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Alcuni incredibili dialoghi dei medici di Reggio Calabria.
Martedì, 26 Aprile 2016 08:55 Pubblicato in Reggio CalabriaVi presentiamo l’ articolo di Ilario Filippone tratto da “Il Mattino” del 24 aprile e che mostra una incredibile verità sullo stato di certa sanità Reggina.
“Reggio Calabria, aborti senza consenso: ecco le risate nelle intercettazioni choc dei medici arrestati
Anche quando è morto il piccolo Domenico, un neonato deceduto per gravi negligenze nella gestione del parto, è scoppiato a ridere. Il primario del reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale Riuniti, Alessandro Tripodi, se l’è svignata inventando una scusa:
”E’ morto un bambino e io ho spento il cellulare apposta, sennò il collega mi avrebbe chiamato in continuazione ah ah ah”, spiegò, sghignazzando, alla moglie.
Le hanno battezzate le intercettazioni della vergogna, un abisso di miseria in cui sono precipitati in tanti, i dialoghi captati dalla Guardia di Finanza nel corso dell’inchiesta “Mala sanitas”.
In manette sono finiti quattro big del nosocomio di Reggio Calabria. Per gli indagati Pasquale Vadalà, ex primario dell’unità operativa finita sotto accusa, e Alessandro Tripodi, nipote del capomafia Giorgio De Stefano, sono stati disposti i domiciliari.
Il provvedimento è stato notificato anche ai dottori Daniela Manunzio e Filippo Luigi Saccà.
Se qualcosa andava storto in sala parto, secondo gli inquirenti, erano medici pronti a inquinare le cartelle cliniche delle pazienti, per nascondere colpe e pecche. Le indagini sono scattate nel 2010. Investigando su una morte sospetta, i militari delle Fiamme gialle sono riusciti a documentare i numeri dell’orrore: due neonati deceduti per la superficialità dei sanitari, un altro con danni cerebrali permanenti, un drappello di mamme con lesioni all’utero.
“AL COLLEGA GLI E' RIMASTO L'UTERO NELLE MANI, AH AH AH... LA PAZIENTE STAVA MORENDO”.
Anche questa frase, sghignazzata dal ginecologo Alessandro Tripodi, è finita nelle intercettazioni disposte dalla procura di Reggio Calabria.
La donna, Cornelia Ficara, morirà un anno dopo. Nel ricostruire il suo epilogo, il gip ne ha fissato l’incipit, attribuendo precise colpe ai medici Antonella Musella, Daniela Manunzio e Pasquale Vadalà: «Ai fini dell’individuazione delle responsabilità – scrive il magistrato Antonino Laganà – giova evidenziare, sulla scorta dei dialoghi captati, che le condizioni di salute già precarie della paziente, poi deceduta, si siano notevolmente aggravate in conseguenza di una serie di errori tecnici, commessi nel corso dell’ intervento eseguito dai sanitari reparto di Ostetricia e ginecologia».
Lei era stata operata il 26 luglio 2010. Dopo l’intervento, il primario Tripodi si fece un’altra risatina sui colleghi: «Aveva la vescica aperta, le hanno sfondato la vagina».
“SI E' STACCATO IL COLLO DELL'UTERO, USCIVA UNA FONTANA DI SANGUE, AH AH AH..."
Così, il 12 aprile 2010, l’intercettato Alessandro Tripodi commenta l’ennesimo sgorbio medico consumato dai suoi colleghi ai danni di una partoriente. “Immagino il dottor Timpano – sghignazza - ha fatto danni, poi ha concluso l’opera”, e ancora risate a squarciagola. Ridacchia anche l’infermiera: ”Mamma che scempio, povera chi ci capita”. Scrive il gip:«Si ride costantemente degli altrui errori, forieri di devastanti conseguenze per le gestanti, ignare vittime».
”FAGLIELA TRAGICA, HAI CAPITO? DILLE CHE C'E' UN DISTACCO E NON SI PUO' FAR NULLA”
L’elenco delle accuse è lungo: falso ideologico e materiale, soppressione di atti veri e interruzione di gravidanza senza il consenso della donna.
Il caso della partoriente Loredana Tripodi è il più eclatante. Il fratello, il ginecologo Alessandro, ha organizzato a tavolino il suo aborto: l’uomo sospettava che il feto presentasse delle patologie cromosomiche, così ha impedito il parto all’insaputa della donna.
Ne dà conto il dialogo captato il 16 giugno 2010. Quel giorno, fornì chiare indicazioni al collega, Filippo Saccà, sulla condotta da tenere: ”Fagliela tragica, hai capito? Dille che c’è un distacco e non si può far nulla”, spiegò.
In un primo momento, il dottore Filippo Saccà si mostrò contrario:”Ma scherzi? Non esiste, tuo cognato penserà che lo abbiamo ammazzato”, rispose.
La conversazione continuò. ”Mia sorella e mio cognato – aggiunse il primario – danno i numeri”. Alla fine, i due decisero di somministrare alla gestante un farmaco per interrompere la gravidanza: “Senza dirle un cazzo, le metto il Cervidil e le spiego che sospendiamo la flebo”.
