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Redazione TirrenoNews

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Continua incessante l’attività di contrasto alla pesca illegale, alla detenzione ed alla vendita del tonno rosso illegalmente catturato. 

 

A latere della consueta attività a tutela della balneazione e della sicurezza della navigazione, i militari della Guardia Costiera di Vibo Valentia Marina, coordinati dal Capitano di Fregata Antonio LO GIUDICE, nel corso della serata del 3 luglio hanno proceduto a porre sotto sequestro n. 32 esemplari di tonno rosso,per un peso complessivo di 900 kg, che erano stati catturati da un moto pesca sprovvisto dell’apposita quota assegnata dal Ministero.

 

Per tale specie ittica, infatti, la Comunità Europea ha stabilito le quote di cattura, distribuendole alle varie Nazioni, tra cui l’Italia.

Trattandosi di merce altamente deperibile, gli esemplari di tonno rosso, sotto l’attenta supervisione dei militari operanti, venivano sbarcati, pesati singolarmente e riposti in una idonea cella frigo presente nell’area portuale di Vibo Marina.

 

Una parte del prodotto, previa visita del servizio veterinario dell’ASP di Vibo Valentia, verrà avviata alla vendita da parte della Capitaneria di Porto di Vibo ed il ricavato versato nelle casse dell’erario; altra parte degli esemplari per un peso di circa 380 kg, posti sotto sequestro penale in quanto di taglia inferiore a quella prevista per legge, verranno donati in beneficenza per opere di carità.

Continueranno nei prossimi giorni – si legge nella nota stampa – le attività di controllo da parte della Guardia Costiera, sia via terra che via mare, finalizzate al contrasto della pesca illegale del tonno rosso e dell’immissione del frutto di tale pesca sul mercato ad opera di Motopesca Comunitari.

Una Breve Storia. Di Gigi El Tarik

Lunedì, 04 Luglio 2016 16:46 Pubblicato in Primo Piano

Ciò che accomuna la storia dei vari popoli (greca, latina, africana, cinese, etrusca, indiana, ecc.) è che ai primordi di ogni civiltà, ci fossero tanti racconti di dei e d'eroi con altrettanti miti e/o leggende, attraverso i quali era spiegata ogni cosa del creato.

 

E’ curioso come i diversi popoli, attraverso le gesta di dei ed eroi, personificazione dei fenomeni naturali, abbiano spiegato i tanti misteri della natura. Ogni popolo si è infatti adoperato nel narrare una propria cosmogonia, offrendo una raccolta tanto ricca da trasportarci ora nell’Olimpo dei Greci, ora al Pantheon dei Romani, ora alla Corte di Odino o ai totem indo-americani, ora ai feticci dell’Africa o alla teocrazia dei Messicani ed Aztechi.

 

 

In Calabria ad Amantea viveva una ragazza. Mentre tutto il popolo prendeva parte ai riti di Bacco, la giovane donna osò sfidare il dio rimanendo al proprio telaio, indifferente ai festeggiamenti.

Bacco allora, si trasformò in fanciulla e andò da lei a consigliarle di partecipare alla festa; la giovane non solo si rifiutò ma parlò anche male del dio, il quale per punirla prima si trasformò in toro, poi in leone e infine in pantera. La giovane donna dallo spavento impazzì e Hermes la tramutò in pipistrello durante la notte in attesa di essere vinta dall’amore e diventare libellula.

 

La tradizione ritiene che la madre della ragazza sia stata un'inquilina del Palazzo di don Pantu, una delle numerose residenze assegnatele dalla leggenda nel corso della sua turbolenta vita.

Donna fortemente avversa all’amore, si racconta che andasse continuamente in cerca di tutti gli uomini della zona, dei quali faceva letteralmente scempio. Una volta infatti condotti in un luogo segreto, li faceva puntualmente uccidere o tramite qualche suo servitore oppure attraverso qualche altro espediente, tipo buttarli in mare da una rupe, laddove il malcapitato di turno cadeva vittima di qualche famelico animale marino, ma anche profonde fosse munite di punte di spada, denti di forcone e lame di rasoio. Chiunque si trovava a passare nei dintorni, non poteva fare a meno di ascoltare i pianti e i lamenti degli sventurati innamorati della figlia della perfida Madre.

