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Redazione TirrenoNews

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Alejandro Meran, il killer dei poliziotti, non era in cura al centro di igiene mentale.

Nonostante ciò, alcuni giornali insistono sul suo “disagio psichico”.

«Un demone lo consumava dentro», scrive oggi il Corriere.

«Le ombre gli minavano il cervello».

La fonte di queste informazioni a tinte forti?

La famiglia del killer.

La madre ha detto che Alejandro «sentiva voci». Il fratello ha invece dichiarato che «parlava con il muro».

Insomma, un vero mentecatto. Che però lavora come magazziniere.

L’azienda di cui è dipendente si affida quindi a un pazzo?

È evidente il motivo di questi racconti dei familiari del killer.

Vogliono accreditare il “disagio psichico”.

Ciò sarebbe la premessa del riconoscimento dell’infermità mentale.

E, con l’infermità mentale, Meran eviterebbe il carcere.

Sarebbe un esito assurdo.

Ma l’Italia pullula di giudici buonisti che scarcerano i criminali.

E dobbiamo essere preparati a qualsiasi scenario.

L’amarezza e la rabbia sarebbero comunque, in tal caso, enormi e incontenibili. Anche alla luce dei particolari che emergono dalle indagini.

Il killer poteva fare un’ecatombe alla questura di Trieste.

Ha sparato 17 colpi con due pistole. Meran ha tentato di uccidere «almeno altri 8 agenti».

Di cui «tre addetti alla vigilanza».

Quattro della squadra mobile .

E uno che cercò di aiutare gli agenti dopo aver sentito gli spari.

Le conclusioni degli inquirenti mettono i brividi.

I colpi sono stati sparati ad altezza d’uomo.

E, se fossero andati a segno, le vittime sarebbero state 10.

Il giudice delle indagini preliminari non concede però nulla al “disagio psichico”.

Anzi, il killer ha «dimostrato» di non avare freni alle sue «spinte criminali».

E di essere «soggetto pienamente inquadrato nel tempo e nello spazio».

Dello stesso parere sono il procuratore capo e il pubblico ministero.

Quindi niente disagio psichico.

Ma, nella fase dibattimentale del processo al killer, potrà accadere di tutto.

E i familiari di Alejandro hanno dimostrato di saperlo già.

E hanno cominciato a fare i furbi.

La polemica travolge la terza carica dello Stato, Roberto Fico.

Tutto nasce per il tweet riservato dal grillino ai due poliziotti uccisi in Questura a Trieste, Pierluigi Rotta e Matteo Demenego.

Il 4 ottobre, Fico, infatti ha cinguettato: "Una terribile notizia da Trieste. Sono vicino alle famiglie dei due poliziotti rimasti uccisi. A loro e al capo della polizia di Stato esprimo tutto il mio cordoglio".

 

Già, "rimasti uccisi" e non assassinati, ammazzati, uccisi punto e stop. "Rimasti uccisi".

Parole inopportune che hanno scatenato la reazione, tra gli altri, di Francesco Storace, il quale ha puntato il dito in un articolo pubblicato dal Secolo d'Italia: "A Trieste c'è stato un brutale duplice omicidio, non un incidente stradale, signor presidente della Camera.

Ma il rispetto, se non ce l'hai come valore, non puoi manifestarlo".

E ancora, aggiunge Storace: "Che vergogna questo numero uno di Montecitorio che vale davvero zero nella società, scossa molto più di lui dalla violenza cieca e feroce perpetrata nella questura del capoluogo giuliano".

Storace, in estrema sintesi, chiede la rimozione del tweet da parte di Fico, almeno una rettifica.

Ma il cinguettio resta ancora lì, "non tolgono quell'obbrobrio dalla rete, non lo sostituiscono con una frase meno indegna, e si beccano la meritata sequela di insulti sui social", rimarca Storace.

E contro Fico si schiera anche Antonio Maria Rinaldi, il quale rilancia l'articolo del Secolo d'Italia: "Fico, quella vergogna sui Caduti di Trieste va cancellata", ricorda anche Rinaldi.

Nessun timore il comune di Amantea non sarà sciolto!

Lunedì, 07 Ottobre 2019 19:43 Pubblicato in Primo Piano

Tutti sappiamo che ad Amantea sta operando da circa sei mesi la commissione di accesso.

Quella nominata dal Prefetto Galeone e composta dal Dott. Samuele De Lucia, Viceprefetto con incarico ex art.12, comma 2 bis, D. Lgs. 139/2000, dal Ten. Col. Michele Borrelli, Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale Carabinieri di Cosenza, dal Magg. Alfredo Ferrentino, Capo Ufficio Comando del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Cosenza.

 

Detto Organismo, ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 143 del D. Lgs. n.267/2000, avrebbe dovuto porre in essere approfonditi accertamenti per verificare la sussistenza di elementi di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori e/o dipendenti di detto Ente.

I termini sono quasi scaduti e non sono più prorogabili

Ora due sono le ipotesi.

La prima che la commissione di accesso chiuda il proprio lavoro dichiarando di non aver trovato niente.

La seconda che la commissione proponga scioglimento del consiglio comunale.

Noi pensiamo che si determini la prima delle due ipotesi.

Una ragione pratica ci spinge verso questa direzione.

Se fosse stato ipotizzabile lo scioglimento del consiglio comunale, infatti, la giunta Pizzino, fortemente in rapporto con la prefettura ed il ministero, si sarebbe probabilmente dimessa in blocco per evitare la nomina della commissione ministeriale che avrebbe retto il comune per 18 mesi prorogabili di altri 6.

Ancora pochi giorni e sapremo .

Ma riteniamo di non sbagliare.

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