
Redazione TirrenoNews
Dal 2005 la Redazione di TirrenoNews.Info cerca di informare in modo indipendente e veloce.
Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
La torbida vicenda del CORAP. Parla Carlo Guccione
Domenica, 29 Settembre 2019 15:52 Pubblicato in CalabriaInoltriamo la relazione del consigliere regionale Carlo Guccione sulla vicenda CORAP.
Della questione se ne discuterà domani, prima del Consiglio regionale, nel corso della II Commissione - Bilancio, programmazione economica e attività produttive, affari dell'Unione Europea e relazioni con l'estero convocata alle ore 13.00, in seduta congiunta con la I Commissione - Affari istituzionali, affari generali e normativa elettorale.
Ordine del giorno:
1) Audizioni su: Proposta di Legge n.460/10^ di iniziativa dei Consiglieri M. MIRABELLO, O. GRECO, G. GIUDICEANDREA recante: " Modifiche alla legge regionale 16 maggio 2013, n. 24 " Relatore: F. SERGIO
Sono invitati:
- i consiglieri proponenti O.Greco e G. Giudiceandrea;
- il VicePresidente della Giunta regionale Prof. Francesco Russo;
- l'Assessore al Bilancio e alle Politiche del personale dott.ssa Mariateresa Fragomeni;
- l'Assessore al Lavoro e welfare dott.ssa Savina Angela Antonietta Robbe;
- il Dirigente Generale del Dipartimento Sviluppo Economico, Attività Produttive;
- il Commissario del CORAP Dott. Ferdinando Caldiero;
- il Revisore dei conti del CORAP Dott. Sergio Tempo;
- le Organizzazioni Sindacali CISL, CGIL UIL e UGL.
Buon lavoro
RELAZIONE CONSIGLIERE CARLO GUCCIONE
Quella del CORAP si presenta come una vicenda dai contorni poco chiari, per certi versi torbidi, sulla quale è urgente fare chiarezza. È certo, in tutti i modi, che l’esito di tale vicenda non può essere deciso né frettolosamente né sulla base di poche e sommarie informazioni perché si tratta di determinarsi sul destino di oltre cento famiglie e sulla politica industriale della nostra regione. Questo non può lasciarci indifferenti.
Ciò che ci compete è fare una operazione verità, perché è solo da questa che può scaturire una decisione ben ponderata, giusta, libera dai legittimi sospetti che hanno attraversato l’aula del Consiglio regionale. Sospetti che vertevano tutti in una medesima direzione: ovvero, che la norma presentata in aula, fuori sacco, altro non celasse che la volontà e l’interesse di mettere una pietra sopra alle malefatte della gestione targata Oliverio. Commissari che sono riusciti nel difficile intento di fare peggio di quanto non avesse già saputo fare quello nominato da Scopelliti nel lontano agosto del 2013.
Diciamo innanzitutto che noi siamo chiamati ad occuparci di fatti politici e non intendiamo addentrarci in discussioni di chiaro stampo giuridico. Ovvero, se i Consorzi Industriali possano o non possano essere assoggettati a procedure concorsuali è un fatto che ci interessa marginalmente, essendo noi chiamati a svolgere ben altro compito.
Infatti, non siamo contrari per principio all’approvazione della norma proposta dall’attuale commissario -il dottor Caldiero- circa la procedura coattiva (LCA) verso cui avviare il CORAP. Non siamo contrari a condizione che si parta, come ho detto, da un’operazione verità, che si salvaguardino i livelli occupazionali attuali, che si immagini un futuro operoso per il CORAP, evitando di accrescere il castello di menzogne costruito per nascondere favoritismi, clientele e, diciamolo con chiarezza, strane ed oscure commistioni. Percorrendo questa strada, non siamo convinti che si pervenga alla stessa determinazione cui sembrano essere pervenuti il dottor Caldiero e la Giunta; anche per le responsabilità che ricadrebbero sul Consiglio regionale al quale per anni è stata impedita qualsiasi discussione sull’argomento, nonostante le interrogazioni e gli ordini del giorno presentati. Tant’è che abbiamo predisposto un nostro provvedimento legislativo a salvaguardia delle funzioni e della missione del Corap e di tutti i dipendenti.
