BANNER-ALTO2
A+ A A-

Redazione TirrenoNews

Dal 2005 la Redazione di TirrenoNews.Info cerca di informare in modo indipendente e veloce.

 

LogoTirrenoNews

Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L'emigrazione tra bugie e mancate verità.

Venerdì, 28 Ottobre 2016 12:25 Pubblicato in Catanzaro

Il futuro dell’Italia dal dossier sulla emigrazione alla Prefettura di Catanzaro.

Una somma infinita di verità e bugie dal dossier sulla emigrazione presentato presso la Prefettura di Catanzaro.

La paura della fine dell’Italia.

Si afferma che alla fine del 2015 la popolazione straniera in Italia è rimasta pressoché invariata rispetto all’anno precedente: 5.026.153 residenti, con un aumento di appena 12mila unità.

Il Corriere della Sera invece scrive :Tenendo conto che nei centri governativi e nelle diverse strutture ci sono 80.150 persone, e sommando anche la parte di chi si è visto respingere la domanda, il calcolo «per difetto» è di almeno 50 mila persone sfuggite senza lasciare traccia, non escludendo che possano essere anche 10 mila in più.

Nelle anagrafi comunali sono stati registrati 250mila cittadini stranieri in arrivo dall’estero (lo stesso numero dell’anno precedente), un livello equiparabile ai grandi flussi degli emigrati che lasciavano l’Italia negli anni ’60.

La demografia in Italia :

Per la prima volta nel 2015, infatti, la popolazione complessiva residente nel paese è in calo di 150mila unità (gli italiani erano in calo già negli anni precedenti) e questa tendenza peggiorerà.

Ci saranno 11,5 milioni di italiani in meno: Nel periodo 2011-2065, secondo lo scenario più probabile ipotizzato nelle proiezioni demografiche curate dall’Istat, la dinamica naturale in Italia sarà negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite e 40 milioni di decessi).

E ci saranno 12 milioni di stranieri in più: nello stesso periodo 2011-2065, sempre secondo lo scenario più probabile ipotizzato nelle proiezioni demografiche curate dall’Istat, ci saranno 17,9 milioni di ingressi e 5,9 milioni di uscite, con un saldo positivo di 12 milioni di unità.

La demografia in Calabria :

Il numero di stranieri residenti in Calabria è aumentato in quest'ultimo anno del 6,1%, un dato nettamente superiore alla media nazionale, pari allo 0,2 per cento.

Al gennaio 2016, i circa 97 mila stranieri residenti in Calabria, pari al 4,9 per cento della popolazione regionale.

Il 51,4 per cento degli stranieri in Calabria sono donne, il 14,8 per cento bambini di età compresa tra 0 e 14 anni.

La distribuzione per età dimostra come il 70 per cento dei residenti non abbia più di 44 anni, mentre gli oltre 65enni sono soltanto il 2,6 per cento della popolazione straniera calabrese.

Il mondo del lavoro ha fatto registrare un incremento delle assunzioni di stranieri pari a 1.300 unità, per un totale, nel 2015, di 35.912 lavoratori immigrati.

Di questi, il 58,1 per cento sono uomini.

Le assunzioni hanno interessato principalmente il settore dei servizi (40,6 per cento) e quello dell'agricoltura (35,1 per cento).

Quanto agli stati di provenienza, in vetta al numero di presenze c’è la Romania con oltre 33 mila residenti. A seguire il Marocco (14 mila presenze) e l’India (4300).

Di tutti i 97 mila stranieri presenti in Calabria, solo il 28 per cento è di religione musulmana, gli altri sono cristiani.

Le finte verità dell’Aire

Il rapporto ha indagato anche sui numeri dei calabresi residenti all'estero: nel 2015 sono 393.118 (più 10.986 rispetto al 2014).

I Paesi preferiti dall'emigrazione calabrese sono Germania (73 mila residenti) e l'Argentina (96 mila).

La maggior parte di calabresi all'estero iscritti all'Aire proviene dalle province di Cosenza (163mila) e Reggio Calabria (89 mila).

Le pagliette di Manoccio e l’uso dei profughi

Manoccio sostiene che lo Sprar, il sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, può rappresentare una risorsa preziosa a disposizione dei comuni per favorire il rilancio occupazione e produttivo del territorio.

