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Laforgia: "Non vogliamo essere corresponsabili

Mdp "non parteciperà" alla votazionesulla fiducia che il governo ha posto alla Camera sulla Manovra: lo ha annunciato all'Assemblea di Montecitorio il capogruppo Francesco Laforgia.

E' l'atteggiamento assunto da Mdp per protesta contro l'inserimento nella manovra delle norme sui voucher.

"Non saremo dentro questo passaggio" perché "non vogliamo essere corresponsabili.

Noi abbiamo sempre dimostrato senso di responsabilità e continueremo a farlo" e "dovete invece guardare a chi ha tirato dritto in barba ad un referendum".

Così il capogruppo di Articolo 1 - Mdp Francesco Laforgia in sede di dichiarazioni di voto sulla fiducia posta dal governo sul decreto manovra, riferendosi all'inserimento in manovra dei nuovi voucher e annunciando che Articolo 1-Mdp non voterà la fiducia al governo.

Laforgia ha parlato di "vulnus", "strappo" con l'approvazione dell'emendamento del relatore che ha reintrodotto uno strumento per regolare il lavoro occasionale "uscito dalla porta e rientrato dalla finestra" e ha aggiunto di sperare in un correzione al Senato e, ha detto, "spero" che se questa correzione arriverà "non avvenga per ricucire il rapporto con noi ma per riannodare il filo che avete spezzato con il Paese".

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repubblicaNella ricorrenza della Festa della Repubblica Italiana l’Associazione “Uniti per San Pietro in Amantea – Non solum nobis”” terrà un incontro alle ore 18,00 presso la Sala Polifunzionale Museo Arte Orafa Calabrese di Via San Bartolomeo Apostolo di San Pietro in Amantea : La Repubblica è donna.

Relatori: il magistrato dott.ssa Giselda Stella : Antigone al contrario. Dalle prime elettrici italiane alle donne in magistratura.

Ferruccio Policicchio: Il voto del 1946 a San Pietro in Amantea e nel suo comprensorio.

Modera il Presidente dell’Associazione dott.ssa Argia Socievole.

Sarà ricordata la maestra elementare Ines Nervi in Carratelli la quale venne eletta Sindaco di San Pietro in Amantea nel lontano marzo 1946, quando per la prima volta nella storia votarono anche le donne. Donna Ines fu una delle prime donne in Italia a ricoprire una carica pubblica dopo la caduta del Fascismo. Un suo ritratto ora si trova collocato nel Salone delle donne del Parlamento Italiano accanto alle altre due donne calabresi e alle altre dieci provenienti dalle altre regioni italiane. La cerimonia si è svolta il 3 maggio u.s. alla presenza dell’On. Livia Turco e della Presidente delle Camera dei Deputati On. Laura Boldrini.

Prima delle votazioni per il referendum istituzionale e per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946, si svolgono in diversi turni le elezioni amministrative per eleggere i Sindaci. In San Pietro in Amantea le elezioni per eleggere il Sindaco si svolsero il 24 marzo. Per i comuni inferiori a trentamila abitanti, vigeva una legge elettorale che assegnava i quattro quinti alla lista che riportava la maggioranza dei voti e un quinto alla lista che veniva subito dopo. Man mano che ci si avvicinava al 2 giugno l’atmosfera si arroventava. Erano giorni caldissimi, con momenti di grande tensione. Si recarono alle urne 25 milioni di italiani. Il voto era obbligatorio e per la seconda volta nella storia d’Italia andarono a votare anche le donne. Vinse la Repubblica. Intanto, prima della proclamazione ufficiale,l’atmosfera si arroventava sempre di più,soprattutto nelle province meridionali, Napoli in particolare, dove il 12 giugno si era svolta una manifestazione monarchica e la polizia fu costretta a sparare sulla folla e restarono uccise sette persone e vi furono una settantina di feriti. I monarchici accusavano di brogli elettorali il Governo ed in particolare il Ministro degli Interni On. Romita. I ministri, temendo una rivolta nazionale, nominarono l’On. Alcide De Gasperi Capo provvisorio dello Stato dichiarando decaduto il Re Umberto di Savoia senza attendere il prescritto decreto reale. Il 28 giugno fu eletto Capo dello Stato Repubblicano Enrico De Nicola e Giuseppe Saragat Presidente della Costituente.