Basterebbe prendere in mano il DPGR n.115 del 2016 a firma Oliverio. A quel decreto di nomina del terzo commissario del CORAP e di definitiva costituzione dell’Ente sono allegati i dati contabili delle cinque ex ASI. Dati contabili, dunque, che non potevano essere ignorati dal firmatario di quello stesso Decreto e dai quali è facile evincere che le “malfamate ASI”, in epoca antecedente all’accorpamento, pur tra mille difficoltà molte delle quali, come abbiamo appena accennato, create proprio dalla Regione, producevano servizi e, conseguentemente, ricavi; addirittura chiudendo gli esercizi contabili in utile.
In parole povere, l’attuale Governatore -prima- firma il decreto di definitiva costituzione del CORAP ove sono riportate le situazioni contabili delle cinque Asi calabresi alla data del 31/12/2015 che illustrano, come detto, risultati di bilancio positivi e -subito dopo- dimenticando ciò che egli stesso aveva appena sottoscritto, comincia il suo battage pubblicitario sull’azione sanificante portata avanti dall’ente regionale.
Sui motivi che hanno indotto il Governatore a maturare convincimenti in aperto contrasto con gli atti che egli stesso ha assunto, sarà la storia a spiegarcelo: certo è che anche quella del CORAP è una vicenda desolata, paradossale, fatta di piccoli e grandi intrighi, di sotterfugi, di furbizie e, come ho detto, di intrecci poco chiari.
La Regione Calabria è Ente vigilante del Corap ai sensi della L.r. 24/2013, a valle dell’accorpamento, non ha provveduto per inerzia e inadempienza:
- A limitare l’azione dei “commissari nominati” che, per legge, avrebbero dovuto permanere al governo dell’Ente per soli nove mesi con il compito di adempiere a pochi e definiti compiti. Ed, invece, i “commissari di fiducia” del Governatore sono stati lasciati al governo del CORAP per anni ed anni, senza che questi avessero specifiche competenze e facendo in modo che accentrassero nelle loro mani sia i poteri di indirizzo che quelli di gestione: caso più unico che raro nell’intero panorama nazionale per il cui ordinamento quegli stessi poteri vanno tenuti separati.
- Alla nomina degli organi del CORAP previsti dalla legge (Direttore generale e Comitato di Programmazione) così da lasciare che i commissari disponessero indisturbati dei beni e delle risorse finanziarie del CORAP come fossero i propri. L’unico organo che la Regione ha nominato, costretta da una norma nazionale assai stringente, è stato il Revisore Unico dei Conti che, come ripeteremo più avanti, non ha avuto vita facile come accade di sovente e tutti coloro che non si piegano ai “desiderata” dei potenti di turno.
- A sollecitare i “commissari nominati” affinché venissero predisposti gli atti fondamentali dell’Ente quali lo Statuto ed un Piano Industriale all’altezza delle risorse umane e finanziarie del CORAP, nonostante sull’Ente siano state fatte ricadere le spese relative al mantenimento di numerosi consulenti che, lungi dall’adempiere ai compiti affidati, si sono limitati a fare da “corte ossequiosa” del commissario di turno.
- A vigilare sui numerosi atti transattivi sottoscritti dai commissari circa somme vantate da terzi e lasciando che il prevedibile mancato rispetto di quegli stessi atti configurasse come crediti certi ed esigibili notevoli quantità di denaro, senza la verifica della loro effettiva certezza. Quanto queste partite pésino oggi sul CORAP, ce lo illustra proprio la norma che si vorrebbe che il Consiglio regionale approvasse. Si tratta, ovvero, di milioni di euro.
- Ad arrestare l’emorragia di terreni di proprietà del CORAP ceduti a condizioni vantaggiose per pochi e scelti acquirenti. Sul punto basterebbe riesumare i tanti articoli apparsi sulla stampa riportanti numeri e date degli atti, luoghi e cifre.
- A riportare nelle disponibilità del CORAP numerose infrastrutture di proprietà dell’Ente. Ci si riferisce, ad esempio, al depuratore di Gioia Tauro che -da solo- avrebbe fruttato risorse bastevoli al mantenimento di tutte e cinque le ex ASI. Circa il depuratore di Gioia Tauro rientra nel nostro dovere segnalare la sottoscrizione da parte di uno dei “commissari nominati” di un “concordato in continuità” a favore di una società privata; cosicché, ad oggi, quell’atto ha prodotto un aumento del “fondo rischi” del Bilancio CORAP pari a ben 12 milioni di euro.
