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Dopo una lunga attività di indagine la Procura della Repubblica di Cosenza dispone il sequestro dell’area della Legnochimica srl e di 15 pozzi.

 

Il sequestro preventivo dell’area sede dell’ex stabilimento della Legnochimica S.r.l. di Contrada Lecco a Rend è stato eseguito stamattina 25 novembre dal Nipaf, Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale del Corpo Forestale dello Stato di Cosenza.

Il decreto di sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Cosenza arriva a seguito di una complessa attività di indagine coordinata dal Procuratore Capo Dario Granieri, dal Procuratore Aggiunto Marisa Manzini e dai Sostituti Procuratori Bruno Antonio Tridico e Domenico Assumma.

 

Questa mattina gli uomini del Corpo Forestale dello Stato hanno eseguito il sequestro della vasta area, estesa per circa 90.000 metri quadri e di 15 pozzi ricadenti al suo interno alcuni dei quali usati a scopo irriguo e altri utilizzati nell’allevamento di bestiame per l’abbeveraggio degli animali.

 

Due di essi sono utilizzati anche a scopo industriale ed uno da una industria alimentare.

Tale provvedimento si è reso necessario poiché la falda acquifera, come emerso dalle consulenze tecniche, è risultata fortemente inquinata da metalli pesanti quali ferro, alluminio, manganese, arsenico, cromo, nichel, cobalto e piombo.

L’area, che non è mai stata caratterizzata da operazioni di bonifica o messa in sicurezza di emergenza, è stata invece periodicamente interessata da fenomeni di incendio, dovuti alla combustione dei rifiuti in essa presente che hanno sprigionato nell’aria sostanze tossiche.

Un fenomeno che non è passato inosservato e che ha visto la denuncia in passato di amministratori e cittadini.

 

A seguito dell’operazione odierna il liquidatore della società è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per i reati di inquinamento ambientale e omessa bonifica.

Sul caso è intervenuto il M5s con la seguente nota.

Rende (Cs) - La Procura di Cosenza ritorna sul luogo del delitto. Il nuovo provvedimento giudiziario, con il sequestro dell'area ex Legnochimica e l'inserimento nel registro degli indagati dell'attuale liquidatore per omessa bonifica, è un segnale non trascurabile che qualcosa con la nuova legge sugli Ecoreati finalmente si muove.

"Non possiamo certo mettere la parola fine a questa storia - dice il portavoce M5S al Consiglio comunale di Rende, Domenico Miceli -. Questo nuovo capitolo giudiziario, di cui aspettiamo di conoscere l'esito, potrebbe rappresentare anche un prolungamento dei tempi e speriamo che ciò non accada, laddove siamo già fuori tempo massimo per la bonifica dell'area che a quanto pare risulta essere inquinata. Come Movimento 5 Stelle ci siamo fatti promotori a marzo dello scorso anno di un Consiglio Comunale ad hoc per riaccendere i riflettori su questa incresciosa vicenda e continueremo a vigilare affinché sia tutelata la salute dei cittadini e ristabilita la corretta natura dei luoghi. Nei prossimi giorni formalizzerò la mia richiesta alla Giunta comunale di Rende di emanare al più presto una delibera così da ottenere tutta la documentazione su cui si fonda il sequestro".

"Mentre aspettiamo ancora una risposta politica sul caso ex Legnochimica - dice il portavoce M5S alla Camera dei Deputati, Paolo Parentela - con due interrogazioni depositate rimaste senza risposta dal Governo nazionale, non possiamo non prendere atto della forza dirompente che dimostra di avere la nuova legge sugli Ecoreati nel contrasto dei crimini ambientali. Ora l'assessore all’Ambiente della Regione Calabria, Rizzo, deve prendere una posizione chiara sul caso in questione e anche su tutte le altre omesse bonifiche che sono di sua esclusiva responsabilità".

"<<Chi inquina paga>> è un principio cristallizato nel diritto dell'Unione europea  - dice l'eurodeputata M5S, Laura Ferrara -. Dobbiamo agire subito, soprattutto in Calabria, per affermare questo principio a tutti i livelli. Come Movimento 5 Stelle continueremo ad usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per far rispettare la normativa europea in materia e presenteremo una seconda interrogazione presso la Commissione europea".

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L’impianto in totale abbandono non è funzionante da anni. Gli uomini del Corpo Forestale dello Stato hanno posto sotto sequestro il depuratore comunale di Fagnano Castello (Cs) sito in località Rondinelle.

 

Il controllo effettuato dal Nipaf, Nucleo investigativo di polizia Ambientale e Forestale del Comando Provinciale di Cosenza e dal locale Comando Stazione ha accertato le condizioni di assoluta fatiscenza dell’impianto di depurazione non funzionante da anni e privo di energia elettrica le cui strutture sono state trovate in uno stato di totale abbandono.