Manoccio, delegato della Presidenza della Regione Calabria sull’immigrazione, ha portato la propria testimonianza ed ha ribadito l’importanza dei progetti Sprar per lo sviluppo delle aree interne e la costruzione di un dialogo interculturale fondamentale per una corretta gestione dei flussi migratori e delle pratiche di accoglienza, integrazione e cittadinanza.

Gli ha fatto eco il direttore dell’Usr Calabria, Diego Bouchè,il quale ha evidenziato come abbia ottenuto dal ministero il via libera in deroga per due posti di insegnanti a Badolato dopo l’emergenza generata da un recente sbarco.

Insomma più profughi più posti di lavoro per gli italiani.

E questo è vero!

La grande bugia

Nessuno che si preoccupi realmente delle migliaia di bambini scomparsi; un fatto vergognoso per una Italia che dice di aiutare i profughi!

Nessuno che racconti che cosa succede in Africa e le vere ragioni di questo esodo biblico se non MEDU nell’articolo del 06 Giu 2014 dal titolo “Non ho scelto di partire”:

“Il primo Paese che ho raggiunto è stato l’Etiopia e lì mi sono fermato per sei mesi. Poi ho proseguito verso il Sudan, ma è molto pericoloso perché i Rashaayda rapiscono le persone e la polizia di frontiera ha l’ordine di sparare contro chi tenta di attraversare il confine. Prima le persone rapite venivano vendute in Egitto, ai beduini del Sinai, che chiedevano il riscatto telefonicamente alle famiglie, come è accaduto a me. Ora invece non si può più arrivare in Israele, quindi il percorso è cambiato. I Rashaayda rapiscono le persone al confine o nel campo profughi di Shagarab e le liberano solo se le famiglie pagano il riscatto, altrimenti le uccidono”. Così racconta S., stanco ma risoluto uomo di 28 anni, che ha raggiunto le coste della Sicilia dopo un viaggio durato quasi quattro anni, tra rapimenti, riscatti, attese e torture. Medici per i Diritti Umani (MEDU) lo ha incontrato a febbraio, presso un Centro di prima accoglienza nell’entroterra ragusano, dove da cinque mesi attendeva l’esito della sua richiesta di asilo. Come per molti migranti provenienti dal Corno d’Africa, per S. quella di lasciare il proprio Paese, non è stata una scelta, come non lo è stata per molti dei 43mila migranti arrivati via mare in Italia nel corso del 2013, di cui oltre 11.000 provenienti dalla Siria, un Paese dilaniato da una guerra civile che ha causato in tre anni oltre 100mila vittime e 2 milioni e mezzo di profughi, e quasi 10.000 dall’Eritrea, governata da più di venti anni da un feroce dittatore. Così Amnesty International descrive l’Eritrea nel rapporto del 2013 sulla situazione dei diritti umani nel mondo: “L’arruolamento militare nazionale è obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato. E’ obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici continuano ad essere detenuti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego di tortura ed altri maltrattamenti è un fenomeno diffuso. Non sono tollerati partiti politici d’opposizione, mezzi di informazione indipendenti od organizzazioni della società civile. Soltanto quattro religioni sono autorizzate dallo stato; tutte le altre sono vietate e i loro seguaci sono sottoposti ad arresti e detenzioni”. S. è partito dall’Eritrea nel 2009 dopo essere stato prelevato con la forza dalla scuola che frequentava e costretto alla leva militare a tempo indeterminato. Poi la fuga, lasciando alle spalle la madre, sottoposta a ripetute violenze da parte dei militari, tre sorelle e quattro fratelli, di cui tre costretti come lui al servizio militare. Dopo sei mesi presso il campo profughi di MAI AINI, in Etiopia, e sette giorni di cammino, S. decide di proseguire verso il Sudan, ma viene rapito al confine da uomini della tribù beduina dei Rashaayda. Durante la notte riesce a fuggire e dopo sette giorni di cammino raggiunge il campo profughi di Shagarab, in Sudan, nei pressi della città di Kassala, attraversata ogni mese da circa 3.000 profughi eritrei (UNHCR). Nel campo di Shagarab però le misure di sicurezza a tutela della popolazione accolta sono pressoché inesistenti. Tutte le testimonianze raccolte da MEDU nel mese di febbraio 2014, raccontano infatti di frequenti incursioni e rapimenti da parte dei Rashaayda, con la connivenza delle forze di sicurezza locali. Secondo le rilevazioni dell’UNHCR, nel solo 2012 sono stati registrati 551 casi di sparizione dal campo di Shagarab, su un totale di 29mila rifugiati presenti. In più di 400 casi – quasi 40 