- A risolvere il vistoso conflitto d’interesse instaurato con la nomina di commissari scelti fra i dirigenti regionali. Di conseguenza, questi ultimi, dirigenti contemporaneamente sia della Regione che del CORAP, hanno sottoscritto atti tutti a favore del loro datore di lavoro. Si pensi, ad esempio, all’aumento del “fondo di progettazione” per ben 9 milioni di euro, tagliato su misura a tutela della Regione e che, di conseguenza, pesa per una cifra corrispondente sul Bilancio del CORAP.
- A verificare lo stato effettivo dei crediti vantati dal CORAP nei confronti di terzi, lasciando che, in assenza di atti interruttivi, una gran massa di essi (regolarmente e precisamente censiti in precedenza dalle ASI) cadesse in prescrizione.
- A controllare e autorizzare -così come avrebbe voluto il c. 3 dell’articolo 15 della L.r. 24/2013- la congruità delle spese effettuate dai “commissari nominati”. Abbiamo, quindi, dovuto assistere all’effettuazione di spese incoerenti, svincolate da qualsivoglia controllo e/o atto di programmazione. Fra tutte, si richiamano gli investimenti fatti dal CORAP in Marocco dove, a tutt’oggi, l’ente è obbligato al pagamento di canoni di locazione per una sede situata a Marrakech, arredata di tutto punto a spese del CORAP, e la cui utilità rimane un mistero per tutti, compresi i dipendenti delle ex ASI.
Da ultimo, non possiamo fare a meno di evidenziare che il Governatore non ha ritenuto di dare risposta sia alle numerose interrogazioni fatte dai consiglieri regionali, io stesso ne ho presentate ben due, la prima risale al 2017; né a dare riscontro alle numerose relazioni predisposte dal Revisore Unico dei Conti nei confronti del quale l’unica azione registrata è stato il tentativo di defenestrarlo; né accennare ad una minima reazione quando la stampa non ha mancato di pubblicare articoli ben documentati e, pertanto, assai preoccupanti. C’è da precisare che il tentativo di defenestrare il Revisore Unico dei Conti è fallito solo per intervento della Magistratura.
Veniamo, dunque, all’oggi.
Non è chiaro chi -eventualmente- debba decidere circa una eventuale Liquidazione Coatta Amministrativa (LCA) del CORAP per più ordini di motivi:
- Il permanere della confusione creata, non si sa bene se intenzionalmente oppure no, fra le norme previgenti e quelle di più recente approvazione.
- Ad oggi non esiste lo Statuto del CORAP e il vigente risulta essere quello depositato presso la Camera di Commercio di Catanzaro dal terzultimo commissario. Inoltre, dalla visura camerale, risultano soci del CORAP l’insieme degli enti soci delle ex ASI. Ne deriva che il futuro del CORAP è affidato al chiarimento di tale inammissibile confusione per il cui superamento è urgente attivare le procedure previste dalla legge nonché l’approvazione dello Statuto del CORAP secondo criteri e modalità sganciate dalle volontà regionali, in ossequio al principio di indipendenza ed autonomia degli enti.
- Nella confusione che ha regnata sovrana, i soci delle ex ASI sono stati estromessi dal CORAP e privati anche del patrimonio consortile che detenevano per quota.
- Per quanto sopra, per la Regione, di fatto socio unico del CORAP, consegue l’obbligo al ripiano delle perdite (sicuramente di quelle prodotte dalla gestione commissariale che sono la gran parte). Non basta che il commissario Caldiero abbia scritto alla Regione chiedendo il detto ripiano come se fosse una mera “eventualità”; rientra nei suoi doveri, infatti, procedere come per legge, azionando tutte le iniziative previste dalle norme di riferimento, anche di tipo giudiziale. Ma ciò, com’è facile immaginare, evidenzierebbe un ulteriore conflitto d’interessi venutosi a creare: può un professionista nominato su base fiduciaria dal Governatore, quest’ultimo rappresentante legale dell’ente regionale, assumere atti che vadano contro quello stesso ente?
Ed inoltre:
- Poiché ad oggi finalmente è chiaro che - sin dal varo della L.r. 24/2013 e, a maggior ragione, dalla pubblicazione del decreto di accorpamento a firma Oliverio (il n. 115/2016, già citato) - il disegno è sempre stato e continua ad essere quello della chiusura definitiva delle ASI, ci si deve domandare se l’ingente debito cui si denuncia l’esistenza derivi da dati veritieri.
