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Condannato il Fisco per uso illegittimo del redditometro.

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Ecco la importante sentenza della commissione tributaria provinciale di Campobasso che condanna l’amministrazione tributaria per “illegittimità dell'utilizzo indiscriminato e generalizzato del cosiddetto redditometro in sede di accertamento”. Nella foto il gesto emblematico di Equitalia verso gli Italiani.

Data la sua importanza ve la proponiamo integrale al fine della sua eventuale stampa:

COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CAMPOBASSO – Sentenza 10 luglio 2013, n. 117

Tributi – Accertamento – Redditometro – Valore prettamente indiziario dei valori standardizzati – Necessità di supporto con elementi effettivi – Illegittima compressione dei diritti costituzionali

Fatto

La signora S.C., assistita, rappresentata e difesa, nel presente giudizio, dal Dott. S.F., presso cui eleggeva domicilio in Guglionesi alla via (…), come da procura posta a margine degli atti introduttivi, impugnava due distinti avvisi di accertamento recanti, rispettivamente, n. TR601T102099/2011 nonché n. TR601T102122/2011, fattile pervenire dall’Agenzia delle Entrate – ufficio di Campobasso – entrambi in data 23.12.2011 al fine di recuperare, col primo, 38.303,00 Euro mentre, col secondo, ulteriori 39.150,00, maggiorati -ovviamente – da sanzioni ed interessi, a titolo di IRPEF, per le annualità 2007 e 2008, presupponendo la presenza di maggior redditi, accertati in applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 73, in quanto quelli dichiarati non erano rapportati alla disponibilità dei beni e servizi posseduti dalla ricorrente.

Le due impugnative presentate, riunite in corso d’istruttoria per ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, venivano suffragate principalmente:

- dalla carenza di motivazione, rilevata nei provvedimenti impugnati, in violazione dell’art. 7 della legge 212 del 2000 avendo, tra l’altro, sorvolato sul reddito del coniuge che avrebbe fattivamente contribuito al mantenimento del nucleo familiare nonché su quello proprio derivante da alcuni terreni agricoli che sommati tra loro sarebbero in grado di azzerare, o quantomeno ridurre, lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello accertato, anche in ragione del fittizio trasferimento di quote azionarie, posto in essere per regolare rapporti interni alla famiglia senza alcun esborso effettivo di denaro;

 

- dalla violazione dell’art. 53 della Costituzione in materia di capacità contributiva, atteso che i maggiori proventi accertati costringerebbero la contribuenti a corrispondere un carico fiscale sproporzionato rispetto alla sua reale situazione economica;

- dalla violazione dell’art. 2727 del c.c. in materia di presunzioni semplici.

Per tali ragioni chiedeva, previa sospensione delle cartelle esattoriali nel frattempo ricevute, l’annullamento degli atti imposti e la rifusione delle spese di lite.

Con la costituzione in giudizio dell’Agenzia impositrice, del 06.07.2012, quest’ultima riteneva corretto il suo operato avendo adeguatamente motivato la verifica condotta a fronte della quale la controparte non avrebbe apportato un’adeguata giustificazione, atteso che i proventi del coniuge si attesterebbero su importi di gran lunga inferiori alla gestione degli immobili posseduti ed in particolare a fronteggiare le rate semestrali necessarie alla copertura dell’acquisto delle azioni.

Riteneva, pertanto, precaria la giustificazione inerente l’assenza di somme ripassate nelle compravendite avvenute nell’ambito familiare in quanto non sarebbe stato ciò specificatamente provato. Negava, quindi, ogni addebito attribuito in merito alla violazione dell’art. 2727 del c.c. in quanto le disponibilità immobiliari e mobiliari consentivano agevolmente presumere la capacità contributiva della reclamante.

Concludeva per il rigetto dei ricorsi e la rifusione delle spese di lite.

Diritto

L’istituto del redditometro rientra nella tipologia degli accertamenti fondati sul dato medio-ordinario, determinato da metodi statistici definiti ” standardizzati “e, quindi, tra quelli che si innalzano su presunzioni semplici, abbisognevoli di motivazioni tangibili da parte del verificatore e non costruite su parametri ministeriali avulsi dalle singole realtà territoriali (cfr. Cass. n. 13.289 del 2011 ). In spessi casi, infatti, l’abnormità delle rideterminazioni dedotte dall’Amministrazione finanziaria assume delle posizioni da rasentare l’inverosimile.

