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Redazione TirrenoNews

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E’ giusto e necessario dare a Cesare quel che è di Cesare.

 

La Forestale cosentina continua l’attività di contrasto e repressione del fenomeno di deposito ed abbandono incontrollato di rifiuti nel territorio cosentino che negli ultimi mesi ha visto numerosi accertamenti diretti ad intensificare e sanzionare gli autori di tale reato.

Dopo i comuni di Cosenza, Castrovillari e Spezzano Piccolo l’attività monitoraggio si è concentrata questa volta nel comune di Acri in particolare nelle località di “Padia” e “Manzi oggetto di continui abbandoni di rifiuti di ogni genere: sacchetti di plastica, cartoni, bottiglie di plastica, materiale di risulta edile ed altri tipi di rifiuti.

E siamo certi che sarà diffusa su tutto il territorio provinciale la attenzione della Forestale nella lotta all’abbandono dei rifiuti

 

Molti cittadini, pur essendo queste zone nella periferia della cittadina silana, si recavano appositamente per abbandonare i rifiuti, incuranti della raccolta differenziata porta a porta.

Ma la Forestale non si è limitata a sequestrare la discarica abusiva.

Affatto, anzi ha esteso la indagine

Una prima indagine avviata dai militari della Stazione Carabinieri Forestale di Acri e durata alcune settimane, che ha portato ad elevare sanzioni amministrative per circa a 8000€.

 

Sono stati individuati alcuni trasgressori che transitando lungo queste zone si sono resi protagonisti dell’abbandono dei rifiuti.

L’operazione, denominata Pig Pen 3 , prende il nome dal famoso personaggio della striscia di fumetti Linus.

Pig-Pen (in inglese, letteralmente: recinto per maiali) è un personaggio secondario della striscia dei Peanuts di Charles M. Schulz.

È il bambino più sporco della compagnia, benché sia comunque molto orgoglioso della sua sporcizia (dice che "lo caratterizza"); alcuni ritengono anche che su di lui potrebbe esserci anche "la polvere delle antiche civiltà"

Si tratta di Don Giorgio Costantino, parroco della Madonna del Divino Soccorso.

 

"Nel cuore della notte stavano giocando a calcio davanti alla canonica della Madonna del Divino Soccorso di Reggio Calabria, utilizzando come porta il cancello dell'edificio.

Quando il pallone ha scavalcato la recinzione, con una bottiglia hanno forzato la serratura per andare a recuperarlo.

A questo punto sono stati sorpresi dal parroco, don Giorgio Costantino, svegliato dal gran baccano, che ha detto loro di smetterla.

Per tutta risposta, uno del gruppo ha cominciato a picchiarlo con pugni e calci con tanta violenza da lasciarlo esanime a terra.

Una reazione spropositata su un uomo cardiopatico di 74 anni, che ha spaventato gli altri giovani presenti.

L'aggressore è stato portato via dal resto del “branco” mentre uno dei ragazzi si è fermato a soccorrere il sacerdote, ricoverato in ospedale in coma e sottoposto a un delicato intervento chirurgico per la riduzione di un grosso ematoma.

 

Intanto, i carabinieri, che hanno acquisito le immagini di videosorveglianza, stanno indagando per cercare di risalire agli autori della deprecabile aggressione.

Non la prima, contro la parrocchia. Già a settembre, alcuni vandali, al momento ancora ignoti, avevano devastato il centro d'ascolto dove don Giorgio e i volontari prestano aiuto a poveri e bisognosi.

In quella circostanza, il sacerdote aveva sporto denuncia.

Don Giorgio è anche giornalista e, in questa veste, ha guidato i briefing con i giornalisti italiani ai Sinodi dei Vescovi dal 1990 al 2010.

Con la sua comunità parrocchiale, anni fa è stato anche protagonista di uno spot dell'Otto per mille".

Sull'episodio, che ha scosso la città, è intervenuto anche il prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, condannando «con forza la vile aggressione» e confermando «vicinanza e solidarietà a monsignor Costantino e alla Chiesa reggina per l'impegno profuso in favore degli ultimi». «L'episodio - si legge ancora nella nota della Prefettura reggina - è stato oggetto di esame nel corso dell'odierna riunione tecnica di coordinamento delle forze dell'ordine».

Aldo Moro Lo statista italiano dimenticato da tanti

Mercoledì, 24 Maggio 2017 09:07 Pubblicato in Italia

La storia conosciuta è quella diffusa e comunque se non ricordata viene dimenticata.

39 anni fa veniva ucciso Aldo Moro.

In pochi a ricordarlo (avrà più fortuna nel 40° della sua morte?).