- Svela ancora le reali intenzioni del governo regionale il fatto che la norma predisposta dall’attuale commissario preveda che il commissario liquidatore sia il commissario stesso. Possibilità, questa, espressamente vietata dalla legge: gli amministratori (ed il dottor Caldiero tale è, basti leggere il decreto di nomina) non possono assumere le funzioni ed i compiti dei commissari liquidatori.
Ecco la proposta:
Alla luce dei fatti sinteticamente esposti, si deve ritenere che la Liquidazione Coatta Amministrativa proposta dal commissario Caldiero si configuri precisamente per quello che avevamo immaginato: <<un colpo di spugna sulla gestione delle ex ASI portata avanti negli ultimi sei anni ed, in specie, negli ultimi cinque, sotto la gestione Oliverio>>.
Crediamo che vada assunta una norma per la predisposizione e adozione di un Piano di risanamento e riequilibrio e di un Piano industriale per il Corap.
La Regione Calabria ha il dovere di ripianare il debito prodotto nel corso della gestione commissariale mediante il già previsto e autorizzato stanziamento di tre milioni di euro annui per le annualità 2019-2020-2021, aumentandolo attraverso una apposita norma finanziaria inserita nel prossimo Bilancio di 10 milioni annui per le annualità 2020-2021-2022-2023 teso a ripianare i debiti del Corap.
ALFONSO PATI: EROE PLURIDECORATO MA POCO CONOSCIUTO
Sabato, 28 Settembre 2019 21:51 Pubblicato in Primo PianoEgr. Sig. Direttore, mi conceda breve spazio per una doverosa notizia sul conto di un amanteota valoroso durante la Grande Guerra, e oggi dimenticato.
Alfonso Pati nacque ad Amantea (Cs) il 25 maggio 1888 in contrada Camoli al civico 27, risultando essere l’81° bimbo nato in quell’anno, figlio di Giovanni e Maria Metallo.
Chiamato alle armi il 18 ottobre 1908, non vi giunse perché all’estero, negli USA, in Pennsylvania a Pittsburgh.
Rientrato dagli USA, com’era d’uso all’epoca comprò un terreno in contrada Chiaje e corse a conseguire la propria ferma.
Si presentò con cinque anni di ritardo partendo col primo scaglione della classe 1913, il 9 gennaio e arruolato nel 58° reggimento fanteria dal quale fu congedato al compimento del biennio di ferma: il 9 gennaio 1915, dopo aver tenuto «Buona condotta ed aver servito con fedeltà e onore».
Ma da lì a poco, il giorno 8 maggio seguente fu richiamato alle armi giungendo, con giustificato ritardo, il 28 maggio ed il giorno dopo fu incorporato nel 142° reggimento fanteria (famigerata brigata Catanzaro) e dove, il 24 agosto, fu nominato caporale perché sapeva ben leggere e scrivere nonostante fosse stato arruolato come contadino, di statura un metro e 60, torace 0,95, capelli castani e di forma lisci, dentatura sana, occhi castani, colorito buono e come segni particolari nei in viso.
Il 17 febbraio 1916 lasciò il fronte perché ammalato.
Tornò in guerra un mese dopo, il 23 marzo 1916, ed il seguente 24 maggio fu nominato caporal maggiore per meriti di guerra.
Il 16 agosto 1916 rientrò a casa perché ferito sul monte San Michele.
Rientrò in territorio di guerra l’11 novembre 1916. Il primo febbraio 1917 passò nel 243° reggimento fanteria dove, il primo maggio, fu nominato aiutante di battaglia.
Durante la campagna di guerra 1915/1918 fu due volte decorato con l’argento al valor militare e una volta col bronzo con le seguenti motivazioni:
1ª Medaglia d’argento al V. M. :
Rimasta la compagnia senza ufficiale, ne assumeva il comando e la portava risolutamente e con mirabile slancio alla conquista di posizioni nemiche, incitando con l’esempio e la parola i propri dipendenti. Bosco Malo, 24-25 maggio 1917.
