
Lo riporta Il Quotidiano per la penna di Paolo Orofino.
Ecco l’articolo del brillante giornalista:
“La nuova superperizia medico-legale sulla salma di Donato Bergamini indica che il calciatore trovato cadavere nel 1989 è morto per soffocamento.
Questo il risultato finale del sofisticato esame autoptico, da pochi giorni sul tavolo del procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, che, all’inizio dell’anno, ha riaperto il caso.
La notizia è stata resa nota oggi, in esclusiva, nell'edizione cartacea del Quotidiano, con un ampio servizio che ricostruisce tutto.
Il risultato che non collima con la tesi del suicidio sotto il camion incorsa sulla statale 106, nei pressi di Roseto.
Rafforza, invece, l’esito della consulenza del Ris di Messima, incompatibile con l’ipotizzato decesso causato dall’impatto con l’autocarro in movimento.
I carabinieri del Ris, il 2012, sono riusciti a dimostrare, con specifiche simulazioni, che se il calciatore del Cosenza, si fosse buttato sotto il camion – come riferì l’allora fidanzata, unica testimone del caso – le scarpe, la catenina e l’orologio indossati da Bergamini, avrebbero dovuto subire danni da strisciamento sull’asfalto.
Al contrario, gli oggetti menzionati, trovati addosso al cadavere, erano quasi intatti.
Tale conclusione avvalorò la consulenza medico-legale del professor Francesco Maria Avato, datata 1990, che all’epoca aveva indebolito l’ipotesi del suicidio, valutando le ferite studiate sul cadavere, difficile da ricondurre all’urto del corpo con il camion incorsa.
Allo stato sono formalmente indagati l’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, e l’autista del camion Raffaele Pisano.”
Il Tribunale del riesame respinge la richiesta di arresto per il consigliere regionale Orlandino Greco e per l’ex consigliere provinciale Aldo Figliuzzi.
Per entrambi non sussistono gravi indizi di colpevolezza né esigenze cautelari.
Nel dispositivo del tribunale, per Orlandino Greco soltanto la campagna elettorale del 2008 merita dei maggiori approfondimenti investigativi.
L’ex sindaco di Castrolibero oggi consigliere regionale eletto nella lista “Oliverio presidente” e Aldo Figliuzzi erano stati accusati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro di corruzione elettorale e voto di scambio politico-mafioso.
All’epoca dei fatti il pm dell’antimafia Pierpaolo Bruni, oggi procuratore a Paola, aveva richiesto l’arresto.
La misura cautelare è stata però rigettata nel mese di dicembre.
La scelta è stata successivamente impugnata dal procuratore Nicola Gratteri il quale sostenne come fosse necessaria la restrizione della libertà per gli indagati.
A pesare sull’intero quadro probatorio per i due politici ci furono le dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia: Roberto Calabrese Violetta, Adolfo Foggetti, Ernesto Fogetti, Marco Massaro, Daniele Lamanna ed Edyta Kopaczynska.
L’appoggio del clan ad Orlandino Greco, difeso dall’avvocato Franco Sammarco, sarebbe arrivato grazie alla consegna di una mazzetta di 20mila euro consegnata da Greco per ottenerne l’appoggio durante la campagna elettorale.
Sia Greco che Figliuzzi, difeso dall’avvocato Pasquale Naccarato, hanno ribadito nel corso delle testimonianze processuali come i rapporti con il defunto Michele Bruni (ex reggente del clan Bella-bella) non avessero nessun fondamento.
Linea difensiva basata dunque sulla inattendibilità dei racconti dei pentiti.
Oggi il verdetto atteso ormai da mesi.
Nella giornata di ieri i Carabinieri Forestali del Nucleo investigativo Polizia Ambientale di Cosenza hanno notificato, dopo una accurata indagine disposta dalla Procura della Repubblica di Cosenza un avviso di conclusione indagini preliminari nei confronti di otto persone, gestori e operatori del canile rifugio di Mendicino, tecnici comunali, progettisti e veterinari.
Dalle indagini è emerso che all’interno della struttura in località “Terredonniche” erano presenti un elevato numero di cani, circa 700, senza i dovuti requisiti necessari, in condizioni di sovraffollamento che ne comprometteva il loro benessere.
Nonostante la carenze dei requisiti richiesti e il sovraffollamento dello stesso la struttura ha ottenuto l’accreditamento a canile rifugio.
Nel corso delle indagini è emerso che la struttura era all’interno di un terreno sottoposto a vincolo idrogeologico ed in un terreno ricadente nella fascia di protezione dell’argine del Torrente Caronte.
I lavori al suo interno sono stati eseguiti senza richiedere l’autorizzazione paesaggistica.
Per tali motivi non era possibile neanche, cosa avvenuta, realizzare e autorizzare la rete fognaria per la raccolta delle acque reflue provenienti dal canile e il successivo allaccio alla rete fognaria comunale.
Le indagini effettuate dal NIPAF e dai NAS dell’Arma sono scaturite a seguito di un esposto presentato nel novembre 2016.
COSENZA 24 ottobre 2017