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Nove arresti (6 in carcere e tre ai domiliari) per il nuovo stadio della Roma a Tor Di Valle.

 

 

 

 

 

Tra le persone arrestate ci sono anche l'imprenditore Luca Parnasi (in carcere),il vicepresidente del Consiglio Regionale, Adriano Palozzi (Fi) e il presidente dell'Acea Luca Lanzalone (ai domiciliari) che ha seguito, in veste di avvocato per il Comune, il dossier sulla struttura.

Dalle prime luci dell’alba, i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Roma stanno dando esecuzione alla misura cautelare emessa dal gip di Roma nell’ambito dell’indagine coordinata dalla procura della Repubblica capitolina, su un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di condotte corruttive e di una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione, nell’ambito delle procedure connesse alla realizzazione del nuovo stadio della Roma.

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Una triste storia di povertà tutta Italiana.

“Quello che sto per raccontarvi è davvero accaduto in Piemonte, ad Asti in Piazza Statuto, centro storico, dove c’erano una volta tanti palazzi signorili.

E’ una triste e macabra storia che evidenzia le grandissime difficoltà in cui versano alcuni cittadini italiani, dove non ci si può permettere neppure di seppellire i propri cari per mancanza di soldi.

Una anziana donna, nonna Luigina,di oltre 90 anni che viveva con un nipote muore, ma questi la tiene per oltre sei mesi in casa perché non ha i soldi per pagare il suo funerale.

Hanno trovato il corpo della signora anziana adagiato sul letto in avanzato stato di decomposizione gli Ufficiali Giudiziari i quali si erano recati nell’abitazione per notificare uno sfratto.

Una prima notifica era già avvenuta nel maggio scorso ma nessuno si era accorto che in quella casa potesse esserci un corpo in decomposizione.

E’ stato il nipote questa volta ad avvertire gli Ufficiali che in quella casa c’era la zia morta.

Ora è stato denunciato dai Carabinieri per occultamento di cadavere mentre il Comune si sta dando da fare per dare una degna sepoltura alla anziana signora.

In questi casi intervengono sempre le istituzioni quando i parenti non sono in grado di pagare il funerale..

C’è da dire, però, che il nipote aveva denunciato regolarmente la morte della zia, avvenuta lo scorso gennaio, solo che per mancanza di soldi per poter pagare le spese funerarie se le è tenuta in casa distesa nel suo letto.

Nessuno se ne era accorto fino ad oggi, anche perché l’abitazione era all’ultimo piano e il nipote ha sempre tenuto le finestre aperte anche d’inverno e i condomini non hanno sentito nessun cattivo odore.

C’è da dire che quando la signora nel mese di gennaio si è sentita male il nipote ha chiamato i medici del 118.

Quando sono arrivati la zia era già morta e hanno regolarmente accertata la sua morte e poi regolarmente segnalata all’anagrafe del Comune di Asti e quindi all’Inps.

Il nipote, dunque, non ha occultato il suo cadavere, come spesso avviene, per intascare la pensione”.

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Con Porcino in cella sono finiti ai domiciliari Ricciardelli e Alborghetti, comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo, Bertè, dirigente sanitario del Carcere, e due imprenditori di Urgnano.

Una gestione del penitenziario sconsiderata e spregiudicata.

Gli inquirenti descrivono così l’operato di Antonino Porcino, l’ex direttore della casa circondariale di Bergamo, arrestato nella mattinata di lunedì 11 giugno insieme ad altre cinque persone su ordinanza del Gip Lucia Graziosi per accuse che vanno dalla corruzione, alla turbata libertà degli incanti, al peculato, al falso ideologico, alla tentata truffa ai danni dello Stato. Con Porcino, in cella, sono finiti ai domiciliari Antonio Ricciardelli e Daniele Alborghetti, rispettivamente comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo (quest’ultimo distaccato al carcere di Monza), Franco Bertè, dirigente sanitario del Carcere e due imprenditori di Urgnano, Mario e Veronica Metalli.

L’inchiesta, coordinata dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Bergamo Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio, era partita nell’aprile 2017 da una segnalazione della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nell’ambito di indagini collegate alla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’imprenditore di Dalmine Gregorio Cavalleri, arrestato dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, aveva evitato la detenzione in carcere a Bergamo ed era rimasto a lungo ricoverato all’ospedale Papa Giovanni. Come? Con una serie di certificati medici che attestavano un presunto disturbo mentale. Che, però, non risultava nel corso degli interrogatori, in cui mostrava piena lucidità.

I carabinieri del comando provinciale di Bergamo e di Clusone, insospettiti, hanno messo sotto controllo il suo telefono cellulare. E hanno scoperto un accordo con il comandante della polizia penitenziaria. Ma non solo, perchè sono emersi una serie di altri illeciti, con coinvolti altri soggetti.

Uno su tutti, il direttore della casa circondariale. Grazie alla collaborazione dei militari della Guardia di Finanza, si è scoperto che Porcino, originario di Reggio Calabria, che dopo 33 anni in carica lo scorso 26 maggio è andato in pensione, nel suo ultimo anno di lavoro ha collezionato circa duecento giorni di malattia per presunto stress. Un’assenza resa possibile dai certificati compilati dal medico Bertè, secondo gli inquirenti in cambio di favori. L’intento di Porcino era quello di non fruire delle ferie che ancora aveva, in modo da farsele pagare, per una somma totale di circa diecimila euro.

Ma non solo. L’ex direttore, con l’appoggio dell’amico commissario di polizia penitenziaria Alborghetti, si sarebbe fatto corrompere da una società di Urgnano, gestita da Mario Metalli e dalla figlia Veronica, che installa distributori automatici di alimenti, bevande e tabacchi, per all’interno della casa circondariale di Monza, dove Alborghetti operava.

Porcino avrebbe poi sottratto materiale di vario genere in disponibilità alla casa circondariale. Come i due water per il suo appartamento di Lallio in fase di ristrutturazione. O ancora diverse risme di carta e alcune bombole a gas. Il tutto trasportato a casa da guardia del carcere, negli orari di lavoro e con auto di servizio.

C’è poi un particolare che coinvolge indirettamente il procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno e il figlio Gianmarco (non indagati), quest’ultimo detenuto in via Gleno per una rapina al Conad di Zogno a febbraio. Quando il padre qualche settimana fa chiese un colloquio più lungo con il  figlio, il personale del carcere glielo concesse senza però compilare regolarmente il registro. Compiendo, quindi, un illecito.

Sono 27 in totale le persone coinvolte nelle indagini. Lunedì sono scattate anche le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati e in carcere, con la collaborazione di personale della Sezione di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza di Bergamo. Non sono esclusi ulteriori sviluppi.

Dabergamonews

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