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Nel momento in cui un automobilista si rende conto dell'esistenza di un problema sulla propria macchina, spesso ha la tendenza ad affidarsi a un'applicazione o a un programma che garantiscono una diagnosi veloce. Ma c'è da fidarsi veramente? Senza alcun dubbio, gli strumenti che occorrono per una diagnosi in autonomia costano poco, ma hanno delle controindicazioni, per esempio perché non concedono la possibilità di leggere segnali che sono indispensabili per una diagnosi efficace né di registrare dati altrettanto importanti.

Gli svantaggi degli strumenti fai da te

Quando si adopera uno strumento fai da te, si usufruisce di una lettura dei codici guasto, ma non si ha l'opportunità di definire con esattezza l'origine del problema, e cioè la causa da cui il segnale deriva. C'è da tener presente, inoltre, che non tutti i dispositivi fai da te mettono a disposizione codici precisi, e non è raro che vengano riscontrati dei difetti che in realtà non ci sono o che comunque sono diversi da quelli effettivi. Ecco perché per circolare in sicurezza a bordo della propria auto e non correre il rischio di essere lasciati a piedi è sempre opportuno affidarsi a un controllo in officina, il solo che è in grado di offrire un procedimento di analisi dei dati meticoloso e soddisfacente, ma anche un'elaborazione delle informazioni che presuppone esperienza e conoscenze tecniche specifiche. 

La qualità degli strumenti

La qualità della strumentazione che viene adoperata a questo scopo non può essere trascurata: si pensi, per esempio, al Dispositivo Gruppo FCA - SGW - Funzioni speciali, lo strumento di diagnosi per auto che è stato messo a punto per garantire l'operatività delle funzioni che vengono inibite dalla centralina sgw. I programmi fai da te, così come i software e le applicazioni dello stesso genere, possono costituire un aiuto iniziale, nel senso che propongono delle indicazioni di base, che però in seguito devono essere approfondite.

Cos'è la diagnosi auto

Un conto è sapere perché sul cruscotto si è accesa una spia o perché un componente della propria macchina ha smesso di funzionare, e un conto è essere in grado di eseguire una diagnosi auto reale, autentica e affidabile. D'altra parte, quando ci si sente poco bene si va dal medico, e non ci si affida certo a una diagnosi fai da te: se lo si fa, è a proprio rischio e pericolo, con conseguenze per la salute facili da ipotizzare. Solo gli esperti di un'officina meccanica, nel caso delle auto, hanno le competenze per risolvere i problemi. 

Il fai da te non va demonizzato

Questo non vuol dire, comunque, che gli strumenti per la diagnosi fai da te debbano essere demonizzati o messi al bando, anzi: essi sono comunque preziosi per chi desidera una panoramica generale sulle condizioni di salute del proprio veicolo o di alcune parti dello stesso, ma servono anche a capire in che modo funzionano, per evitare di ritrovarsi alle prese con un guasto improvviso senza sapere da che parte iniziare. Un'app di grande aiuto, per esempio, è Torque, che viene messa a disposizione sia in una versione gratuita che in una a pagamento, ma meritano di essere menzionate anche OBD Auto Doctor e Hobdrive.

Come funziona la diagnosi fai da te

Per interfacciarsi con il veicolo che si è intenzionati ad analizzare, occorre avvalersi della presa diagnostica OBD, che nella maggior parte dei casi è collocata vicino alla scatola fusibile. Alcune case automobilistiche, in ogni caso, prevedono delle interfacce realizzate ad hoc, che hanno il duplice pregio di garantire un assortimento di funzionalità molto più ampio e di assicurare standard di precisione più elevati. Le interfacce in questione consentono di eseguire nuove codifiche e di intervenire su vari parametri, ma è consigliabile non farlo se non si è esperti.

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Sì, tutto come previsto. Salvini ha calato le brache e il Sottosegretario Siri indagato per corruzione dal Consiglio dei Ministri di stamattina è stato disarcionato.

