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Il TAR blocca il porto di Scalea. La sentenza integrale!

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Il TAR accoglie il ricorso di Italia Nostra ed annulla il decreto regionale 10303 del 23 agosto 2011 del dirigente generale della Regione con il quale era stato dato parere favorevole di compatibilità ambientale. “Italia Nostra”, rappresentata dall'avvocato Marcello Nardi, aveva proposto ricorso contro Regione Calabria e Comune. Il Tar aveva già riconosciuto la validità delle osservazioni, e con l'ordinanza n. 487/12 del 15 settembre 2012 aveva sospeso il provvedimento impugnato rinviando all'udienza del 17 maggio 2013 per la trattazione nel merito. Di seguiti per una lettura approfondita il testo integrale della sentenza:

N. 00837/2013 REG.PROV.COLL. N. 00445/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 445 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Nardi, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

contro

- la Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, non costituita in giudizio;

- il Comune di Scalea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Sangiovanni, domiciliato presso la Segreteria del Tribunale;

nei confronti di

- C.E.M. S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Como e Giovanni Spataro, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

W.W.F. Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Spinelli, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

per l’annullamento

del decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 del Dirigente Generale della Regione Calabria, con cui è stato espresso parere favorevole in merito alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea;

e, con ricorso per motivi aggiunti, per l’annullamento

del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi del 3 gennaio 2012, di approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico;

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Scalea e di C.E.M. S.p.a.;

Visto il ricorso per motivi aggiunti proposto dalla ricorrente;

Vista l’ordinanza n. 487 del 15 settembre 2012, con la quale è stata accolta l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente;

Visto l’atto di intervento del W.W.F Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella pubblica udienza del 17 maggio 2013 il Cons. Giovanni Iannini ed uditi i difensori delle parti, come da verbale;

Vista l’ordinanza n. 631 del 30 maggio 2013;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

1. Con atto in data 3 febbraio 2012 Italia Nostra Onlus proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 con cui il Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente, sulla scorta del parere del Nucleo VIA - VAS- IPPC, aveva espresso parere favorevole, con prescrizioni, in ordine alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea.

A fondamento del ricorso l’Associazione ricorrente deduceva:

1.1 Eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità di presupposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti; Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, 22, comma 3, 26, commi 1 e 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e dell’art. 97 Cost.

1.1.1 Secondo la ricorrente:

- il progetto definitivo redatto dal concessionario per la progettazione e l’esecuzione dell’opera, che contempla un porto a bacino interno con 510 posti barca, ha operato lo stravolgimento del progetto su cui si era espresso il Consiglio comunale di Scalea con la delibera del 26 febbraio 2003, che prevedeva un porto a moli convergenti della capienza di 320 posti barca;

- sul progetto di porto a moli convergenti di minore capienza sono stati predisposti dal consulente Prof. Paolo De Girolamo la relazione illustrativa, lo studio meteomarino, lo studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e lo studio dell’inserimento ambientale paesaggistico;

- l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, nel parere reso in data 14 marzo 2003 sul progetto preliminare a moli convergenti, ha suggerito di supportare i successivi affinamenti del progetto mediante adeguato modello fisico in scala adeguata (c.d. prova in vasca), in modo da rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere;

- l’ATI CEM, nel redigere il progetto definitivo, non si è preoccupata della prova in vasca, nonostante fosse stata già prescritta;

- l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, in un nuovo parere del 7 maggio 2009, ha mantenuto la prescrizione di supportare il progetto con adeguato modello fisico, anche al fine di valutare gli effetti indotti dalla deviazione del canale Tirello;

- il modello matematico richiamato dall’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime è quello predisposto dal Prof. De Girolamo per “un porto scavato a terra con imboccatura del tipo a moli convergenti” molto più piccolo e molto meno sporgente in mare;

- la notevole differenza esistente tra un porto con moli convergenti che sporgono 80 metri e una diga foranea lunga 300 metri parallela alla costa, che sporge 200 metri dalla spiaggia, avrebbe reso necessario rifare ex novo i calcoli;

- le prevista deviazione e “tombatura” del canale Tirello stravolgerebbe equilibri tra elementi naturali armonizzati nel corso dei secoli;

- l’Autorità di Bacino della Regione Calabria, in un parere reso nella conferenza dei servizi del 15 maggio 2009, ha imposto la deviazione a nord della darsena di un altro canale parallelo al Tirello, denominato Sallegrino (o Sellerino);

- il progetto definitivo per la realizzazione del porto è approdato al Nucleo VIA della Regione Calabria in assenza dei dati per valutare gli aspetti più importanti dell’impatto ambientale correlato alla costruzione del porto, quali la variante progettuale per deviare il Sallegrino, uno studio matematico predisposto in relazione alle soluzioni di cui al progetto definitivo e la prova in vasca;

- in conseguenza il giudizio VIA è stato reso in assenza del dato più rilevante, costituito dall’impatto del porto sulla costa;