persone al mese – si sarebbe trattato di rapimenti. Ha poco più di un filo di voce e gli occhi di chi già ha visto troppo< F., 24 anni, anche lei di nazionalità eritrea e costretta ad arruolarsi nel 2010, mentre frequentava la facoltà di ingegneria ad Asmara, quando racconta di una donna scomparsa mentre andava a prendere la legna per il fuoco, lasciando un figlio di 4 anni, nato all’interno del campo o dei tanti migranti con i corpi mutilati o segnati da cicatrici ai polsi e alle caviglie, da ustioni e ferite da sigarette spente, esito delle torture subite nel Sinai. Fino al 2013 il Sinai rappresentava infatti uno snodo centrale del traffico di esseri umani che dal Corno d’Africa conduceva a Israele. Ma se fino al 2010 l’attraversamento del confine con Israele avveniva quasi senza impedimenti, dalla metà del 2010 e fino al novembre 2013 i sequestri da parte dei Rashaayda sono divenuti sistematici. Venduti a trafficanti egiziani, anche essi appartenenti a tribù di beduini, imprigionati e sottoposti ad atroci torture, i migranti venivano liberati solo in seguito al pagamento del riscatto da parte dei familiari. La famiglia di D. ha pagato 2.300 dollari nel 2009 ma dopo 6 mesi di prigionia, il figlio è stato ricondotto a Shagarab, da dove ha iniziato un nuovo viaggio, durato 2 anni. Quella di B., invece, di dollari ne ha pagati 32.000 nel 2012. Dopo la liberazione, B. viene fermato dai militari egiziani e arrestato nel tentativo di attraversare il confine con Israele. Dopo dieci mesi di detenzione presso la stazione di polizia di Al Arish, dove condivide una minuscola cella con 7 persone, B. riesce a contattare di nuovo la famiglia grazie all’intervento di un’associazione che, attraverso l’ambasciata etiope, provvede all’acquisto di un biglietto aereo per l’Etiopia. Così B. viene liberato e, dopo 3 mesi tenta di nuovo il viaggio, questa volta attraverso il Sudan e la Libia. Raggiunge l’Italia in meno di un mese questa volta, ma solo dopo aver trascorso 3 giorni ad Ajdabya, in Libia, dove in 2 case con un solo bagno erano stipate più di 4.000 persone. Così ricorda quei giorni: “Per fare pipì, dovevamo andare in dieci contemporaneamente e potevamo trattenerci solo pochi secondi. Da bere usavamo la stessa acqua che si usava per scaricare, altrimenti dovevamo comprarla. Il cibo era scarsissimo e al minimo rumore ci chiudevano in casa. Molte persone si sentivano male, ma non venivano soccorse”. Poi raggiunge Benghazi viaggiando per una settimana nel bagagliaio di una macchina e da lì Tripoli, dove viene detenuto per circa due settimane, con altri 130 eritrei. Finalmente a febbraio riesce ad imbarcarsi, con un “biglietto” da 1.600 euro e dopo 3 giorni di navigazione con non sa quanti uomini, donne, bambini, raggiunge Lampedusa.
Da quando nel gennaio 2013 Israele ha portato a termine la costruzione di una recinzione lunga 245 chilometri e alta 15 metri, sormontata da filo spinato e sorvegliata da torri di controllo che separa l’Egitto da Israele lungo il confine che corre da Rafah a Eliat e ha inasprito le politiche migratorie, il traffico di esseri umani si è spostato seguendo nuove rotte che dall’Etiopia e il Sudan conducono alla Libia, attraverso il deserto del Sahara. In Libia, le aree maggiormente interessate all’organizzazione delle partenze sono quelle intorno a Tripoli, Misurata e Bengasi dove arrivano i migranti provenienti dal Sudan, dalla Nigeria e da altri paesi del Centro Africa dopo aver raggiunto i principali snodi rappresentati dall’oasi di Kufra (nel Sud-Est della Libia) e l’area di Sebah (nel Sud-Ovest), mentre per chi proviene dal Corno d’Africa il punto di raccolta prima dell’ingresso in Libia, è la città sudanese di Khartoum.
Da gennaio ad aprile 2014 sono arrivati in Italia via mare 25mila migranti, più della metà di quelli giunti nell’intero 2013, di cui il 90 per cento partiti dalla Libia. Si tratta nella maggior parte dei casi di persone in fuga. Richiedenti asilo li chiameremo, se decideranno di restare in Italia. Semplicemente profughi o immigrati irregolari se sfuggiranno ai controlli e non lasceranno qui le loro impronte. Ad aspettarli in Italia un sistema di protezione ancora inadeguato a garantire accoglienza, tutele e diritti e di accompagnare le tante persone sopravvissute a separazioni, torture, violenze, trattamenti inumani e degradanti nel difficile percorso verso la riconquista di autonomia, fiducia e dignità. Mariarita Peca medici per i diritti umani.

