Dal Rapporto 2015 sul “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”, rileviamo su circa 8.300 km di coste, 7.500 km sono ancora naturali, ossia liberi da strutture marittime e diprotezione costiera realizzate a ridosso della riva.
Inoltre sempre l’Ispra ci dice che più di un terzo delle coste sono alte, mentre oltre4800 km sono coste basse, e di esse circa il 70% sono spiagge ghiaiose o sabbiose, le più vulnerabiliall’azione del mare e soggette a processi erosivi, di origine ormai prevalentemente antropica.
Per meglio capire parliamo di un fenomeno che interessa 646 comuni costieri nei quali abitano circa 16,9 milioni di abitanti , corrispondenti al 30% della popolazione nazionale, concentrata su un territorio di 43.000 km2, pari a circa il 13% del territorio nazionale.
Ovviamente i fenomeni connaturati all’ambiente costiero (erosione, mareggiate, inondazioni) rappresentano una minaccia solo per gli insediamenti urbani e produttivi prospicienti la riva.
Correttamente l’Ispra evidenzia che la responsabilità di questo fenomeno deriva dalla necessità di mettere in sicurezza degli argini ed i versanti montani che ha ridotto il flusso di sedimenti alle foci fluviali, destinato alla naturale distribuzione lungo i litorali, e l’urbanizzazione dei litorali con lo smantellamento e l’irrigidimento degli apparati dunali hanno favorito l’innesco di processi erosivi lungo tutta la penisola.
Insomma delle due l’una, o salviamo le coste o salviamo argini fluviali e versanti montani!
Mentre nei secoli scorsi la linea di battigia è avanzata grazie all’apporto detritico, nel ventesimo secolo esiste un progressivo ed irrefrenabile arretramento.
Un arretramento figlio di una scelta irrazionale quale quella di usare il materiale dei fiumi per realizzare i rilevati ferroviari e stradali e tutte le costruzioni .
E così dal 1950 al 1999 , il 46% delle coste basse ha subìto modifiche superiori a 25 metri e, pur avendo considerato in progradazione quelle aree che con opere di colmamento sono state sottratte al mare e nel corso degli anni parzialmente rinaturalizzate, i tratti di costa in erosione (1.170 km) sono superiori a quelli in avanzamento.
Anche nel periodo compreso tra il 2000 e il 2007 l’assetto della linea di riva ha confermato tale tendenza: il 37% dei litorali ha subito variazioni superiori a 5 metri e i tratti di costa in erosione (895 km) sono ancora superiori a quelli in progradazione (849 km).
Interi arenili sono fortemente arretrati, con una perdita di territorio e del suo valore sia dal punto di vista ambientale sia economico.
Nonostante i numerosi interventi di conservazione e ripristino dei litorali, le spiagge continuano a
perdere superficie.
La Calabria, in particolare tirrenica, è tra le regioni più colpite da questo fenomeno.
Ed Amantea non ne è certamente esclusa!
Tutta la sua costa è interessata , ormai da circa 40 anni, da costose opere di difesa .
Parliamo per lo più di opere rigide aderenti la riva, come pennelli, scogliere o opere miste, con il duplice scopo di ridurre l’impatto delle onde durante le tempeste e di contrastare l’erosione favorendo processi di sedimentazione .
Quasi sempre sono opere realizzate per difendere lungomari ( qualcuno resiste, qualcuno è stato distrutto immediatamente ) o case di abitazione, comprese quelle abusive .
Ed ogni mareggiata fa paura , al punto che le ferrovie statali, realizzate poco più di 120 anni fa nella supposizione che il fenomeno di ripascimento delle spiagge continuasse come nei secoli precedenti( supposizione erronea) hanno addossato enormi barriere di massi a protezione della massicciata.
Il risultato per la Calabria tirrenica ( Amantea in primis) è stato terribile.
Le splendide spiagge ancora vive degli anni 50-60 sono ormai un sogno.
Lo strano è che fioriscono i lidi balneari che poi hanno pochissimi ospiti e mancano di redditività e nel mentre si riducono le spiagge libere.
Che fa il WWF? Che parli almeno lui!