(Bollettino Ufficiale per le ricompense al V. M., dispensa n. 15 del 8.3.1918)
Medaglia di bronzo al V. M. :
Comandante di un plotone seppe lodevolmente guidare i propri uomini all’assalto, sotto un violento fuoco nemico, e condurre a termine con singolare adempimento i compiti affidatigli. Vnsie, 1-9-agosto 1917.
(Bollettino Ufficiale per le ricompense al V. M., dispensa n. 84 del 28.12.1918)
2ª Medaglia d’argento al V. M. :
Con attività e coraggio mirabili esponendosi continuamente a grave pericolo, caduti tutti gli ufficiali subalterni della compagnia, era di valido aiuto al proprio comandante, dimostrando elette doti di fermezza e valore. Piave, 15-18 giugno 1918.
(Bollettino Ufficiale per le ricompense al V. M., dispensa 83 del 16.9.1919)
Fu posto in congedo l’8 ottobre 1919 col grado di maresciallo.
Chiusa la guerra e tornato a casa non fece mancare la sua presenza nella locale formazione dell’associazione “Combattenti e Reduci”, fu eletto tra i probiviri.
Partecipò alle lotte politica cittadine, soprattutto durante le elezioni dell’ottobre 1920, sostenendo,
ovviamente, la lista presentata dagli ex combattenti.
Contrasse matrimonio il 13 ottobre 1923 con Onorina Fera (zia del compianto Enzo Fera).
Dalla loro unione nacquero: Ida, Maria e Iolanda.
Dal 31 ottobre 1934, per effetto della legge n. 1144 del 27.6.1929 fu messo a disposizione della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e come tale mobilitato il 7 aprile 1937 – epoca in cui si diceva:
«Osteria numero sette, in Italia ci stiamo stretti, allunghiamo lo stivale, verso l’Africa Orientale» – partendo il seguente 20 aprile per l’Africa.
Fu ancora richiamato l’11 giugno 1940 per partecipare alle operazioni della nuova guerra mondiale. Fu fatto prigioniero dagli inglesi il 25 marzo 1941. Morì in prigionia il 30 luglio 1944.
Nessun addebito fu elevato a suo carico in merito alle circostanze della sua cattura ed al comportamento tenuto durante la prigionia.
I suoi resti, rientrati, oggi riposano nella cappella di famiglia della figlia Iolanda, nel cimitero di Amantea.
Sarebbe molto, oggi, domandare agli amministratori della città, di governo e di opposizione, che venisse a lui dedicata una via di Amantea?
Fonti:
Archivio storico comunale Amantea, (Stato Civile);
Archivio di Stato Cosenza, ruoli matricola anno 1888, matricola n. 18792;
Bollettini Ufficiali, Ministero della Guerra, per le ricompense al Valor Militare;
A. Lorelli: Amantea nel XX secolo, Rubettino,, 2008, pp. 60, 64, 86, 107.
Etichettato sotto
Una delle notizie più belle venute fuori durante l’ incontro sul turismo tra l’amministrazione comunale ( presenti il sindaco Mario Pizzino, l’assessore al turismo Concetta Veltri e l’assessore al bilancio Rocco Giusta) e le organizzazioni socio-culturali ed economiche locali è stata quella del “recupero” agli amanteani del regio castello.
Ci aveva provato il sindaco La Rupa ma la vicenda è finita in tribunale.
E così il castello, o meglio i suoi ruderi, sono sempre là, sempre più cadenti.
Ed il regio castello lentamente, ma irreversibilmente muore.
Probabilmente cadrà sul centro storico sottostante danneggiando case, forse uccidendo persone.
Certamente morirà la sua storia.
Una cosa è certa ed è quella che si tratta di un bene che appartiene alla storia di Amantea e degli amanteani e che proprio per questo non è giusto che muoia
Un’altra cosa certa è che se questa struttura non apparterrà al Comune non sarà possibile chiedere ed ottenere finanziamenti pubblici per il suo ripristino e per la sua messa in sicurezza.
Una cosa, poi, non abbiamo capito ed accettato e cioè che si intendesse approfittare dell’esproprio dei ruderi del castello per acquisire anche la piana del castello medesimo.
Una scelta che è stata alla base della causa, poi persa dal comune.
Speriamo che il sindaco Pizzino si limiti ad acquisire la torre ed il castello e non anche la piana, lasciando. questa, eventualmente, ad altra occasione.