“Il popolo ha scelto – La storia ha scritto – E’ già Repubblica” così Milano Sera annuncia il 5 giugno i risultati non ancora definitivi del referendum istituzionale.- Ed ancora:- Ed ora in cammino, Italiani, per le vie dell’Italia e del mondo. La Repubblica ha vinto. Ha vinti l’Italia. Hanno vinto i contadini, gli intellettuali, gli operai, i tecnici, i piccoli industriali, i commercianti, coloro che non chiedono che di lavorare da mattina a sera, e di vivere del proprio sudore; hanno vinto i lavoratori tutti,dallo scalpellino all’ingegnere, all’inventore, al poeta, anche se migliaia di scalpellini avranno votato contro la Repubblica. Ciò non importa. L’Italia che ha vinto è quella del lavoro, della ricostruzione nazionale, del riscatto economico e sociale, della rinascita di tutte le nostre energie spirituali; e questa Italia accoglie tra le sue braccia tutti gli italiani indistintamente, anche coloro che per un ventennio si sono abituati a vegetare nell’ozio, fra scrosci di armi che al momento buono non sono servite a nulla, se non ad uccidere degli italiani, fantasticando su facili imprese di espansioni imperialistiche. In cammino, fratelli, per le vie del mondo con altra faccia, con coraggio nuovo, con spirito che non si flette, con purezza di animo e di coscienza che non ha più macchia; avanti; il mondo ci conoscerà per quello che veramente siamo in Italia -..

Le varie competizioni elettorali riuscirono a scuotere in qualche modo il ritmo di S. Pietro post bellico. Gli sfollati erano ritornati nelle proprie case in Amantea, dalla prigionia erano ritornati in patria i nostri soldati. Le campagne si erano ripopolate e le cantine “du zu Minicu”, “du zu Giachinu”,”du Cav. Sconza”, “d’Alberto Miraglia” “’Donn’Alfonso” e di “Pasquale Socievo9le”,specialmente nei giorni festivi, si riempivano di avventori che giocavano a carte e bevevano vino genuino.

A noi ragazzi piaceva l’atmosfera che si diffondeva nel paese, c’era davvero un’aria di festa. E che festa quando andavamo ad attaccare i manifesti con colla di farina o a distribuire i volantini. Con lunghe scale riempivamo tutti i muri delle case. La legge sugli spazi per la propaganda venne dopo. E il Cavaliere Gaetano Nesi, munito di secchio e pennello sui muri scriveva:- Dove vai? A votare. Vota per il nostro paesano Benedetto Carratelli- Ed ancora:- Ma tu si fissa o mastru scarparu? Vota per l’On. Carratelli-.Ancora oggi, scrutando con attenzione i muri delle case, si possono leggere queste scritte.

Nelle elezioni per l’Assemblea Costituente gli elettori furono 948 e i votanti 820, il Partito Comunista Italiano ottenne 66 voti mentre la Democrazia Cristiana ottenne 528. Nelle elezioni del 18 aprile 1948 gli elettori furono 972 e i votanti 807. Il Fronte democratico popolare (P.C.I. e P.S.I. insieme) ottenne soltanto 33 voti, mentre la Democrazia Cristiana ottenne 634 voti, il MSI 67 voti.

                                                                                                            

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La storia conosciuta è quella diffusa e comunque se non ricordata viene dimenticata.

39 anni fa veniva ucciso Aldo Moro.

In pochi a ricordarlo (avrà più fortuna nel 40° della sua morte?).

 

Tra questi l’Unical nel convegno “Aldo Moro e l’Intelligence”: svoltosi nei giorni scorsi ed in relazione al quale riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato:

“Lo statista e i due generali, quando Moro mediò coi golpisti

I rapporti dell'ex leader della Dc con de Lorenzo e Aloia. E spuntano retroscena sulla strategia della tensione...

Due falchi atlantisti in lotta perenne tra loro. Furono Giovanni de Lorenzo, generale dei carabinieri la cui immagine rimase legata al piano Solo, e Giuseppe Aloia, generale dell’esercito e comandante di stato maggiore della Difesa.

