
Hanno un nome e un volto i componenti della banda dei furti in villa che, tra Friuli occidentale e Veneto, è ritenuta responsabile di 66 colpi. Si tratta di tre cittadini albanesi che sono stati arrestati dalla Polizia di Stato di Pordenone.
Da questa mattina, gli agenti stanno eseguendo i provvedimenti restrittivi disposti dall’autorità giudiziaria pordenonese nei confronti dei tre, pluripregiudicati per reati specifici, che potrebbero essere coinvolti anche in altri furti, tutti commessi dal periodo prima di Natale, principalmente nelle Province di Pordenone e Treviso.
Si tratta di Darjel Prushi, classe 1992, ed Edmond, detto Mondi, Et Hemaj, classe 1984, entrambi domiciliati a Conegliano, e di Nikoll, detto Nilu, Dobrozi, classe 1992, senza fissa dimora.
Accertati in circa 2 milioni di euro gli illeciti introiti tra denaro contante, gioielli, orologi, lingotti in oro, oltre a pistole e munizioni nella disponibilità degli arrestati, pronti ad utilizzarle anche nel corso dei loro raid serali e notturni nelle abitazioni. Individuato inoltre il trasferimento dei vari bottini verso l’Albania, con reinvestimento e riciclaggio.
Restituiti ai legittimi proprietari numerosi gioielli, per un valore di centinaia di migliaia di euro, riconosciuti dalle vittime.
Le indagini coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, sono state svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Pordenone.
Il 21 febbraio la Squadra Mobile ha dato esecuzione a tre provvedimenti restrittivi in carcere disposti dall’autorità giudiziaria pordenonese nei confronti di altrettanti cittadini albanesi. Si delineava l’esistenza di un ben strutturato sodalizio, costituito da persone gravate da precedenti specifici, specializzati nei furti in abitazione con sottrazione di casseforti e armadi blindati, che usavano come base appartamenti a Conegliano Veneto e Treviso, luoghi dove materialmente, utilizzando flessibili, scardinavano i forzieri.
Nel corso delle perquisizioni, sono stati sequestrati gioielli per un valore di circa 1 milione di euro, somme di denaro contante, un flessibile per scardinare le casseforti e altro materiale di interesse investigativo. Sono state scoperte anche una pistola semiautomatica Browning calibro 33 e tre fucili rubati il 27 dicembre a Pordenone.
Nella ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita questa mattina, il gip ha evidenziato come “I delitti consumati sono sintomo che gli indagati non sono capaci di governare le loro inclinazioni criminali. Si tratta di tre disoccupati che si mantengono grazie ai furti. Gli indagati hanno poi dimostrato elevata pericolosità sia per la frequenza delle incursioni predatorie, che si sono concentrate in un arco temporale ristretto e in una zona geografica limitata, che rileva compulsività criminale”.
Quindi, nel prosieguo delle attività d’indagine, gli agenti hanno scoperto un’altra lunga lista di furti che hanno spinto il gip, il 23 aprile, a emettere un’ulteriore ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Ndr Nessun problema . Tra pochi mesi saranno fuori e potranno scappare-
Crotone negò lo status di rifugiato a migrante gay: la Cassazione ribalta
Il caso di un cittadino ivoriano vessato dai parenti per una relazione omosessuale.
Per la Suprema corte serve “adeguata tutela” per chi è colpito da “persecuzioni” di tipo familiare
Prima di negare lo status di rifugiati ai migranti che dichiarano di essere omosessuali e di rischiare la vita se rimpatriati a causa del loro orientamento sessuale, si deve accertare se nei Paesi d'origine non solo non ci siano leggi discriminatorie ma anche verificare che le autorità del luogo apprestino "adeguata tutela" per i gay, ad esempio se colpiti da "persecuzioni" di tipo familiare. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di un cittadino gay della Costa d'Avorio, minacciato dai parenti.
Al migrante protagonista di questa vicenda giudiziaria arrivata fino alla Suprema Corte, la Commissione territoriale di Crotone non aveva concesso lo status di rifugiato sottolineando che «in Costa d'Avorio al contrario di altri stati africani, l'omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa». Per gli 'ermellini' questo non basta: serve accertare l'adeguata protezione statale per minacce provenienti da soggetti privati. Bakayoko Aboubakar S. aveva infatti raccontato che era di religione musulmana, coniugato con due figli, e diventato oggetto «di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre» che era imam del villaggio, «dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale».
Aveva deciso di fuggire quando il suo partner era stato «ucciso in circostanze non note, a suo dire ad opera di suo padre», l'imam. Per la Cassazione «non è conforme a diritto» aver negato la protezione a Bakayoko senza accertare se nel suo Paese sarebbe tutelato dalle minacce dei parenti. Il caso si riapre.
L'anno scorso la Svizzera ha rimpatriato più della metà dei richiedenti asilo giunti sul suo territorio. Quando non può usare i voli, li rispedisce a casa in nave
Più della metà rispediti al mittente. A livello europeo è la Svizzera uno dei Paesi più "efficienti" nell'esecuzione dei rinvii di richiedenti asilo.
Nel 2017 ne ha rispediti in patria il 56,8%, contro un tasso del 36,6% per l'Unione europea. Il successo elvetico in materia è dovuto ai numerosi accordi di riammissione siglati da Berna. Secondo la Segreteria di Stato della migrazione, infatti, nessua nazione ha firmato un numero altrettanto cospicuo, ovvero ben 64, di intese con Paesi di provenienza dei profughi.
Inoltre, il 56,8% va considerato come un dato per difetto, poiché le statistiche non tengono in considerazione le "partenze non controllate". Secondo la Sem, la Svizzera fa pure segnare ottimi risultati nel rinvio verso Paesi associati all'accordo di Dublino, intesa secondo cui le domande di asilo vanno evase nello stato in cui sono depositate. L'anno scorso ha rinviato verso stati membri dell'intesa continentale 1760 richiedenti, mentre ne ha ricevuti 885. Un record che farà infuriare i Paesi di primo approdo, come appunto l'Italia.
Il domenicale SonntagsBlick non ha tardato a criticare il documento affermando che la Svizzera espelle richiedenti "nuovamente verso regioni in guerra". Il portavoce della Sem, però, smentisce. Di fronte alla possibilità di eseguire un rinvio, infatti, la Svizzera valuterebbe caso per caso i rischi di persecuzione.
La strategia della Svizzera per i rinvii
Stando al documento della Sem, la Svizzera segue una duplice strategia di allontanamento dei richiedenti. Partecipa, da un lato, alla politica dell'Ue e ai suoi strumenti, come voli comuni dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex). D'altro canto, si basa sulla collaborazione bilaterale con i vari Paesi d'origine, ad esempio concludendo accordi di migrazione. Quest'anno, ultimi della lista di 64, Berna ne ha siglati con Etiopia e Bangladesh. Ad esempio, per evitare l'ostacolo generato dal fatto che il Marocco non accetta voli speciali, la Confederazione (quale solo Stato europeo accanto a Spagna e Francia) esegue i rinvii verso il Paese nordafricano con navi.
E adesso cosa diranno il Papa ed i vescovi svizzeri? Faranno finta di niente?