Le tabelle allegate al D.M. n. 65.648 del 24.12.2012, che hanno sostituito le analoghe precedenti, prevedono dei fattori dai quali, lo strumento induttivo utilizzato dal Fisco, attinge gli elementi indicativi di capacità contributiva per ogni singola persona fisica. Tale sistema, adottato per trasformare le spese sostenute dai contribuenti in reddito, attraverso una combinazione di dati provenienti dall’anagrafe tributaria e stime messe a punto dall’ISTAT, è da ritenersi in contrasto con la legge ordinaria, con la Costituzione e con la normativa comunitaria.

Nella ripartizione dei poteri dello Stato e nella subordinazione della funzione esecutiva a quella legislativa, la Costituzione italiana è molto chiara: le fonti secondarie, come il D.M. del 24.12.2012 appena richiamato, sono sottoposte alla legge nazionale e questa deve sottostare a quella comunitaria. I diritti costituzionalmente garantiti per la loro attinenza a valori primari, qual è – fra gli altri – la riservatezza, non possono essere sacrificati con conseguente relativa compromissione, ma sottoposti ad una specifica tutela al fine di evitare la lesione da parte della P.A. L’equilibrio tra gli interessi contrapposti è demandato, quindi, al legislatore e sottratto alla valutazione della Pubblica Amministrazione, consentendo al cittadino di essere libero e vivere la propria vita senza dover giustificare le proprie scelte, salvo casi eccezionali sanciti dalla legge (cfr. Cass. ord. n. 19.393 del 2009, n. 19.577 del 2010, C.Cost. n. 200 del 2005, CGCE n. 566 del 2012, n. 279 del 2010, TAR Marche n° 788 del 2012).

Secondo le disposizioni di cui al 4° e 5° commi dell’art. 38 del D.P.R n. 600 del ’73, l’accertamento previsto dal Ministero dell’Economia deve riguardare gruppi generici di contribuenti a scopo statistico ed anonimo, invece il decreto e le annesse tabelle in parola non considerano detti criteri, né analizzano campioni di nuclei familiari in differenti zone geografiche, ma, in palese contrasto con la legge ( D.P.R. 600/73 art. 38), sottopongono indirettamente a controllo anche le spese mediche riferibili a soggetti diversi dal contribuente per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare ( si pensi all’acquisto di un medicinale per il congiunto malato oppure del libro di lettura) permettono un’analisi diretta della specifica persona e, come tale, incostituzionale.

Invero, l’analisi di ogni tipo di spesa, la richiesta di giustificare le modalità di investimento dei propri risparmi sino alla grottesca pretesa di conservare tutti gli scontrini fiscali sono elementi che mortificano la libertà del cittadino, imponendogli un’indebita ed illecita compressione che non trova giustificazione né nelle norme nazionali (cfr. violazione artt. 2, 3, 13 e 24 Cost.), tanto meno in quelle europee sinora descritte (cfr. violazione artt. 1, 7 e 8 Carta dei diritti fondamentali della UE), né nei principi fondamentali dell’economia.

Il Regolamento contenente il redditometro in palese contrasto con la legge ( D.P.R. 600/73), utilizza come parametro, per determinare le spese medie delle famiglie italiane, l’attività svolta dall’ISTAT che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria, dovendo – quest’ultima – indirizzare la sua indagine alla distinta ricostruzione di individualizzati profili dei contribuenti. Il cd. Redditometro invero non svolge alcuna ” differenziazione tra cluster di “contribuenti” così come imposto dall’art. 38, dpr 600/1973 e dall’art. 53 Cost., bensì del tutto autonomamente opera una differenziazione di tipologie familiare suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando, quindi, all’interno di ciascuna delle tipologie figure di contribuenti del tutto differenti tra loro (l’operaio, l’impiegato, il funzionario, il dirigente, chi ha avuto periodi di disoccupazione alternati a periodi di forti guadagni etc. etc.)”.

L’illegittimità del D.M. contenente il Redditometro ne impone quindi la disapplicazione da parte del giudice.

Va riconosciuto, quindi, all’Amministrazione finanziaria la possibilità di basare i suoi accertamenti sulle spese o sugli incrementi patrimoniali, ma non appare corretto attribuire, automaticamente, a questi elementi un corrispondente valore reddituale, atteso l’onere gravante sull’Agenzia impositrice di provare e quantificare, nel caso specifico e concreto, il legame tra una determinata spesa e la corrispondente capacità contributiva del soggetto accertato.