I due alti ufficiali, uniti dalla comune militanza nella Resistenza, furono in disaccordo praticamente su tutto: falchi che facevano a gara a chi volava più in alto.

Spregiudicato e incline al dialogo serrato con la politica che conduceva in condizioni di reciproco condizionamento, il carabiniere siciliano ebbe la carriera sfregiata dalla sua passione per l’intelligence.

Focoso ed efficientista, il generale romano tentò di ammodernare l’esercito per allineare la difesa italiana agli standard (qualitativi ma anche di fedeltà) richiesti dalla Nato. Per la sua opera organizzativa ricevette una medaglia da Kennedy mentre in patria si beccò accuse di criptofascismo (dovute anche all’istituzione dei corsi di ardimento in cui i militari venivano addestrati ad operazioni di guerriglia e controguerriglia secondo le dottrine Stay Behind).

Le loro carriere e la loro rivalità, che sfociò in inimicizia aperta, si svilupparono nel contesto delicatissimo dei primi governi di centrosinistra e delle prime riforme dei servizi segreti. Logica conseguenza di questa situazione, storica ed esistenziale, furono i rapporti piuttosto profondi con i vertici dei partiti di governo, in particolare la Democrazia cristiana. Incluso Aldo Moro.

I rapporti tra il leader della Dc e i due generali sono stati ricostruiti dallo studioso Francesco Maria Biscione della Fondazione Flamigni durante il recente convegno dell’Università della Calabria intitolato Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere, organizzato da Mario Caligiuri, direttore del Master sull’intelligence.

In particolare, Biscione ha ricostruito, sulla base del corposo (e ancor oggi discusso) memoriale redatto dallo statista durante la prigionia nel covo delle Brigate Rosse, due episodi delicati della storia repubblicana, in cui Moro ebbe un ruolo determinante.

Il primo riguarda la vicenda turbolenta dell’effimero governo Tambroni (1960), che si reggeva anche grazie al supporto esterno del Msi. Nella caduta di questo esecutivo, avvenuta un anno dopo l’ascesa di Moro alla segreteria scudocrociata, ebbero un ruolo determinante le informazioni passate da de Lorenzo al leader Dc. In questo caso, la ricostruzione di Biscione è riscontrata da documenti dell’Archivio di Stato di Milano che provano l’effettivo interessamento del Sifar nella storia del governo Tambroni.

Il secondo episodio, decisamente più inquietante per via del contesto, è legato alla strategia della tensione. Siamo nel 1969 e Moro, stando alla ricostruzione di Biscione, avrebbe collegato l’inizio di questa strategia a un’iniziativa di Aloia rivolta alla Dc. Questa iniziativa, poco conosciuta e dal contenuto non ancora noto, divise i vertici Dc in due blocchi: tra i favorevoli vi furono Flaminio Piccoli e Mariano Rumor, tra i contrari lo stesso Moro.

La vicenda proverebbe, secondo Biscione, che alcuni settori dell’esecutivo sapessero della matrice nera delle bombe sin dal 12 dicembre 1969.

Resta una domanda: come mai Moro, che nel decennio successivo avrebbe iniziato il faticoso dialogo con il Pci, in quegli anni aveva rapporti così stretti con alcuni settori particolari del mondo militare?

Per Biscione la strategia dello statista si basava sulla consapevolezza che lo Stato contenesse anche l’antistato e, quindi, sulla necessità di trovare un punto di equilibrio il più avanzato possibile - nel partito, nella società e nei rapporti internazionale - perché eventuali rotture avrebbero precipitato il Paese in mano ai settori più reazionari.

Riteniamo comunque e sempre lì’importanza di tutte le memorie e per questo vi riportiamo le parola del giudice Ferdinando Imposimato, al tempo giudice istruttore della vicenda del sequestro e dell'uccisione di Moro, interviene sul Caso Moro. E lo fa da Reggio Calabria, sul palco della rassegna Tabularasa dell'associazione Urba/Strill.it.

"L'uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri.

Se non mi fossero stati nascosti alcuni documenti - ha aggiunto - li avrei incriminati per concorso in associazione per il fatto.

I servizi segreti avevano scoperto dove le Br lo nascondevano, così come i carabinieri.

Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e la Polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell'uccisione ricevettero l'ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia".

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