Confine Messico USA

Quando arrivarono gli Albanesi

La Confartigianato dice che Calabria è la regione messa peggio del Paese.

Fa eco Gian Antonio Stella del Corriere della Sera con il suo articolo” Paletta e secchiello.

Per mettere in sicurezza la terra più esposta d’Italia al rischio idrogeologico, i «forestali» calabresi sono dotati degli strumenti di un bambino in spiaggia.

Basti dire che al suo arrivo, sei mesi fa, il nuovo commissario straordinario trovò un esercito di 5.887 uomini e tre ruspe.

Tre. Tutte tre fuori servizio.

Chiese una Panda: mancava l’assicurazione.

A dispetto di spese per circa duecento milioni. Nascoste in un bilancio intenzionalmente impenetrabile. Dieci volte più pesante di quello dei forestali del Veneto.

«Questa volta non ci saranno picchetti e occupazioni. Il governo Renzi, grazie al presidente Oliverio e alla delegazione parlamentare pd, ha inserito in legge di Stabilità 50 milioni per Lsu e 130 per i forestali!», esulta sul suo blog la deputata Enza Bruno Bossio.

«Avanti sulla strada dei diritti!». Quali?

Questo è il punto: i «diritti» dei dipendenti di «Calabria Verde» fondata nel 2013 per sistemare in un unico carrozzone i vecchi forestali dell’Afor, i riciclati delle comunità montane e gli addetti alla sorveglianza idraulica, passati dal part-time al tempo pieno con un raddoppio dei costi?

O i diritti dei cittadini italiani che si fanno carico di queste spese di assistenzialismo puro e ancor più dei cittadini calabresi ai quali dovrebbe esser garantita la possibilità di vivere senza l’incubo che al primo nubifragio venga giù tutto?

Sono 9.417 le frane censite che mettono a rischio quasi la metà del territorio.

Un quadro così allarmante da spingere mesi fa lo stesso Sergio Mattarella a ricordare quanto la Calabria abbia «sofferto speculazioni e incurie» nonché del «perverso connubio tra malaffare e cattiva amministrazione».

«Il dissesto idrogeologico», ammonì, «è causa di un impoverimento di risorse e di rischi per le popolazioni. Intervenire per ridurlo è opera di grande valore sociale».

Parole al vento. Anche l’ultimo conto consuntivo della società, nonostante la svolta tentata con la nomina a commissario di Aloisio Mariggiò, un generale dei carabinieri scelto per arginare le polemiche, mostra come solo una minima parte dei costi esorbitanti finisca nella gestione dell’azienda e oltre il 96% in stipendi.

Eppure, denuncia il geologo Mario Pileggi, i «2.587 interventi per un costo di un miliardo e duecento milioni ritenuti necessari» nel Piano di difesa del suolo del 2008–2009, sono stati portati a termine solo «in minima parte».