Torna utile rammentare, quindi, come i coefficienti promanati dal ” redditometro ” possono ritenersi nello stesso modo in cui vengono considerati gli ” studi di settore ” prettamente indiziari con la conseguente necessità, per gli accertamenti basati sul primo, di supportare gli elementi o valori standardizzati con elementi effettivi, pena la loro trasformazione da “mezzi di accertamento a mezzi di determinazione del reddito, con illegittima compressione dei diritti emergenti dagli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione” ( cfr. Cass. n° 26.635 del 2009).

Venendo al caso di specie, va detto che questa commissione ha avuto già modo di occuparsi della medesima problematica, relativamente all’annualità 2006 ( sent. N. 145/01/12 ), accogliendo parzialmente il reclamo della C., disponendo la necessaria rideterminazione della pretesa erariale, avendo estrapolato dall’imposizione, posta in essere dall’ufficio, l’importo di € 52.607,00 (diconsi Euro cinquantaduemilaseicentosette/00), quale ipotetica spesa fronteggiata dalla ricorrente per il mantenimento di tre unità immobiliari possedute nel Comune di Termoli, fondando la ragione di tale esclusione – sostanzialmente – nella carente motivazione che giustificasse il raggiungimento di un tale costo.

L’indirizzo assunto dal collegio in quella circostanza permane tutt’ora e, ciò, per le ulteriori motivazioni di seguito spiegate.

I risultati conseguiti dall’Amministrazione finanziaria ( Agenzia delle Entrate ), attraverso l’accertamento in esame, mediante l’applicazione dei DD.MM. 10.09.1992 e 19.11.1992, relativamente al reddito netto complessivo, induttivamente determinato, contrasta nettamente con i parametri dei fitti definiti dalla medesima Amministrazione verificatrice (Agenzia del Territorio ) e, tale discrasia, la si rileva agevolmente attraverso il computo appresso spiegato.

Con tre immobili disponibili nel Comune di Termoli, la ricorrente sosterrebbe, a dire del Fisco, delle spese annuali (quale reddito sottratto ad imposizione) pari ad € 52.659,20, ovvero 66.768,61 (quota immobili) – 14.109,41 (quota autovettura) (cfr. pag. 5 avviso di accertamento) per il mantenimento degli appartamenti accertati.

Ipotizzando che le medesime costruzioni siano allocate in una zona semicentrale della cittadina adriatica, secondo i parametri O.M.I., emessi dall’Agenzia del Territorio, le stesse sarebbero in grado di produrre un fitto medio annuo pari ad Euro:

1) – mq. 400 x 5,00 (media tra € 4,00 / 6,00 / mq. / mese ammissibili ) x 12 = € 24.000,00;

2) -mq. 120 x 5,00 (media tra € 4,00 / 6,00 / mq. / mese ammissibili ) x 12 = 7.200.00;

3) -mq.400x 5,00 (media tra € 4,00 / 6,00 / mq. / mese ammissibili ) x 12 = € 24.000,00;

Totale pigione annuale € 55.200,00

Se la rideterminazione operata dall’ufficio nell’avviso di accertamento in esame rispondesse al vero, alla proprietaria degli immobili rimarrebbe – in caso di locazione – una quota di solo 2.540,08 Euro, quale reddito annuale spettante al soggetto che ha investito i capitali necessari per l’acquisto o la costruzione di detti immobili. In altri termini, il costo annuale per il mantenimento dei fabbricati, secondo i parametri ministeriali, sarebbe all’incirca pari al ricavato dal canone percepito dalla titolare dei fabbricati medesimi; ciò è di palmare evidenza come tale principio possa contrastare con ogni considerevole logica economica. Infatti, ragionando compiutamente, nessun ritorno economico possa garantire un investitore se il canone da questi percepito dalla locazione risulta dello stesso importo sostenuto per il mantenimento dei medesimi fabbricati.

Delle due l’una O i valori OMI sono scarsamente remunerativi o i coefficienti ministeriali risultano esageratamente esosi; mancante una netta differenza tra i valori dei primi e quelle promanati dai secondi, il principio economico su cui fonda le radici la sussistenza di gran parte del patrimonio edilizio italiano, verrebbe totalmente annientato.

Questa Commissione, avendo avuto modo di appurare che i parametri OMI difficilmente riescono a rappresentare la effettiva situazione reale, atteso il livello di stima utilizzato mediamente superiore ai casi concreti presi in considerazione, deve ritenere – in conseguenza di ciò – che i dati ministeriali, utilizzati per determinare, a ritroso, il reddito delle persone, partendo dai costi ritenuti erroneamente sostenuti per il mantenimento delle costruzioni, vanno necessariamente disapplicati, atteso che i parametri definiti dai DD.MM. 10.09.1992 e 19.11.1992, violano nettamente i criteri della progressività della capacità contributiva delle persone secondo quanto previsto dall’art. 53 della Carta costituzionale.