Come dunque previsto tanto tuonò che non piovve. La pioggia tanto attesa da diversi giorni non si è verificata.

 

Ci sono stati tuoni e lampi ben mirati, ma la pioggia, purtroppo, non è arrivata.

Come previsto la resa dei conti non c’è stata, tutto è stato rinviato a dopo le elezioni europee del 26 maggio p.v.

Ma la guerra tra i due maggiori contendenti Luigi Di Maio e Matteo Salvini continua.

Così disse pure Badoglio in quel lontano 25 luglio del 1943 per non tradire gli alleati tedeschi. E così dice oggi Salvini, la guerra continua, ma rimane fedele alla parola data ai grillini di Di Maio. Se fosse ancora in vita Luigi Pirandello chissà cosa avrebbe scritto.

Nei nostri articoli di giorni precedenti abbiamo sempre scritto che il Governo giallo verde non sarebbe crollato. Salvini e Di Maio assolutamente non vogliono la crisi di Governo. Anche loro hanno famiglia e alle poltrone ministeriali sono abbarbicati come l’edera. Salvini ora può dire ciò che vuole, non è credibile. Non può più prendere in giro gli italiani. Non siamo fessi. Perché non dice la verità? E’ stato costretto da Conte e da Di Maio ad ingoiare un bel rospo. I grillini hanno ardentemente voluto l’allontanamento di un sottosegretario leghista indagato per corruzione, senza uno straccio di prova, e allontanamento c’è stato.

Va bene, i grillini se ne prenderanno le responsabilità, ma se ne prenderanno pure tutti i vantaggi. Già esultano e cantano vittoria. Infatti l’unico che si è presentato in conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri è stato Luigi Di Maio. E Salvini? Desaparecido. Ha vinto Di Maio.

Salvini ha perso.

E’ lui lo sconfitto di stamattina. Però sta preparando una controffensiva. Il redde rationem ci sarà dopo il voto.

Oggi, però, dobbiamo registrare una sua sonora sconfitta che lascerà il segno e avrà sicuramente degli strascichi durante la campagna elettorale. E intanto i sondaggi danno la Lega in calo. Gli elettori leghisti e i simpatizzanti evidentemente non hanno gradito il suo passo indietro. Ma lo ha fatto per il bene del paese. Balle! Lo ha fatto perché non vuole andare a casa e lasciare la poltrona ministeriale che occupa. Fino a quando? Ci sono tante altre cose da fare, certo. Ma Salvini, checché dica, ha subito una sonora sconfitta di immagine e politica. E gli scontri e le invettive di queste ultime settimane? Quali scontri, quali invettive! Tutto è filato liscio come l’olio. Oggi non c’è stata nessuna conta. Allora è vero quello che abbiamo pensato e scritto: i litigi tra Di Maio e Salvini sono finti, sono ben orchestrati per prendere per i fondelli gli italiani. Ma noi abbiamo in mano una matita copiativa e con un bel segno di croce sulla scheda elettorale possiamo mandarli tutte due a casa definitivamente senza fare troppo rumore.

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Pamela Mastropietro , la ragazza romana fatta a pezzi a Macerata il 30 gennaio del 2018, "non è morta di overdose, è stata uccisa da Oseghale con due coltellate". Lo ha ribadito il sostituto procuratore Stefania Ciccioli nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Innocent Oseghale con l'accusa di aver violentato la ragazza, approfittando del suo stato di inferiorità, di averla uccisa e fatta a pezzi.

"Pamela voleva fuggire, doveva tornare a casa, ma non gli è stato permesso di uscire dalla casa. Oseghale quando è uscito a portare la droga, ha chiuso l'appartamento: Pamela era segregata in casa, non poteva fuggire e non aveva il cellulare". Secondo il sostituto procuratore infatti, nella casa di via Spalato Oseghale "ha continuato a pretendere dalla ragazza, stordita, rapporti sessuali a cui evidentemente lei non voleva più accondiscendere", ha sottolineato. Per Ciccioli infatti Pamela "è stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale".