Voci attendibili ci parlano di altre possibili azioni giudiziarie,
Una cosa inaccettabile è che il castello di Amantea è ascritto tra i 20 più bei castelli della Calabria ma è l’unico in queste vergognose condizioni di abbandono
Provate a leggere:
Regio Castello di Amantea
Il castello di Amantea (già Regio castello di Amantea) è situato nell’omonima città, in provincia di Cosenza, nel basso Tirreno cosentino.
A dominio della strada costiera e della via per Cosenza che corre lungo la valle del fiume Catocastro, fu in passato un’importante piazzaforte sotto i bizantini, gli arabi, i normanni, gli svevi, gli angioini e gli aragonesi.
Fu risistemato nel periodo viceregnale e sotto i Borbone, ma subì gravi danni durante i terremoti del 1638 e del 1783; fu lasciato in stato abbandono dopo il disastroso assedio del 1806-1807 subito da parte delle truppe napoleoniche.
Attualmente il castello è in rovina, e l’accesso ai resti sul colle che domina la città risulta piuttosto faticoso.
Nel 2008, la proprietà dell’area è stata acquistata dal Comune di Amantea. (NON E’ VERO)
La città vecchia di Lampeteia o Clampetia fu spazzata via da un maremoto del 365 e venne poi ricostruita sotto il nome di Nepetia (“nuova città” o “nuovo accampamento” in greco). Nepetia fu occupata dai bizantini e dopo il 553 fu sede di un governatorato militare e di una piazzaforte sui confini settentrionali del thema di Calabria.
Furono dunque i bizantini i primi a fortificare il sito dell’attuale Amantea: tuttavia, il nome attuale venne alla città dalla dominazione araba. Nell’846 infatti Nepetia venne conquistata dagli arabi di Sicilia e ribattezzata “Al-Mantiah”, “la rocca”. I Normanni conquistarono Amantea nel 1060-1061, scacciandone una volta per tutte i bizantini. Nel 1094 la diocesi di Amantea venne aggregata a quella di Tropea, nel quadro della latinizzazione dei culti nell’Italia meridionale voluta dal papato e dai sovrani normanni. Durante la dominazione normanna Amantea decadde, rimpiazzata come importante centro di controllo del territorio dalla vicina Aiello Calabro. Sotto la dominazione sveva il castello venne rafforzato, nell’ambito del piano del ripopolamento delle zone costiere voluto da Federico II. In virtù del buon governo svevo, Amantea ed altri castelli della zona resistettero tenacemente al nuovo sovrano di origine francese Carlo I d’Angiò: questi inviò il conte di Catanzaro Pietro Ruffo a riconquistare la città, che resistette alle preponderanti forze angioine per tutto il mese di maggio del 1269, prima di capitolare alla metà di giugno di quello stesso anno. I ribelli furono quasi tutti puniti atrocemente. Amantea fu al centro delle vicende della cosiddetta “guerra dei novant’anni” tra Angiò ed Aragona per il possesso del Regno di Napoli e Sicilia, seguita al casus belli dei Vespri siciliani. La popolazione amanteota era di tendenza aragonese; il castello, difeso da duecento uomini e ben provvisto di viveri dai castellani di fede angioina, fu assediato dalla flotta e dall’esercito aragonese nel 1288, e capitolò a patti onorevoli. Il castello tornò agli Angiò in forza della pace di Caltabellotta del 1302: dopo un periodo di ritorsioni contro gli amanteoti per la loro fede aragonese, la città ottenne dagli ultimi sovrani angioini-durazzeschi importanti esenzioni e privilegi che portarono un aumento di popolazione. Sotto gli aragonesi, la castellania venne affidata alla famiglia Carafa, duchi di Maddaloni. Nel 1600 e 1700 fu colpito da vari terremoti ma fu sempre ricostruito. Durante i fatti della Repubblica Napoletana (1799), Amantea si consegnò spontaneamente ai giacobini: la popolazione di fatto disarmò la guarnigione del castello, e piantò l’albero della libertà, guidata da Ridolfo Mirabelli, capo della piazza nel breve periodo rivoluzionario. Infatti dopo neppure un mese sopraggiunsero i sanfedisti guidati dal cardinale Fabrizio Ruffo, che vennero rapidamente a capo del tentativo di resistenza giacobino. Fu invece con l’invasione napoleonica che il castello di Amantea ebbe il suo ultimo momento di