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Due uomini, due sedie.

Sullo sfondo potrebbe esserci una porta, la porta di una bottega in cui si vende vino (in una qualsiasi strada di paese).

I due stanno davanti a questa porta immaginaria, e parlano di un tema a caduta libera: il brigantaggio.

Ne parlano dispiegando le loro conoscenze e con i modi di cui sono capaci, ne parlano mischiando la Grande Storia dell’Unità d’Italia con le storie riportate da testimonianze inedite o inventate, intrecciando cronache agiografiche, calunnie, leggende, materiali fotografici e documentari e un po’ di spensierato “sentito dire”.

Il testo è una polifonia che tiene in conto sia le voci contro e sia quelle a favore del brigantaggio, con l’obiettivo di svelare i limiti presenti in una lettura manichea del fenomeno.

I briganti non erano solo farabutti ma neanche solo eroi da leggenda, erano innanzitutto uomini che avevano scelto, o erano stati costretti a scegliere, di stare fuori della legge e dalla cosiddetta comunità civile, pagandone poi il prezzo più alto.

Accanto a storie note e divenute parte della cultura popolare, ci sono storie di tanti senza nome, che si sono fatti briganti per seguire un sogno, un’ideale, per una vendetta, un motivo d’onore, o solo per sfuggire la fame.

Il racconto dispiega così una storia frammentata e contraddittoria, che si sviluppa parallelamente a quella ufficiale e alle vicende della Calabria contemporanea.

Il dialogo fra passato e presente è continuo, la cronologia netta degli eventi cede il passo alla poesia, i documenti storici sconfinano nei deliri e nei sogni di chi il brigantaggio l’ha vissuto per interposta persona, senza agire, senza scegliere, ma continuando a raccontarlo, in qualche maniera, a cantarlo.

Lo stile della recitazione è semplice, privo di artifici, tutto si basa sulla parola, sulla capacità degli attori di dare corpo e voce a piccoli frammenti narrativi, in un continuo affastellarsi di stili, forme e dialetti, con una voglia di raccontarsi addosso e di togliersi il fiato a ricordare nomi, personaggi, luoghi, storie…

Manolo Muoio:

ha studiato recitazione con Francesco Lorenzo Gigliotti presso il Centro RAT Teatro dell’Acquario. Ha partecipato a diverse performance del Living Theatre, durante una loro tournée italiana. Nel 1998 ha studiato presso il Source’s Research Theatre di Bolpur (India), con Abani Biswas, allievo di Jerzy Grotowski. Ha studiato con Natalie Mentha, Yves LeBreton, Clive Barker, Tetsuro Fukuhara, Eimuntas Nekrosius, Marylin Fried, Michele Di Stefano/MK. Nel 2004 ha lavorato nel Romeo e Giulietta diretto da Nikolaj Karpov, docente di Plasticità Scenica al Gitis di Mosca. Nel 1998 è tra i fondatori di Teatro Rossosimona. Ha recitato negli spettacoli Sida e l’uomo dal fiore di Lindo Nudo (vincitore del Premio ETI – Vetrine 1996) e È il Momento dell’Amore di Lindo Nudo, (vincitore del Premio Scenario 2001), L'esausto di Lorenzo Gleijeses e Julia Varley.

Ernesto Orrico:

Attore, autore e regista, laureato al Dams dell’Università della Calabria, ha studiato con Maurizio Grande, Valentina Valentini, Marcello W. Bruno e Francesco L. Gigliotti. Ha frequentato laboratori teatrali con Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi del Teatro Valdoca, Lyudka Ryba del Cricot 2, Romano Colombaioni, Francesco Scavetta, MK, Vincenzo Pirrotta, Peppino Mazzotta, Armando Punzo. Dal 1998 al 2001, ha fatto parte di Teatro Rossosimona. Ha lavorato con Scena Verticale, Centro RAT – Teatro dell’Acquario, Carro di Tespi, Spazio Teatro, Zahir, Compagnia Ragli. Dal 2003 al 2014 ha collaborato con il Teatro della Ginestra di Cosenza. Ha scritto “'A Calabria è morta”, monologo teatrale edito da Round Robin (Roma 2008), le raccolte di poesie “Appunti per spettacoli che non si faranno” per Coessenza (Cosenza 2012) e “The Cult of Fluxus” per Edizioni Erranti (Cosenza, 2014).