Il sostituto procuratore Ciccioli ha ricostruito i fatti, secondo l'accusa, a partire dal momento in cui i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley a Pollenza, attraverso l'esito delle indagini e i risultati delle consulenze. Ricordando l’esito degli accertamenti dei consulenti dell’accusa, il medico legale Mariano Cingolani e il tossicologo Rino Froldi, il sostituto procuratore ha osservato che "la morte di Pamela è avvenuta per le due ferite penetranti alla sede basale emitoracica destra dovendosi escludere l’overdose". In base agli esami tossicologici "Pamela era sì, nel momento della morte, sotto effetto di oppiacei" ma i dati rilevati "non sono coerenti con un’overdose".

I consulenti dell'accusa hanno scritto nella loro relazione, ha ricordato Ciccioli, che le due coltellate al fegato sono state inferte quando Pamela era viva e la "lesività ha svolto un ruolo nel determinismo della morte". "La vittima, quando ancora era in vita, - ha detto Ciccioli – è stata attinta alla base del torace a destra da almeno due colpi di arma da punta e taglio". La vitalità delle ferite, ossia, il fatto che siano state cagionate a Pamela da viva in una zona idonea a provocare un'emorragia tale da causare la morte, secondo il sostituto procuratore, è confermata a più livelli e da più esami.

"Ci sono evidenti caratteri macroscopici di vitalità" delle lesioni "che hanno osservato tutti coloro che hanno avuto modo di vedere il cadavere" ma, ha poi proseguito il sostituto procuratore, "l'infiltrazione emorragica è presente anche a livello microscopico, sui vetrini" osservati. Infine "per scrupolo maggiore" il consulente medico legale ha svolto ulteriori accertamenti utilizzando "tre marcatori". "E nonostante il modo in cui il cadavere di Pamela è stato deturpato e oltraggiato, i marcatori hanno confermato la presenza di segni vitali delle lesioni". Sul fatto che le ferite al fegato sono state inferte a Pamela da viva, secondo l'accusa, ci sono dunque "univoci risultati rispetto a tutti i test eseguiti: macroscopici, microscopici e istochimici".

Le due ferite al fegato "hanno determinato la morte", ha continuato Ciccioli sulla base delle stesse valutazioni dei medici legali dell'accusa e di parte civile. Passando poi agli esiti degli esami tossicologici, ha ricordato Ciccioli, "l'overdose si deve escludere categoricamente. Non c'è stata overdose né nel senso di mera intossicazione né nel senso letale ossia come causa della morte". Per l'accusa, che ha ripercorso gli esiti degli esami tossicologici, "le concentrazioni di morfina erano talmente basse da essere incompatibili con l'idea di overdose". Nella requisitoria Ciccioli ha parlato della "certezza assoluta che non vi è stata overdose, non è stata l'assunzione di quel minimo quantitativo di eroina a cagionare la morte di Pamela Mastropietro".

Un altro elemento da considerare, secondo Ciccioli, è poi che le due coltellate al fegato sono del tutto avulse dalle altre lesioni fatte per depezzare il cadavere: "Il cadavere di Pamela non è stato tagliato come capitava, ma si è parlato da parte dei medici di una vera e propria disarticolazione cadaverica" che, ha sottolineato Ciccioli, è stata fatta "con perizia". Le due coltellate al fegato sono state "inferte nel raptus omicida da Oseghale, mentre tutti gli altri tagli sono funzionali alla disarticolazione fatta in un secondo momento", ha osservato.

