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La dura risposta di Alfonso Caruso all’ACD Città Amantea 1927

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Avrei preferito, come ho sempre fatto, rimanere in silenzio per evitare inutili polemiche, ma, a volte, la signorilità del silenzio viene mal interpretata e, quindi, sono obbligato ad effettuare alcune necessarie precisazioni.

Nell’ articolo pubblicato lunedì 2 luglio dal quotidiano “La Gazzetta del Sud”, che mi riguarda, rilevo delle inesattezze nelle espressioni che mi sono state attribuite.

Non ho mai attaccato nessuno a livello personale perché non me lo consente la mia professionalità, acquisita dopo oltre venti anni di esperienza, e non me lo permettono il rispetto e l’ amore che nutro per il mio lavoro.

Nel contempo, non permetto a chicchessia di mancarmi di rispetto, soprattutto se l’ attacco è mirato a nascondere le innumerevoli mancanze altrui.

Mi riferisco, in particolare, all’ articolo pubblicato il 5 luglio sul quotidiano sopracitato e, in particolare, alle dichiarazioni del Presidente dell’ACD Città Amantea 1927, Marcello Socievole, che mi hanno, di fatto, sorpreso perché pronunciate da una persona che ho sempre stimato e alla quale mi sentivo profondamente legato.

Il Presidente Socievole, nel suddetto articolo, parla di tutela e riconoscenza nei miei confronti.

Forse per tutela intende l’ avere smantellato la squadra a novembre, cioè quando sono stati ceduti Longo, Crucitti, Curcio e Miceli (quattro giocatori importanti rimpiazzati dal solo Ferrara) oppure l’ avere corrisposto solo un terzo delle mensilità a me dovute?

La mia conferma, contrariamente a quanto sostenuto, non è affatto dovuta ad un atto d’ amore nei miei confronti ma, esclusivamente, alla mancata possibilità economica di ingaggiare un altro tecnico disposto a sposare questo progetto e diventare il capro espiatorio di una gestione del tutto fallimentare.

Sono consapevole che avrei dovuto essere io a dimettermi.

Se non l’ho fatto è perché al mio abbandono sarebbe seguito quello di diversi giocatori (De Luca, Tucci, Caliò, Tripodi su tutti) con conseguente ed ulteriore smantellamento della squadra.

La gente non conosce il vero motivo per cui i giocatori hanno cominciato a disertare gli allenamenti; non sa cosa è stato detto, promesso e garantito a quei pochi rimasti dopo il mercato invernale, ovvero che la cessione dei giocatori con rimborsi più onerosi avrebbe garantito la copertura dei rimborsi spesa dei tesserati fino alla fine del campionato.

Non è stato così.

Anzi, a partire dalla fine di gennaio, la società si è completamente disinteressata delle sorti della squadra.

Nessun rimborso spesa è stato più corrisposto ai calciatori.

Dal mese di marzo qualcuno, per problemi economici, ha cominciato a disertare gli allenamenti mentre con il piccolo gruppo rimasto ci siamo allenati tra mille difficoltà, il più delle volte senza acqua calda per le docce a causa della sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica per morosità.

Nella disorganizzazione generale, ci sono stati momenti in cui avevamo problemi a programmare le sedute di allenamento alle quali, nell’ ultimo mese e mezzo del campionato, erano presenti solo 6 o 7 giocatori ai quali, in extremis, per amore della maglia, si era aggiunto il capitano storico, Damiano Bruno.

Nessun componente della società ha più seguito la squadra in trasferta, ad eccezione del DG Giovanni Berardone e del responsabile del settore giovanile, Pasquale Socievole.

Piuttosto, vi è stato chi, approfittando di tale caotica condizione, ha provato ad imporre con forza ed arroganza scelte tecniche inadeguate.

Le ho sempre respinte perché ritengo che vada sempre premiato il merito e non la sopraffazione e la prepotenza.

Sono convinto che la maglia blucerchiata debba essere indossata solo dai meritevoli, da coloro che hanno doti tecniche e morali.

Ritengo, come più volte ho evidenziato, che dopo una retrocessione si è tutti responsabili in egual misura e ognuno, pur nella diversità dei ruoli rivestiti, deve essere consapevole degli errori commessi.

Bisogna avere l’ umiltà e gli attributi per prendersi le responsabilità.

Io, dal canto mio, sono stato responsabile tecnico, per cui mi assumo appieno tutte le mie responsabilità, me le sento addosso perché quello che ho fatto non è bastato a salvare la squadra della mia città per la quale ho lottato e tifato ogni singolo giorno di questi tre ultimi anni.

Ho cercato di trarre il meglio dai pochi e volenterosi calciatori rimasti, ma il loro immenso cuore non poteva reggere il confronto con le altre squadre più attrezzate, dal punto di vista tecnico ed economico, per affrontare questa categoria.

Sono rimasto sul carro sia da vincitore, quando ho portato la squadra in Eccellenza, sia da perdente, quando ho lottato con le unghie e con i denti, insieme ai pochi calciatori rimasti, per arrivare alla finale play-out.

Sono in pace con la mia coscienza perché non avrei potuto fare di più di quello che ho fatto.

Anzi, sono stato io a tutelare la società e non il contrario.

Mi sono fatto attaccare personalmente pur di difendere società e squadra.

Qualcuno nella società ha giocato a calcio e dovrebbe saperlo: senza carburante, le navi si fermano in mezzo al mare a prescindere dal timoniere.

E’ una conditio sine qua non.

Ai componenti della società chiedo di essere onesti con se stessi, con i giocatori, con la città e con i tifosi, e, soprattutto, di non mancare di rispetto alle persone che fanno del calcio il proprio lavoro da tantissimi anni senza improvvisazioni di sorta.

                                                                                              Alfonso Caruso

Redazione TirrenoNews

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