Hanno affermato gli inquirenti: “La strategia concordata dai due sanitari era quella di somministrare, all’insaputa della donna, un farmaco abortivo, per stimolare le contrazioni della gestante ed indurre l’interruzione di gravidanza”.
Il primario Tripodi è stato intercettato più volte. Eccolo mentre impartisce nuove disposizioni, per impedire il parto della sorella. “Senza che ti veda nessuno, le metti tre fiale di Sint , cosi si sbriga ad abortire”, disse alla ginecologa Daniela Manunzio”.
Noi crediamo che sarebbe necessario leggere tutte le intercettazioni!
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Chernobyl, 30 anni dopo il disastro. La nuova verità sulla Valle dell’Oliva
Martedì, 26 Aprile 2016 08:19 Pubblicato in MondoRicordate il disastro di Chernobyl?.
Erano le ore 01,23 del 26 aprile del 1986 quando avvenne, nella centrale nucleare V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale (all’epoca parte dell’URSS).
Dopo la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore avvenne una fortissima esplosione, che provocò lo scoperchiamento del reattore che, a sua volta, innescò un vasto incendio.
La squadra capitanata dal tenente Vladimir Pravik arrivò sul luogo del disastro per prima,con il comando di spegnere un incendio causato da un corto circuito. Non erano stati informati della tossicità dei fumi e del materiale caduto dopo l’esplosione nell’area circostante la centrale.
Pravik morì il 9 maggio 1986.
Una nuvola di materiale radioattivo che fuoriuscì dal reattore, ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole e rendendo necessaria l’evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone.
Nubi radioattive raggiunsero anche l‘Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia, toccando anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America.
Nella planimetria l’ intensità della ricaduta di cesio 137! (vedi in basso)
Il governo sovietico inizialmente cercò di tenere nascosta la notizia di un grave incidente nucleare. Impiegarono diversi giorni per rendersi conto della gravità del fatto.
La mattina del 27 aprile, nella relativamente vicina Svezia, alcuni lavoratori in ingresso alla centrale di Forsmark fecero scattare l’allarme ai rilevatori di radioattività.
Si suppose, che vi fosse una falla all’interno della centrale e i responsabili cominciarono a fare controlli in tutti gli impianti.
Assicuratisi che le loro centrali fossero perfettamente in sicurezza, cominciarono a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica.
Chiesero spiegazioni al governo domandando del perché non era stato avvisato nessuno. Inizialmente il governo sminuì il fatto, ma ormai gli svedesi, avevano messo al corrente l’Europa intera che un grave incidente era occorso in una centrale sovietica.
Il mondo intero cominciò a fare pressione e finalmente rilasciarono le prime e scarne dichiarazioni sull’incidente che fecero il giro del mondo.
Anche qui ad Amantea ne venimmo a conoscenza.
Non sapevamo cosa fare.
E così riempimmo i supermercati acquistando quanto potevamo, dalla pasta, ai pelati, ai cereali, al latte, soprattutto, quasi che il problema fosse sopravvivere per qualche giorno o qualche mese.
La gente aveva paura e rispondeva in modo incontrollato ed istintivo, senza nemmeno documentarsi.
Pensavamo a fare provviste, quasi scaramanticamente .
Poi , piano, piano l’allarme si ridusse, soprattutto perché grazie ad un pugno di eroi venne creato un sarcofago e l’emissione di vapore radioattivo cessò dopo 15 giorni, sabato 10 maggio 1986.
Ora si sta costruendo un nuovo gigantesco sarcofago a forma di arco, costruito in due metà che ora sono unite in una sola struttura di 108 metri di altezza, 150 di larghezza e 256 di profondità.
Sarà completato e collocato sulla vecchia copertura del reattore 4 entro la fine del 2016, l’arco.
Nel 2017 inizierà ad operare questo secondo sarcofago, e nel 2023 si prevede di completare la distruzione della vecchia struttura, il compito più difficile di tutto il progetto in quanto si tratta di lavorare all’interno del reattore.
Ci sarà bisogno di altri eroi.
Di Chernobyl si è continuato a parlare per effetto di quello rinvenuto nella valle dell’Oliva.
Nella valle dell’Oliva il valore più alto di Cesio 137 è di 132 Bq/kg in località Petrone di Aiello Calabro ed in altri campioni prelevati nel 2010 in tre siti distinti in localitàForesta di Serra d’Aiello, è stato di 29,6 Bq/kg,14,4 Bq/kg e, infine, a 15,2 Bq/kg. ( Dal sito del Comitato De Grazia).
Da ArpaER ( cioè l’agenzia regionale per l’ambiente dell’Emilia Romagna) leggiamo che:
“Il cesio-137 è un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio che si forma principalmente come un sottoprodotto della fissione nucleare dell´uranio, specialmente nel reattore nucleare a fissione.
Ha un emivita di circa 30,17 anni. Piccoli quantitativi di cesio-134 e di cesio-137 vennero rilasciati nell´ambiente all´epoca delle esplosioni nucleari in atmosfera e da alcuni incidenti nucleari, specialmente dal disastro di Cernobyl.