Alcune parti anatomiche del corpo di Pamela Mastropietro, ha detto il sostituto procuratore Stefania Ciccioli, sono state "soppresse" al chiaro scopo di "nascondere la responsabilità di quanto commesso". Così come il lavaggio con la candeggina sui resti è avvenuto per "eliminare le tracce che avrebbero potuto portare prove a suo carico". Il sostituto procuratore Ciccioli ha ricostruito i fatti secondo l'accusa a partire dal momento in cui i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley, attraverso l'esito delle indagini e i risultati delle consulenze. Il pubblico ministero ha ricordato che "non si è trovato il tessuto cutaneo, né il tessuto muscolare né il diaframma. E non è un caso - ha osservato - che queste parti anatomiche non siano state fatte trovare e siano state soppresse" perché avrebbero consentito di ricostruire maggiormente l'entità delle ferite. "Non è neppure un caso che manca tutto il sangue, il cadavere è stato completamente dissanguato al chiaro scopo di nascondere la responsabilità di quanto commesso", ha sottolineato il sostituto procuratore. Il lavaggio con la candeggina e tutta "l'attività manipolatoria sul cadavere - ha concluso - è avvenuta allo scopo di nascondere tracce del delitto commesso".  

Pamela Mastropietro, ha detto il pm, "prima di essere uccisa, è stata costretta a subire violenza sessuale e l'autore di questa violenza è stato Innocent Oseghale". "Oseghale ha compiuto atti sessuali senza il consenso di Pamela che si trovava in quel momento sotto effetto di sostanza stupefacente e non ha mai potuto esprimere un valido consenso a intrattenersi sessualmente con la persona che aveva davanti - ha detto il pm - E' stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale". Secondo il sostituto procuratore il fatto stesso che ci sia stata una "estrema accuratezza" nel lavare il cadavere con la candeggina va "interpretato come univoco segno di interesse a cancellare tracce di rapporti sessuali", anche se come ricordato sono state trovate comunque trovate tracce di dna dell'imputato, e sempre con il fine di nascondere rapporti si spiega secondo l'accusa "l'asportazione dei genitali". Non solo. "A Oseghale non bastava aver avuto rapporti sessuali con la vittima, lo ha chiesto anche ad altri", ha continuato Ciccioli ricordando le intercettazioni in cui Awelima Lucky raccontava la telefonata in cui Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. "Oseghale conosceva le condizioni di inferiorità di Pamela" ha detto Ciccioli aggiungendo che l'imputato ha "approfittato del desiderio irrefrenabile della ragazza di assumere eroina".

PROCURATORE, 'PER OSEGHALE OGGETTO SESSUALE' - Per Innocent Oseghale, Pamela era "uno strumento per soddisfare la sua cupidigia sessuale". E' quanto ha detto il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nella sua requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Oseghale con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi la ragazza romana a Macerata. Oseghale "la guardava come un oggetto idoneo a soddisfare le sue voglie sessuali e da cedere anche all'amico Awelima Lucky", ha detto il procuratore ricordando il contenuto di diverse intercettazioni in cui gli altri nigeriani, inizialmente coinvolti nella vicenda e per i quali è stata chiesta l'archiviazione, parlavano di Oseghale. Tra queste le intercettazioni in cui Awelima Lucky raccontava una telefonata in cui Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. "In casa aveva una bella ragazza e ne ha approfittato spogliandola e avendo un rapporto sessuale", ha osservato il procuratore secondo il quale lo scopo dell'imputato era "solo soddisfare i suoi desideri". Oseghale ha accoltellato Pamela Mastropietro per "una reazione istintiva di fronte all'atteggiamento oppositivo della ragazza". Giorgio, all'inizio della sua requisitoria ha citato Gianrico Carofiglio che nel libro 'La versione di Fenoglio' parla dell'investigatore come 'costruttore di storie': "Io vi proporrò - ha detto il procuratore - quella che secondo noi è la storia, quello che è accaduto, citando gli atti". "Non abbiamo testimoni diretti, abbiamo varie versioni di Oseghale, poi due versioni ulteriori riferite una al compagno di cella, l'estensore mancato del libro 'Innocent' e l'altra a Vincenzo Marino", ha detto il procuratore riferendosi alle testimonianze del detenuto testimone della difesa, che avrebbe voluto scrivere un libro sulla vicenda e secondo il quale Oseghale ha negato di aver ucciso la giovane, e del collaboratore di giustizia Marino, testimone dell'accusa che raccontò che l'imputato gli confessò di aver avuto un rapporto sessuale con Pamela e di averla accoltellata. Le due versioni che Oseghale avrebbe riferito al compagno di cella e al collaboratore di giustizia sono "divergenti", ma secondo il procuratore ciò che ha raccontato Marino, "è suffragato da univoci riscontri esterni e idoneo a supportare un verdetto di condanna insieme ad altri elementi di prova".