 

Nonostante l’impianto non fosse  funzionante il depuratore riceve regolarmente la fogna proveniente dal centro abitato, ed i suoi liquami accumulati vengono sparsi sul terreno riversandosi nel vallone “Cannatello”.

Inoltre l’impianto è colmo di rifiuti rappresentati dai fanghi di depurazione mai smaltiti oltre ad essere invaso dalla vegetazione spontanea.

 

Dopo il controllo si è quindi provveduto a porre sotto sequestro tuta l’area estesa per circa 4.500 mq così come le sei strutture in cemento armato facenti parte dell’impianto.

Due le persone denunciate all’Autorità Giudiziaria , in quanto ritenute responsabili dello stato di cose,  per gestione illecita dei rifiuti, sversamento di liquami sul suolo, inquinamento di corsi d’acqua.

Sono attualmente in corso ulteriori accertamenti in collaborazione con Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente in Calabria al fine di valutare eventuali livelli di inquinamento causati.

Fagnano Castello. 23 novembre 2015 -

 

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Scrive Thomas Mackinson su “Il fatto quotidiano” : “Cosenza, la farsa della caccia al tesoro d’Alarico. Il Comunenon ha chiesto autorizza zioni. Stop della Soprintendenza.

 

L'amministrazione del sindaco Occhiuto aveva annunciato la campagna di ricerche in Parlamento e sui Tg nazionali. Sei mesi per individuare la tomba del re dei Goti e trovare qualche reperto per il nascente "Museo di Alarico", che costerà 7 milioni ai contribuenti. Due giorni dopo le ricerche si fermano: mai autorizzate

La “caccia al tesoro” era appena partita tra aspettative, incredulità e polemiche. La notizia è che dopo due giorni si è già fermata, la Soprintendenza archeologica della Calabria ha bloccato tutto.

Il motivo?

La campagna di scavi lungo il fiume Busento non era mai stata autorizzata. Annunciata in pompa magna, doveva servire a individuare il leggendario “tesoro di Alarico” che le antiche scritture indicano in 25 tonnellate d’oro e 150 d’argento, il bottino favoloso dei Goti dopo il Sacco di Roma. Se non tutto, almeno a rinvenire qualche pezzo utile al fantomatico museo che l’amministrazione cosentina ha deciso di dedicare al Re massacratore, senza che si sia mai rinvenuto uno straccio di reperto, un sesterzio o anche solo un coccio di vaso rotto riferibile ai Goti. A volte si scava per non toccare il fondo. Parecchio da fare si è data l’amministrazione guidata da Mario Occhiuto che ha scommesso molto su un’iniziativa di marketing territoriale che accalora e divide studiosi e appassionati di storia. E forse non a torto, perché ai contribuenti costerà svariati milioni di euro.

 

Partiamo dalla fine. Tra meno di un mese a palazzo dei Bruzi si apriranno le buste con le offerte per abbattere l’orrido Hotel Jolly che dagli anni Cinquanta offende la vista del centro storico.

L’amministrazione ha cercato a lungo un pretesto per tirarlo giù e risistemare le sponde fluviali su cui affaccia. In ultimo, su impulso del sindaco-architetto di centrodestra Occhiuto, ha trovato quello di realizzare un polo espositivo dedicato al Re barbaro che antiche scritture e leggende vorrebbero sepolto da qualche parte laggiù, lungo il greto del Busento insieme a un immenso tesoro di sesterzi, ori e pietre preziose frutto del saccheggio di Roma del 410 dC. Problema: la tomba di Alarico non c’è, è solo un mito, tanto che in 1600 anni di ricerche nessuno l’ha trovata. Ci hanno provato fior di storici, archeologi, comuni tombaroli, perfino i tedeschi con apposite spedizioni comandate da Himmler.

Niente di niente.

Così, ed è il primo aspetto grottesco della vicenda, il catalogo del nascente museo al momento ha le pagine bianche e probabilmente tali resteranno.

 

Ad oggi il suo primo e unico tassello è una collezione di otto fibule visigote del V secolo donate alla città dalla famiglia Bilotti che dovrebbe trovare dimora nelle future sale. Altro, davvero, non c’è. E tuttavia per racchiudere ed esporre questo nulla si spenderanno sette milioni di euro. Tante sono le risorse autorizzate dal Cipe nel 2012, a valere sui Fondi Sviluppo e Coesione destinati alla Calabria: 3,3 serviranno per realizzare la nuova struttura, 2,2 per acquistare l’hotel Jolly da abbattere.

Il Comune partecipa anche con 500mila euro di fondi propri, nonostante abbia i conti in rosso per 140 milioni di euro.