 

Tra le tante sue vittime vi è una storia che i racconti popolari annoverano particolarmente. La storia di un uomo di mare perdutamente innamorato.

Il marinaio era approdato sulla spiaggia di Amantea dopo anni di girovagare senza meta. Era odiato sia dalla Madre della ragazza che da una stupida ipocrita. Un giorno si recò sul lungomare per chiedere consigli sul da farsi a Nettuno.

Volendo allontanare il marinaio dalla vita della propria figlia, alla madre venne consigliato di assumere il viandante al suo servizio come barcaiolo, almeno così disse agli amici e conoscenti.

Da quel momento in poi l’uomo non fu più visto, anch'egli vittima probabilmente di qualcuno degli innumerevoli tranelli orditi dalla crudele Madre e dalla bigotta amica della figlia.

Da quel giorno il nomade innamorato iniziò a vagare disperatamente per i boschi e per gli oceani alla ricerca della giovane donna, perché era talmente grande la passione che ardeva nel suo cuore che ogni minuto lontano da lei era una tremenda sofferenza. Alla fine riuscì a trovarla ma lei appena lo vide, scappò impaurita e a nulla valsero le suppliche dell’uomo che gridava il suo amore e le sue origini divine per cercare di impressionare la giovane fanciulla.

 

Lei, terrorizzata, scappava tra i boschi. Accortasi però che la sua corsa era vana, in quanto l’innamorato la incalzava sempre più da vicino, invocò la Madre Terra di aiutarla e questa, impietosita dalle richieste della figlia, iniziò a rallentare la sua corsa fino a fermarla e contemporaneamente a trasformare il suo corpo: i suoi capelli si mutarono in rami ricchi di foglie; le sue braccia si sollevarono verso il cielo diventando flessibili rami; il suo corpo sinuoso si ricoprì di tenera corteccia; i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici e il suo delicato volto svaniva tra le fronde dell'albero.

Durante il loro viaggiare intorno al mondo, alcuni calabresi riportarono, qualche anno più tardi , che, seduto su di un grosso tronco, al quale i pescatori legavano le loro barche, in un posto imprecisato dell’Oceano Pacifico, lo sfortunato amante aspettava pazientemente e quotidianamente l’improbabile apparire dell'amata e fu così per diverso tempo, fino a smarrire la ragione e a morire, con gli occhi fissi sul mare nella vana attesa della sua adorata Amanteana. C'è chi sostiene di vederlo ancora oggi, seduto su quel tronco di sequoia con lo sguardo fisso ad est, rivolto verso quel lontano mare di Ulisse come in perenne attesa di qualcuno...

 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Ieri sera la fila al semaforo di Campora San Giovanni (forse è più giusto chiamarlo così che non il semaforo de La Principessa) mostrava una fila chilometrica che cominciava, verso sud, davanti al Pergolato per finire proprio al semaforo prossimo al Porto.

 

Una fila che imponeva tempi abnormi, eccessivi, incomprensibili, vergognosi.

Certo che d’inverno durante le forti mareggiate le cui onde riuscivano ad arrivare sulla carreggiata appariva giustificato l’uso della sola corsia lato monte della SS18

 

E lo era anche per l’uso inaccettabile della statale da parte dei traffico da parte dei TIR.

Ma oggi con il mare calmo, la barriera di massi di sostegno della carreggiata stradale è proprio necessario continuare ad utilizzare soltanto la carreggiata a monte?

 

Abbiamo sentito alcuni viaggiatori.

Quelli che transitavano soltanto avevano pensato ad un incidente tra autoveicoli

Quelli di prossimità, invece, nel rammaricarsi di questa situazione, si domandavano se fosse ancora logico arrivare ad Amantea od a nord di Amantea per un bagno o per una passeggiata

 

Possibile che nessuno si renda conto quanto danno questo semaforo sta portando al turismo ed alla economia amanteana?

Amantea sta assumendo sempre più la condizione di città impossibile ed irraggiungibile; una città da non frequentare.

Eppure di questa situazione nessuno ne parla.

E pensare che anche in queste condizioni se fosse esistito il vecchio ponte sul Savuto si sarebbero potute evitare queste vergognose situazioni.

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