Ben diverso sarebbe se gli appartamenti in esame fossero effettivamente locati e l’eventuale canone percepito fosse sfuggito all’imposizione, sussistendo considerevole differenza tra l’ammontare annuale del canone ed i costi di gestione, la cui diversità andrebbe sottoposta a tassazione; di ciò, per il caso di specie, non v’è traccia alcuna sussistendo solo una rideterminazione induttiva non legittimante puntualmente il dato ottenuto.

L’A.F., pertanto, rideterminerà il reddito dei fabbricati e dei terreni sulla base delle sole risultanze catastali.

Analogo concetto potrebbe valere in relazione al reddito individuato dalla presenza dell’autovettura accertata, dato che – anche per tale tipologia di bene posseduto – sussistono parametri precisi e puntuali e non generalizzati. A determinare la variabilità dell’importo necessario al mantenimento del veicolo concorrono una pluralità di fattori quali, ad esempio, eventuali interessi sul capitale speso per l’acquisto, la tassa automobilistica, il premio annuale assicurativo ed infine il consumo del carburante.

Nel caso in parola, mancando diversi fattori (fra i tanti il chilometraggio annuale percorso per comprendere l’incidenza unitaria del combustibile, la cilindrata dell’automobile per determinare il premio assicurativo), risulta di difficile attuazione la verifica sull’operato dell’Ufficio; determinando, comunque, un dato medio al riguardo, questo collegio ritiene attendibile la ricostruzione effettuata dall’ A.F.

Venendo all’altro punto della controversia. l’Ufficio accerta, in applicazione dell’art. 38, 4° e 5° comma del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre a quanto innanzi detto, un ulteriore maggior reddito, a carico della signora C., costituito da 36.000.00 Euro, quale somma versata in due rate annuali a seguito di un impegno assunto, in un pubblico atto, per l’acquisto di azioni dal proprio figlio, il cui valore globale ammonta ad €. 360.000,00, da corrispondersi in dieci anni a partire dal 2005.

La effettuata rideterminazione reddituale può essere condivisa, da parte di questa commissione, così come già ha avuto modo di pronunciarsi per l’annualità 2006 (cfr. propria decisione n. 145/01 / 2012 innanzi detta ).

Quanto al reddito, ritenuto dalla contribuente, ottenuto da una sua azienda agricola, si osserva che cinque ettari di normale terreno agricolo non consentono il ricavo netto annuale di 8 / 9.000,00 Euro, utilizzati per fronteggiare una parte dell’investimento azionario praticato; tanto meno risulta provato, da parte della ricorrente, l’introito di 8 / 9.000.00 Euro ottenuto dalla coltivazione del fondo.

Non può riconoscersi utile, per i fini di cui innanzi, nemmeno il reddito annuale del coniuge della ricorrente, per un importo pari ad € 38.584,00, in quanto – sia pur condividendo il principio della ” famiglia fiscale “, secondo il quale le disponibilità finanziarie, da qualsiasi componente prodotte, soccorrono a fronteggiare le esigenze dell’intero nucleo familiare – nel caso di specie, non essendo state dimostrate altre risorse, le entrate del coniuge sono servite per i sostentamenti dell’intera famiglia, anche in ragione del fatto che i costi annuali delle azioni andrebbero ad esaurire, quasi totalmente, l’intero reddito prodotto dal coniuge E.L., senza lasciare alcuna disponibilità per i bisogni domestici.

Per completezza di esposizione va detto pure che, in corso d’udienza, è emersa la circostanza sulla cessione delle quote azionarie nuovamente al figlio; tale circostanza potrebbe liberare la C. totalmente, da ogni obbligo tributario. Tuttavia detta circostanza non rileva in questa sede per due ragioni:

- perché ciò è stato riferito solo verbalmente in sede d’udienza e non sorretto da prove documentali;

- poiché, se pure ciò rispondesse a verità, l’avvenuta cessione rileverebbe dalla data di stipula del relativo atto di trasferimento e non ha alcun effetto per le annualità 2007 e 2008, al momento vagliate.

Il ricorso, pertanto, va, per le ragioni innanzi esposte, accolto solo parzialmente. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Respinta ogni altra domanda, eccezione ed obiezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe enunciati, dispone che l’Amministrazione Finanziaria ridetermini il reddito previsto per il mantenimento dei fabbricati e quello derivante dal terreno agricolo sulla base delle risultanze catastali. Conferma nel resto l’opposto provvedimento impositivo.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Redazione TirrenoNews

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