hanno fatto una campagna elettorale senza parlare di populismo, di antifascismo, di razzismo, di Jus soli, di cittadinanza allo straniero, di accoglienza ed integrazione, ma hanno parlato dei problemi reali degli italiani, dei servizi sanitari sempre più scadenti, dei servizi ferroviari in dismissione, delle strade nazionali e provinciali che sono mulattiere, della scuola che non funziona, dei disagi giovanili, dei terremotati che ancora non hanno ricevuto una casa e che le macerie sono ancora agli angoli delle strade. Hanno cercato di dare risposte alle paure della gente. Milioni di italiani hanno scelto Salvini e Di Maio, voglio augurarmi che il botto sia arrivato a Roma nel Palazzo del Quirinale e Mattarella non faccia come ha fatto l’ex Presidente Napolitano, perché checché se ne dica, sono stati lasciati soli in mezzo ad una strada, magari con figli piccoli e disoccupati e non sono stati aiutati. Il Governo e la maggioranza parlamentare che ha governato l’Italia non ha saputo spiegare ai padri di famiglia e alla povera gente che vive in ristrettezza economica, che con la pensione di fame non arriva alla fine del mese, come mai non ha dato loro nessun sussidio. Invece, chi arriva in Italia con le carrette del mare anche da clandestino riceve accoglienza, aiuti, vitto, alloggio in alberghi a 4 stelle, intenet gratuita e soldi. E questo non è razzismo. Il popolo italiano non è razzista e mai lo è stato, malgrado le famigerate leggi razziali volute da Mussolini. Gli italiani hanno votato Salvini e Di Maio perché non hanno creduto alle promesse fatte da Renzi e dal Pd. E le riforme fatte da Letta, Renzi e Gentiloni non hanno impedito un impoverimento continuo del paese. Adesso andranno al Governo Salvini o Di Maio. Manterranno le loro promesse fatte? Dove piglieranno i soldi? La sfida sta tutta qui. I soldi in bilancio sono pochi e il debito pubblico è alle stelle. E allora? Bisogna fare dei sacrifici e incominciare a tagliare per davvero la spesa pubblica. I costi della politica sono davvero esagerati e le tasse sono in continuo aumento. I vitalizi e le pensioni dei dirigenti d’azienda, dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei dipendenti di Camera e Senato sono esorbitanti. Bisogna dargli una sforbiciata subito, ora ci hanno i numeri in Parlamento per farlo. I soldi che si ricaveranno saranno certamente pochi, però il consenso tantissimo. Il Pd non l’ha fatto. Riusciranno a farlo Salvini o Di Maio? Speriamo che una volta andati al Governo non si dimentichino delle promesse fatte agli italiani. Ma ora comincia il bello. Bisogna fare il Governo e né Salvini, né Di Maio hanno abbastanza parlamentari per farlo da soli. I Parlamentari che mancano a tutte e due sono troppi. Impossibile questa volta ricorrere ai soliti voltagabbana che per un pugno di lenticchie salgono sul carro del vincitore. La compravendita di voti in questa legislatura non è sufficiente. A meno che non si pensi davvero ad una alleanza o ad un accordo tra il Movimento 5 Stelle di Di Maio, la Lega di Salvini e i Fratelli d’Italia della Meloni con la benedizione di Silvio Berlusconi.

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