 

 

LEGALE FAMIGLIA, NON ERA UNA TOSSICA - "La richiesta di pena è quella massima, ergastolo con isolamento diurno e a scalare tutte le altre ipotesi. E' quella che ci aspettavamo, siamo soddisfatti e anche noi ci assoceremo doverosamente a questa richiesta". E' quanto ha detto l'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia di Pamela Mastropietro, in una pausa dell'udienza al termine della requisitoria del procuratore di Macerata Giovanni Giorgio che ha chiesto la condanna all'ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi nei confronti di Innocent Oseghale imputato davanti alla Corte di assise di Macerata. "Pamela era una di noi, poteva essere la figlia, l'amica, la conoscente di ognuno di voi". Lo ha detto l'avvocato Marco Valerio Verni, legale di parte civile della famiglia di Pamela Mastropietro nel corso dell'udienza davanti alla Corte di Assise di Macerata del processo che vede imputato Innocent Oseghale per il quale la procura ha chiesto oggi la condanna all'ergastolo con isolamento diurno di 18 mesi. L'avvocato ha voluto innanzitutto descrivere alla Corte Pamela, così diversa dal ritratto a volte emerso nei mesi passati. "Non era una ragazza, cresciuta allo sbando, senza valori di riferimento, non era una tossica", ha continuato l'avvocato sottolineando che la ragazza, "caduta nella trappola mortale della droga" era affetta da "disturbo della personalità borderline". "Quelle immagini le avete viste voi signori della Corte e vi prego di tenerle a mente quando in camera di consiglio sarete chiamati ad emettere la vostra sentenza". L'avvocato ha sottolineato di aver deciso di non mostrare di nuovo le foto del modo orribile in cui fu ridotto il corpo della ragazza, rispettando anche la scelta della Corte che chiuse l'udienza al pubblico quando le foto furono mostrate, anche se "nessuna narrazione - ha detto Verni - può equiparare la visione di quelle immagini".

 

RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PER DESMOND - "In assenza di un univoco riscontro e mancando significative prove sul fatto che Desmond abbia cancellato le tracce non si può affermare con ragionevole certezza che Desmond fosse stato in casa di Oseghale per questo abbiamo chiesto l'archiviazione" nei suoi confronti. E' quanto ha detto il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata in un passaggio in cui parla della posizione di Lucky Desmond, uno degli altri nigeriani inizialmente coinvolti nella vicenda e per i quali la procura ha chiesto l'archiviazione. Della presenza o meno di Desmond nella casa di via Spalato dove Pamela fu uccisa si è parlato nel corso delle scorse udienze. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, testimone dell'accusa che ha raccontato di aver raccolto le confidenze di Oseghale in carcere, raccontò che l'imputato gli aveva detto di essere andato nella sua abitazione insieme alla ragazza e a Desmond e che quest'ultimo si avvicinò per approcciarla, Pamela lo respinse e l'amico le diede uno schiaffo facendola così cadere a terra per poi andarsene. Lo stesso imputato ha dato diverse versioni inizialmente collocando Desmond nella casa e in seguito scagionandolo. Secondo il procuratore "certo è" che la presenza in casa di Lucky Desmond non è stata rilevata dalle indagini del Ris e non vi sono elementi di assoluta certezza neppure sulla base dell'analisi delle celle telefoniche. Inoltre "la lesione alla testa" compatibile con una caduta comunque "non può ritenersi causa di morte", ha osservato il procuratore.

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