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Rifiuti a terraArrivano, arrivano, arrivano. E sono centinaia!

Tanto tonò che piovve; è il richiamare il vecchio adagio.

 

Dopo il comune di Belmonte Calabro, anche quello di Amantea ha deciso di farla finita con gli incivili che inquinano l’ambiente sversando i propri rifiuti dove capita.

Un comportamento inaccettabile, vergognoso, disdicevole, incomprensibile.

Ma ora, finalmente, sono in arrivo le sanzioni.

Sanzioni da un centinaio di euro per ogni busta gettata nell’ambiente .

E per coloro che hanno ripetuto questo comportamento incivile parliamo di  cifre rilevanti dell’ordine di migliaia di euro.

 

Si sussurra che ci sono persone che sono state fotografate tante volte da  poter fare un album…. Non solo ma sono contravvenzioni senza difesa.

A meno che non si voglia portare davanti al giudice la propria foto. E si! Perché le contravvenzioni sono giustificate ognuna da una bella foto.

Dipendesse da me le pubblicherei sul sito dell’ente , senza rispetto della privacy; chi inquina non merita questa delicatezza!

Non solo, ma addebiterei anche i costi di pulizia dell’area.

Per capire  basta fermarsi in tanti posti della nostra città dove le buste di spazzatura buttate nell’ambiente sono decine e decine.

Nella foto decine di buste  20 metri dall’isola ecologica!

Una vergogna!

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coperturaNel 1969, durante la costruzione delle Torri Gemelle di New York, iniziata nel 1967, poiché erano sempre più numerose le prove della nocività dell’amianto, le autorità decisero di sostituire il materiale cancerogeno con materiale diverso.

 

Infine, nel 1971, le autorità americane emanarono il divieto di usare amianto nelle costruzioni edili. La pericolosità dell’amianto è quindi nota da tempo e sono noti anche i costi ingenti delle bonifiche.

Il caso dello storico palazzo Berlaymont di Bruxelles, che ospitava gli uffici della Comunità Europea, è emblematico. Costruito negli anni 60, la grandiosa struttura era in effetti sospesa, per mezzo di tiranti d’acciaio, a delle travi che si posavano sul corpo centrale in cemento armato. Il palazzo era destinato ad ospitare circa 3000 funzionari europei.

 

Nel 1991, data la grande quantità di amianto presente nella struttura, si è reso necessario smantellare il palazzo e mettere in cantiere la sua ristrutturazione durata 13 anni (4 anni più del previsto).

La soluzione fu la bonifica totale dell’amianto. Non è stato così in Italia. La vicenda dell’amianto su tutto il territorio nazionale, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi, una complessa problematica di salute pubblica con importanti implicazioni sia di carattere scientifico-sanitario che socio-economico. A oltre vent’anni dall’entrata in vigore della legge che ha messo al bando l’amianto, siamo qui a testimoniare il totale disinteresse da parte di tutte le Amministrazioni che si sono succedute e delle altre istituzioni incluse le forze dell’ordine che dovrebbero garantire l’incolumità dei cittadini.

 

La cancerogenicità dell’amianto venne definitivamente riconosciuta nel 1973 dall’International Agency for Research on Cancer (IARC). In Italia solo dopol’aprile del 1980 è stato avviato, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, un piano volto ad affrontare in modo organico alcune delle problematiche sanitarie associate all’amianto. Le stesse caratteristiche che fanno dell’amianto un materiale tecnologicamente prezioso sono all’origine della sua vasta diffusione e della sua lunga permanenza nell’ambiente.

In effetti, il gran numero di sorgenti, la difficoltà di evitare la dispersione delle fibre a causa della loro mobilità, la resistenza agli agenti fisici e chimici, la facilità con cui le fibre stesse si fratturano longitudinalmente originando altre fibre, fanno sì che l’amianto permanga a lungo nell’ambiente senza venire degradato; si può anzi dire che, più che essere degradato, esso viene semplicemente ridistribuito nell’ambiente, costituendo così un portatore di morte cui è praticamente esposta la totalità della popolazione. Via Montebianco è una strada stretta, lunga meno di 100 metri. Una palazzina dietro l’altra. Una ventina di famiglie. Ognuna con il suo morto o il suo ammalato di cancro.