I livelli massimi ammissibili di cesio-134 e cesio-137 per i prodotti alimentari in caso di emergenze nucleari e radiologiche, in base alla normativa, sono i seguenti:
Alimenti per lattanti: 400 Bq/l; prodotti lattiero caseari: 1000 Bq/kg; altri alimenti: 1250 Bq/kg; alimenti liquidi: 1000 Bq/l.
Il livello massimi negli alimenti per animali è pari a 1250 Bq/kg per i maiali, 2500 Bq/kg per pollame, agnelli e vitelli, 5000 Bq/kg per altri animali.
Oggi nel corso della riunione della commissione regionale svoltasi nella sala consiliare del comune di Amantea abbiamo sentito che nella valle dell’Oliva non ci sono radiazioni.
Ma ci sono voluti 30 anni per questa verità?
Amantea: Ecco la restaurata Chiesa di San Francesco. Tutte le foto.
Lunedì, 25 Aprile 2016 20:14 Pubblicato in Comunicati - Sport - GiudiziariaAmantea 25 aprile 2016. Anche se il tempo non ha ac compagnato con favore la manifestazione e se la stessa si è svolta in un luogo non agevole, la presenza di Amanteani ed ospiti di Amantea non è stata di poco conto.
Una presenza sorretta dalla curiosità di vedere la vecchia chiesa e dalla voglia di riappropriarsene.
In molti ci siamo arrampicati sulle pendici del castello per ammirare i ruderi ristrutturati della chiesa trecentesca di San Francesco d’Assisi.
Purtroppo, almeno al momento, la unica strada di accesso è la vecchia via San Francesco quella che parte da Via Indipendenza ed arriva esattamente ai ruderi della chiesa medievale.
Quanto prima però - e l’assessore Tempo si è impegnato ad attendervi prima possibile- sarà riaperta la più agevole via che passando a lato del palazzo Mirabelli porta alla chiesa ed anche al castello.
Ma, invero, la stradetta percorsa stamattina è realmente pregevole sia sotto l’aspetto paesaggistico, che sotto quello storico, che sotto quello culturale.
Lungo il percorso, ripreso ed addirittura in talune parti rimodulato, si snodano i resti di 4 antiche grotte rupestri che costituiscono, con quella bellissima lato sud , il cuore dei primi insediamenti degli eremiti ed in prosieguo dei monaci basiliani.
Ce ne sono altre ma sono , al momento, inaccessibili e riteniamo inopportuno parlarne.
Diverse le sorprese, alcune positive, altre un po’, o molto meno.
Ne avevamo già scritto ma ci sembra opportuno ricordare che gli scavi hanno permesso di conoscere meglio come era la chiesa francescana.
E soprattutto il suo orientamento est ovest con apertura ad occaso.
Gli scavi non sono stati completati ed i resti della chiesa sono ancora riversi sul suo impiantito.
Né sono stati rimossi i grossi massi di pietra caduti o scivolati per via del crollo dalla soprastante collina e che coprono gran parte dell’abside.
Un app però realizzato grazie al volo di un drone ed alle vecchie foto e stampe ha permesso ai tecnici di ricostruire la chiesa nei suoi volumi e nelle sue principali facciate.
Un lavoro pregevole ed ancora da apprezzare.
Ovviamente i tecnici per permettere l’accesso ai ruderi hanno realizzato una gradinata che non è mai esistita.
Essa va intesa come un elemento necessario per quanto storicamente anomalo
D’altro canto il vero accesso – come tanto altro, invero- continua a restare un mistero.
Un mistero dove siano finite le colonne del chiostro ,colonne di cui resta solo un mozzicone.
Un mistero l’accesso alle celle dei monaci.
Un mistero la fine dei pavimenti.
E così la chiesa di San Francesco continua a restare avvolta nel mistero sia sotto il profilo storico che architettonico
Nessuno che provi a spiegarci cosa ci fosse sotto l’attuale chiesa prima della sua costruzione, la stessa data di costruzione ( esistono varie ipotesi ma nessuna documentata), la logica della nascita delle tombe nella roccia esterne alla chiesa, dei gradini di accesso alla torre, eccetera.
Soprattutto il rinvenimento della testa del dio sole rinvenuta da me e dal buon Massimo Ruggiero , perfettamente simile a quella presente nella chiesa di San Bernardino ed ora ivi deposta.
Nessuna tutela infine delle immagini presenti nel chiostro e da me segnalate alla soprintendenza di Cosenza.
Aspettiamo comunque le due relazioni storiche ed archeologiche che dovranno corredare gli atti di colludo.
Proprio per rimediare a queste carenze suggeriamo all’amministrazione comunale di “viaggiare alta” e per esempio di invitare a completare gli studi sulla chiesa, almeno, coloro che nel tempo di essa si sono interessati.
Parlo dei docenti della II università di Napoli, del professor G Vannini, del Dr E. Donato, della d.ssa Cristina Tonghini, della d.ssa Adele Bonofiglio dei Beni Culturali e di quanti altri essa ritenga.
Giuseppe Marchese
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