Ovvio: «Ci sono operai mandati a mettere in sicurezza una fiumara pericolosa senza un mezzo meccanico», sorride amaro il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. «Qualcuno si è portato il badile da casa. Si può risanare un territorio pericoloso senza una ruspa e con le vanghe portate da casa?».

O il forestale è un eroe e si spacca la schiena come gli antichi schiavi nubiani o si mette all’ombra e aspetta sera.

Dice tutto, sulle priorità della politica (niente grane coi forestali, al risanamento penseremo poi…) l’inchiesta aperta appunto dalla magistratura su 80 milioni di euro di Fesr (Fondi Europei Sviluppo Regionale) stanziati per contenere i rischi idrogeologici e usati invece per gli stipendi a quella massa abnorme di forestali.

Soldi che la Ue a questo punto non verserà più. Persi. Addio. Come la spieghi, agli europei e agli italiani, quella scelta? Come possono capire, gli «altri», una Regione con 5.887 forestali stabili (e va già meglio d’una volta quando lo stesso Giacomo Mancini, calabrese, li definì «una maledizione») contro i 277 (ventuno volte di meno) del Veneto, dove il costo (tutto compreso, anche i 347 «stagionali») è di 21 milioni netti contro i 185 per i soli stipendi «forestali»?

Un dettaglio?

Il tributarista Michele Mercuri, dell’UniCal, ride amaro dell’incasso 2014 per il «materiale legnoso» che doveva coprire un po’ i costi: 14.603 euro. «Sufficienti a coprire poco me meno dello 0,005% delle spese».

E il bello è che in questi stessi anni, come emerge dall’inchiesta a Castrovillari del giudice Eugenio Facciolla, c’è chi col legno ha fatto montagne di soldi.

Chiudendo contrattini da poche centinaia o migliaia di euro per la rimozione di legname caduto a terra per poi radere al suolo ettari ed ettari di alberi secolari con motoseghe, gru e camion rimorchi. Misfatti ecologici già denunciati da decenni. E da decenni combattuti a chiacchiere. Esattamente come l’antico vizio dei mammasantissima politici locali di usare forestali, ricattati con le clientele, per costruire o restaurare le proprie abitazioni.

Vizietto costato l’arresto a settembre a Paolo Furgiuele, che da direttore generale non solo aveva concorso a dirottare i soldi di cui dicevamo, ma per ristrutturare casa sua aveva usato gli operai di Calabria Verde e il parquet destinato agli uffici aziendali. Altra inchiesta parallela, con alcuni protagonisti già indagati per il dirottamento degli 80 milioni dalle opere idrogeologiche agli stipendi, quella su un appalto da 32 milioni di euro per l’acquisto (finalmente) di macchinari indispensabili per la guerra agli incendi.

Appalto finito «fuori tempo massimo» (sui responsabili decideranno i giudici) col solito risultato, raccontato sul Quotidiano della Calabria da Paolo Orofino: soldi perduti e buttati via.

E i camion, le autobotti, le attrezzature da comprare? Addio… «L’assoluta mancanza di mezzi meccanici adeguati e le limitazioni contrattuali previste per il personale impiegato nella sorveglianza idraulica, non hanno consentito di effettuare l’auspicato salto di qualità», accusa il commissario Aloisio Mariggiò nella relazione allegata al bilancio 2015.

“Date alle donne occasioni adeguate ed esse potranno fare tutto” così scriveva Oscar Wilde.

 

Dopo la pausa estiva, la Sezione Fidapa di Amantea, retta dalla Presidente Clara Sciandra, ha riavviato le sue attività con un interessante Incontro-Dibattito, tenutosi il 22 ottobre c.a., con gli studenti delle V classi dell’I.I.S. di Amantea, su “ Le donne in politica e diplomazia: difficoltà e sfide, passioni e successi ”, in attuazione del Tema Internazionale “ Making a difference through leadership and action “.

Oltre agli studenti, erano presenti numerose socie ed autorevoli presenze della fidapa e dell’associazionismo calabrese.

Il dibattito si è concentrato sul tema della parità di genere in due campi, quello politico e quello diplomatico, in cui ci sono ancora tante barriere da abbattere.