Oltre dieci vittime dal 2000 e quasi il doppio delle persone che lottano ancora contro il cancro. Siamo ad Amantea, sulla costa tirrenica calabrese. In via Montebianco si sono recati, circa 7 anni fa, gli esperti dell’Arpacal, l’agenzia regionale per la protezione ambientale della regione, e quelli dell’Asp, l’azienda sanitaria provinciale di Cosenza.

All’epoca ebbero il coraggio di affermare “Non abbiamo trovato nessun riscontro scientifico sulla presenza pericolosa di amianto”. A smentire quanto avallato anche da tutte le Amministrazioni che si sono alternate negli ultimi 15-20 anni, basterebbe il processo di Torino, messo su dal procuratore Raffaele Guariniello, contro la società ETERNIT. Ritornando al capannone di via Montebianco, che è sotto gli occhi di tutta la popolazione, c’è da dire che è molto grande ed è totalmente ricoperto da amianto che si sta sfaldando.

 

L’Amministrazione comunale ha l’obbligo di bonificare tutto il materiale contenente amianto (con la rimozione, l’incapsulamento o il confinamento), in quanto il materiale contenente amianto è alterato al punto tale da rilasciare fibre libere nell’ambiente. A questo punto lo stramaledetto rischio non sarà più probabilistico ma si trasformerà in termini concreti in malattie dell’apparato respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la pleura (mesoteliomi).

Queste terribili malattie insorgono dopo molti anni dall’esposizione: da 10 a 15 per l’asbestosi e da 20 a 40 per il carcinoma polmonare ed il mesotelioma. Il tetto del grande capannone come pure le coperture amiantate degli altri palazzi non sono mai state “bonificate”. Tutto questo amianto, con le sue polveri portate dal vento minaccia l’intera cittadina ma le Autorità e il Comune non sembrano eccessivamente preoccupati.

L’aria non è l’unico veicolo di diffusione dell’amianto: le acque in generale, e quelle distribuite per uso potabile in particolare, possono anch’esse essere contaminate da fibre di amianto. La contaminazione da amianto degli edifici è stata affrontata con la circolare del Ministero della Sanità n. 45 del 10 luglio 1986, che ha voluto avviare a soluzione prioritariamente i problemi sanitari posti dalla presenza dell’amianto nelle scuole e negli ospedali.

L’esperienza acquisita nei primi anni di applicazione di tale circolare suggerì tuttavia l’opportunità di ampliarne la sfera di applicazione per poter meglio affrontare le molteplici problematiche connesse alla presenza di prodotti contenenti amianto. In considerazione degli effetti che tali tipi di intervento, ove effettuati scorrettamente, potevano avere sull’ambiente oltre che sui gruppi di popolazione esposti, apparve altresì necessario promuovere l’emanazione di un apposito strumento normativo, tale da attivare un sistema di certificazione e verifica delle procedure tecniche da adottarsi da parte di
operatori pubblici e privati per la bonifica degli edifici. Una devastazione sociale e ambientale compiuta solo per accumulare denaro e coperta dai soliti noti. L’arancia coi limoni e l’amianto nei polmoni. I bambini nell’amianto, e le madri con il pianto, i bambini innocenti vittime dei prepotenti.

 

Eppure, si fosse trattato solo di lavoro, la gente che vive in questa ex meravigliosa terra avrebbe potuto scommettere sul turismo, oppure su una ripresa qualificata del lavoro nei campi.

E invece ci sono i veleni, letali e ovunque. Le persone si ammalano respirando l’amianto e altre sostanze assassine oppure bevendo acqua contaminata da metalli pesanti e altri materiali tossici. La bonifica che aspetta e la gente che si infetta, che si prende un bel tumore e a vent’anni già si muore! Quello che i cittadini hanno il diritto di sapere è cosa intende fare questa Amministrazione, al di là di apparire sorridente su qualche sito web compiacente, a proposito dell’amianto presente in città e mettere fine a questa presenza mortifera che attanaglia la collettività. Sono 33.610 i siti inquinati con l’amianto in Italia, se si considerano solo i siti censiti, ma mancano informazioni sulla Calabria, la Sicilia e la Campania.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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