gloria. All’interno delle mura cittadine i “capimassa” borbonici iniziarono ad organizzare la resistenza all’imminente contrattacco in forze dei francesi, analogamente a quanto si stava facendo nei paesi vicini. In quelle settimane all’interno dei paesi calabresi furono perpetuati delitti e violenze contro giacobini o presunti tali, spesso solo nemici personali dei borbonici al comando in quel momento. Ad ogni modo, l’attacco francese principale iniziò il 5 dicembre 1806: le forze assedianti ammontavano a 5000 uomini con un reparto d’artiglieria comandati dai generali Guillaume Philibert Duhesme, Jean Reynier, Jean-Antoine Verdier e dal tenente colonnello di origine amanteota Luigi Amato. I borbonici assediati ammontavano a qualche centinaio, dotati di 12 bocche da fuoco in tutto, e capitanati da Ridolfo Mirabelli, che alla fine dell’assedio sarà decorato con il grado di tenente colonnello dal re Ferdinando IV di Borbone. La piazza di Amantea resistette strenuamente fino al 7 febbraio 1807, quando Mirabelli e Reynier firmarono una capitolazione onorevole. Dopo l’Unità d’Italia (1861), l’area del castello venne assegnata dal demanio militare al 5º Corpo d’Armata, ed in seguito ad un ente assistenziale napoletano. Negli anni settanta, con il progressivo ridimensionamento di questi enti in vista del loro scioglimento, l’area fu messa in vendita. Così il castello nel 1974 fu acquistato dalla famiglia Folino. Il Comune di Amantea lo ha rilevato nel 2008. Il castello occupa un plateaux con bella visuale sia sul piccolo golfo del fiume Oliva sul mar Tirreno (e nei giorni di tramontana è possibile vedere addirittura l’isola di Stromboli e Pizzo), sia sulla valle del fiume Catocastro, inoltrandosi attraverso la quale si arriva a Cosenza lungo l’antico tracciato della via Popilia. Probabilmente fu in età normanna e sveva che venne fortificata pesantemente la parte meridionale del colle, decentrata rispetto all’abitato ma rivolta verso gli obiettivi che interessava tenere sotto controllo in quell’epoca, ossia le vie di comunicazione tra la costa e l’interno. La torre mastia ovoidale rivolta a nord-ovest, detta di San Nicola, fu realizzata in età angioina, a giudicare dallo stemma recante i gigli di Francia che vi rimane sopra; e pure in età angioina, pare sotto il regno di Giovanna I d’Angiò, fu costruita la torre circolare con vista mare, isolata dal complesso propriamente fortificato. In età aragonese le mura furono abbassate ma rinforzate in spessore, fu costruito un rivellino d’accesso sul lato orientale (oggi completamente crollato) e realizzato uno spalto che precedeva il fossato in tutta la sua lunghezza. Oggi è quasi interamente conservato il grande bastione rivolto a sud, a scarpa con rodendone, poggiante sulla viva roccia della rupe, già di per sé formidabile difesa. Oggi restano davvero pochi avanzi degli ambienti interni del castello, perciò è possibile saperne qualcosa di più solo scorrendo le planimetrie e le vedute settecentesche. Questo grande quadrilatero era tutto circondato da un fossato, già invaso da erbacce nel Settecento, ed ancora oggi esistente: in particolare, rimane la parte in muratura dell’accesso secondario al castello, sul lato settentrionale. Il ponte levatoio è andato distrutto. Oltre il fossato, il resto dell’altopiano era circondato da un muretto diroccato già nel Settecento, che formava una sorta di “cittadella” o “avanzata” concepita per intrappolare il nemico che fosse riuscito a penetrarvi. Al castello è possibile salire da almeno quattro sentieri, piuttosto difficoltosi: uno parte dalla Strada Tirrena poco prima della confluenza con corso Umberto I, un altro incomincia a destra della chiesa del Carmine in corso Umberto I, un terzo (Salita San Francesco) si sviluppa dall’antica porta urbica fino a toccare anche le rovine del complesso francescano sottostanti la torre angioina, un quarto infine parte dalla chiesa del Collegio (a cui sono annesse le imponenti rovine dell’ex-collegio gesuitico).
Da I 20 Castelli Più Belli Della Calabria Di alfymiticus83
Etichettato sotto