 

Dopo i saluti della Presidente di Sezione, Clara Sciandra, del Sindaco di Amantea, Monica Sabatino e del Dirigente Scolastico, prof. arch. Francesco Calabria, ha introdotto e moderato il dibattito la Past Presidente di Sezione, Anna Magnone, organizzatrice dell’evento.

Fra i relatori, ha esordito la fidapina e avv. Bianca Rende, Consigliere del Comune di Cosenza, con un’analisi esaustiva della situazione femminile attuale, e delle ragioni per le quali è necessaria e auspicabile una equa presenza femminile in politica come in diplomazia, soprattutto a livello apicale, indicando percorsi normativi, oltre che culturali, per la risoluzione del problema.

 

La fidapina, on. Stefania Covello, si è soffermata sull’aspetto più prettamente politico della tematica.

In maniera coinvolgente e appassionata, ha riferito ai giovani il suo percorso da consigliere provinciale a consigliere regionale e a parlamentare, significando loro come, attraverso i vari gradi di vita politica, si possano maturare le giuste competenze per registrare e affrontare i bisogni del territorio, specie in una regione difficile quale la Calabria, ove per le donne è ancora più arduo fare politica.

 

Le conclusioni sono state fatte dalla Past Presidente Fidapa Distretto S.O., avv. Angiola Infantino, che ha dato prova di grande competenza ed equilibrio nell’affrontare la tematica e tirare le somme del dibattito, sotto il profilo sia giuridico che culturale.

Dalle sue parole, traspariva, soprattutto, la competenza e sicurezza di chi ha maturato un lungo percorso di vita associativa in Fidapa e guarda alle associazioni anche come momento preparatorio di un impegno politico, serio e proficuo. I giovani presenti, hanno espresso le loro opinioni stimolando un dibattito che ha raggiunto alti livelli, facendo raggiungere l’obiettivo della Presidente e della Past Presidente, la quale con impegno ed entusiasmo ha lavorato per una discussione, la più ampia possibile e a più voci, su una tematica interessante per giovani che si preparano ad affrontare un percorso di vitapiù responsabile.

 

BANNER-ALTO2
© 2010 - 2021 TirrenoNews.Info | Liberatoria: Questo sito è un servizio gratuito che fornisce ai navigatori della rete informazioni di carattere generale. Conseguentemente non può rappresentare una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità predefinita. Non può, pertanto, essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge 62 del 7 marzo 2001. L'Autore del sito non è responsabile dei commenti inseriti nei post o dell’utilizzo illegale da parte degli utenti delle informazioni contenute e del software scaricato ne potrà assumere responsabilità alcuna in relazione ad eventuali danni a persone e/o attrezzature informatiche a seguito degli accessi e/o prelevamenti di pagine presenti nel sito. Eventuali commenti lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di persone terze non sono da attribuirsi all’autore del sito, nemmeno se il commento viene espresso in forma anonima o criptata. Nei limiti del possibile, si cercherà, comunque, di sottoporli a moderazione. Gli articoli sono pubblicati sotto “Licenza Creative Commons”: dunque, è possibile riprodurli, distribuirli, rappresentarli o recitarli in pubblico ma a condizione che non venga alterato in alcun modo il loro contenuto, che venga sempre citata la fonte (ossia l’Autore). Alcune immagini pubblicate (foto, video) potrebbero essere tratte da Internet e da Tv pubbliche: qualora il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del sito che provvederà prontamente alla loro pronta. Qualunque elemento testuale, video, immagini ed altro ritenuto offensivo o coperto da diritti d'autore e copyright possono essere sollecitati inviando una e-mail all'indirizzo staff@trn-news.it. Entro 48 ore dalla ricezione della notifica, come prescritto dalla legge, lo staff di questo Blog provvederà a rimuovere il materiale in questione o rettificarne i contenuti ove esplicitamente espresso, il tutto in maniera assolutamente gratuita.

Continuando ad utilizzare questo sito l'utente acconsente all'utilizzo dei cookie sul browser come descritto nella nostra cookie policy, a meno che non siano stati disattivati. È possibile modificare le impostazioni dei cookie nelle impostazioni del browser, ma parti del sito potrebbero non funzionare correttamente. Informazioni sulla Privacy