 

Tra questi l’Unical nel convegno “Aldo Moro e l’Intelligence”: svoltosi nei giorni scorsi ed in relazione al quale riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato:

“Lo statista e i due generali, quando Moro mediò coi golpisti

I rapporti dell'ex leader della Dc con de Lorenzo e Aloia. E spuntano retroscena sulla strategia della tensione...

Due falchi atlantisti in lotta perenne tra loro. Furono Giovanni de Lorenzo, generale dei carabinieri la cui immagine rimase legata al piano Solo, e Giuseppe Aloia, generale dell’esercito e comandante di stato maggiore della Difesa.

I due alti ufficiali, uniti dalla comune militanza nella Resistenza, furono in disaccordo praticamente su tutto: falchi che facevano a gara a chi volava più in alto.

Spregiudicato e incline al dialogo serrato con la politica che conduceva in condizioni di reciproco condizionamento, il carabiniere siciliano ebbe la carriera sfregiata dalla sua passione per l’intelligence.

Focoso ed efficientista, il generale romano tentò di ammodernare l’esercito per allineare la difesa italiana agli standard (qualitativi ma anche di fedeltà) richiesti dalla Nato. Per la sua opera organizzativa ricevette una medaglia da Kennedy mentre in patria si beccò accuse di criptofascismo (dovute anche all’istituzione dei corsi di ardimento in cui i militari venivano addestrati ad operazioni di guerriglia e controguerriglia secondo le dottrine Stay Behind).

Le loro carriere e la loro rivalità, che sfociò in inimicizia aperta, si svilupparono nel contesto delicatissimo dei primi governi di centrosinistra e delle prime riforme dei servizi segreti. Logica conseguenza di questa situazione, storica ed esistenziale, furono i rapporti piuttosto profondi con i vertici dei partiti di governo, in particolare la Democrazia cristiana. Incluso Aldo Moro.

I rapporti tra il leader della Dc e i due generali sono stati ricostruiti dallo studioso Francesco Maria Biscione della Fondazione Flamigni durante il recente convegno dell’Università della Calabria intitolato Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere, organizzato da Mario Caligiuri, direttore del Master sull’intelligence.

In particolare, Biscione ha ricostruito, sulla base del corposo (e ancor oggi discusso) memoriale redatto dallo statista durante la prigionia nel covo delle Brigate Rosse, due episodi delicati della storia repubblicana, in cui Moro ebbe un ruolo determinante.

Il primo riguarda la vicenda turbolenta dell’effimero governo Tambroni (1960), che si reggeva anche grazie al supporto esterno del Msi. Nella caduta di questo esecutivo, avvenuta un anno dopo l’ascesa di Moro alla segreteria scudocrociata, ebbero un ruolo determinante le informazioni passate da de Lorenzo al leader Dc. In questo caso, la ricostruzione di Biscione è riscontrata da documenti dell’Archivio di Stato di Milano che provano l’effettivo interessamento del Sifar nella storia del governo Tambroni.

Il secondo episodio, decisamente più inquietante per via del contesto, è legato alla strategia della tensione. Siamo nel 1969 e Moro, stando alla ricostruzione di Biscione, avrebbe collegato l’inizio di questa strategia a un’iniziativa di Aloia rivolta alla Dc. Questa iniziativa, poco conosciuta e dal contenuto non ancora noto, divise i vertici Dc in due blocchi: tra i favorevoli vi furono Flaminio Piccoli e Mariano Rumor, tra i contrari lo stesso Moro.

La vicenda proverebbe, secondo Biscione, che alcuni settori dell’esecutivo sapessero della matrice nera delle bombe sin dal 12 dicembre 1969.

Resta una domanda: come mai Moro, che nel decennio successivo avrebbe iniziato il faticoso dialogo con il Pci, in quegli anni aveva rapporti così stretti con alcuni settori particolari del mondo militare?

Per Biscione la strategia dello statista si basava sulla consapevolezza che lo Stato contenesse anche l’antistato e, quindi, sulla necessità di trovare un punto di equilibrio il più avanzato possibile - nel partito, nella società e nei rapporti internazionale - perché eventuali rotture avrebbero precipitato il Paese in mano ai settori più reazionari.

Riteniamo comunque e sempre lì’importanza di tutte le memorie e per questo vi riportiamo le parola del giudice Ferdinando Imposimato, al tempo giudice istruttore della vicenda del sequestro e dell'uccisione di Moro, interviene sul Caso Moro. E lo fa da Reggio Calabria, sul palco della rassegna Tabularasa dell'associazione Urba/Strill.it.

"L'uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri.

Se non mi fossero stati nascosti alcuni documenti - ha aggiunto - li avrei incriminati per concorso in associazione per il fatto.

I servizi segreti avevano scoperto dove le Br lo nascondevano, così come i carabinieri.

Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e la Polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell'uccisione ricevettero l'ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia".

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