Nel frattempo il sindaco ha deciso di scavare oltre, rilanciando le ricerche del “tesoro” lungo il fiume. E qui la vicenda è diventata farsa. Le premesse: in giro, per quanto li si cerchi, non si trovano tanti studiosi disposti a giocarsi la reputazione rincorrendo la leggenda tramandata da Cassiodoro e dallo storico Jordanes. Nei testi antichi raccontano che Alarico fu inumato con i suoi tesori secondo la tradizione funeraria dei Goti e che per rendere la tomba inaccessibile fu scelto il letto del fiume che fu deviato temporaneamente usando i prigionieri che poi furono uccisi uno a uno. Qualcuno però ci crede davvero. A farsi avanti è uno sparuto gruppo di novelli Indiana Jones che, armati di droni e georadar, tenteranno di riscontrare con tecnologie moderne quel che ricerche archeologiche e predoni non hanno rinvenuto in cinque secoli di tentativi. L’impresa è ardita e viene anche presentata in Parlamento, con tanto di conferenza stampa. I lavori di perlustrazione partono il 16 novembre per durare sei mesi. E poi? Sono durati due giorni soltanto. La soprintendenza ha appena notificato lo stop al Comune. Nessuno, in tutto questo, ha pensato di chiedere le autorizzazioni necessarie. Non ci ha pensato il Comune, non ci hanno pensato i finanziatori (privati) dell’impresa. Per poche decine di migliaia di euro a farsi avanti era stata la Fondazione Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania. Perché di sicuro non c’è, ma se mai ci fosse un tesoro meglio metterlo subito in banca.

Come nei migliori copioni esiste quello alternativo, il piano B. Il sindaco ha anche messo insieme un comitato tecnico-scientifico che annovera figure di spicco, come l’ex rettore dell’Università di Reggio Calabria ed ex ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi. Alla testa il professor Pietro De Leo, ordinario di storia medioevale. Nessuno di loro andrà con pala e pile a cercare il tesoro. L’accordo tra Comune e “Consorzio Cultura e Innovazione” prevede lo sviluppo di “modelli virtuali” che raccontino la leggenda di Alarico. Attaverso l’uso di touch screen. Ebbene sì, se i Predatori dell’arca perduta non trovassero alcunché per dare un contenuto (purché sia) al museo sarà la multimedialità a colmare il vuoto: il museo di Alarico sarà uno spazio virtuale sostanzialmente privo di reperti. Questo nulla sarà però racchiuso in un manufatto basso e dalle linee modernissime, quasi un cubo, che nei rendering fa già a pugni con gli edifici alle sue spalle, segnati dal tempo e traforati dai colpi sparati in guerra. Non mancherà, a quanto è dato sapere, una statua equestre del Gran Barbaro che emerge dalle acque.

Studiosi, residenti, intellettuali, appassionati di storia seguono increduli questa strana commedia senz’arte né parte.  A molti non piace neppure l’introduzione e si chiedono perché mai rimestare e incensare il fantasma del re dei Goti, il cui nome resta indissolubilmente legato a uno degli eventi più traumatici del mondo antico, l’11 settembre della civiltà romana. Ci va giù durissimo, tra gli altri, l’archeologo Battista Sangineto, rilevando l’autolesionismo che accompagna l’operazione: “Si spendono soldi per una leggenda quando il centro storico va a pezzi. Alarico, poi? Sterminò centinaia di cosentini, non può costituire la spinta propulsiva, il riferimento culturale e identitario di un progetto museale che attragga turismo culturale. Onorarlo in maniera ossessivo-compulsiva, titolando piazze e pizzerie al re dei Goti è come scolpire nella pietra il marchio della città iettatrice. Farne un brand è anche umiliante per Cosenza che nel Medioevo fu una piccola culla di democrazia. Alarico ci morì per caso, è una cosa appiccicata lì”. Come gli adesivi “vota” durante le elezioni.

Perché non si può capire fino in fondo questa storia senza un dettaglio essenziale: a primavera in città si vota e sulle memorie di Alarico il sindaco di centrodestra si gioca la rielezione. Il museo vorrebbe essere il fiore all’occhiello del suo mandato, simbolo e prova della strenua volontà di modernizzare la Cosenza decaduta, spenta, funerea di certe cartoline ingiallite. Quella che già secoli fa i viaggiatori descrivevano come “terra di morti” o tomba dei re e degli eroi. Non a caso alla spedizione dei geologi lungo il letto del Busento, fermata dalla Soprintendenza, erano stati concessi sei mesi di tempo. E cioè di andare oltre l’appuntamento elettorale. Così, se un domani si scoprisse mai che la tomba col tesoro non c’è, l’urna sarà già chiusa”.

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