- l’illegittimità della valutazione espressa non è esclusa dalla prescrizione impartita dal Nucleo, per la quale: “al fine di determinare il reale impatto delle opere di progetto sulla dinamica costiera, dovrà essere sviluppato, a supporto del modello matematico utilizzato in fase progettuale, un adeguato modello fisico che permetta di rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere stesse”; ciò in quanto l’art. 26, comma 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 dispone che “il provvedimento contiene le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti”;

- è erronea e illogica altra prescrizione del Nucleo VIA, secondo cui: “qualora i risultati di tale modello fisico, previa verifica e controllo da parte dell'Arpacal, si discostino dalle previsioni del modello matematico, le nuove necessarie valutazioni progettuali dovranno essere sottoposte a valutazione di impatto ambientale”; ciò in quanto il modello matematico è relativo al progetto preliminare a moli convergenti del 2003, totalmente differente rispetto a quello definitivo adottato nel 2008.

1.1.2 Il porto dovrebbe sorgere nei pressi delle grotte di Torre Talao esistenti ai piedi della rocca, che costituiscono il più importante complesso musteriano della Regione.

Il rilievo planoaltimetrico, richiesto dalla relazione geologica costituente parte integrante del parere reso dalla soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria di Reggio Calabria, non avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriore prescrizione con la VIA, ma avrebbe dovuto far parte dei documenti che il Nucleo VIA avrebbe dovuto esaminare ai fini della valutazione. In assenza di esso non sarebbe dato sapere quale sia l’esatta consistenza della Rocca, che è ricoperta alla base da materiale che dovrà essere asportato e dragato e presenta un piano di campagna sopraelevato di 4/5 metri rispetto al livello del mare.

1.1.3 Il progetto della CEM non terrebbe conto di quanto imposto dall’Autorità di Bacino nel parere del 15 maggio 2009, che ha evidenziato la necessità di deviare il canale Sallegrino, ipotizzando un percorso a monte dell’opera portuale in zona di sopraflutto.

1.2 Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà. Violazione e falsa applicazione dell'art. 26, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006.

La ricorrente richiamava l’art.. 26, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, per il quale la VIA “sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta, e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto”.

Tale previsione implicherebbe che la valutazione di impatto ambientale deve essere effettuata in relazione ad un progetto completo ed aderente alle prescrizioni fornite. Il decreto oggetto di impugnazione sarebbe intervenuto in relazione ad un progetto che non prevede la deviazione del canale Sallegrino, pur imposta dall’Autorità di Bacino e che non è supportato da adeguato modello fisico (prova in vasca), secondo le indicazioni dell’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime.

L’Associazione ricorrente concludeva chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

2. In data 6 aprile 2012 la controinteressata CEM S.p.a. notificava all’Associazione ricorrente atto di opposizione ai sensi dell’art. 10 del DPR 24 novembre 1971 n. 1199, ai fini della trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale.

La ricorrente si costituiva innanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 48 c.p.a.

Si costitutiva in giudizio la controinteressata CEM, che nel controricorso deduceva l’infondatezza delle argomentazioni dell’Associazione ricorrente. Essa negava che l’aumento dei posti barca, necessario al fine di assicurare la redditività dell’investimento, anche a causa della perdita dei finanziamenti pubblici, importasse una stravolgimento del progetto.

Il riferimento alle prescrizioni relative all’effettuazione di prove con adeguato modello fisico sarebbe frutto del travisamento del concetto tecnico espresso dal Genio Civile per le opere marittime in merito all’incertezza propria dei modelli matematici. Sottolineava la controinteressata che l’effettuazione di tali prove su modello fisico è stata rimandata al momento antecedente l’esecuzione dei lavori, per evitare inutili esborsi, data la possibilità di modifiche.

La controinteressata chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso.

La Regione Calabria non si costituiva in giudizio.

3. Con atto notificato al Comune di Scalea, alla CEM e alla Regione Calabria, l’Associazione ricorrente proponeva motivi aggiunti, estendendo l’impugnazione al verbale del 3 gennaio 2012 della seduta conclusiva della conferenza di servizi relativa all’approvazione del progetto definitivo del porto e chiedendo la concessione di misure cautelari.

Deduceva la ricorrente:

3.1 Violazione dell’art. 14 ter, comma 2, della legge n. 241/1990 e degli artt. 3, 4, 5, 6, 7 del DPR n. 509/1997.

Alla conferenza di servizi non avrebbe partecipato la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Calabria, competente ad esprimere il parere in quanto l’intervento progettato necessita del parere di più soprintendenze di settore.

L’Agenzia del Demanio, cui, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto essere richiesta la concessione demaniale, non sarebbe stata invitata a partecipare alla conferenza di servizi relativa all’approvazione del progetto preliminare e, anche nell’ambito del procedimento relativo all’approvazione del parere definitivo, non avrebbe reso alcun parere.

Non sarebbe stato invitato, inoltre, l’Ufficio del Territorio del Ministero dell’Economia e Finanze, la cui partecipazione è prevista dal DPR n. 509/1997, che disciplina il rilascio delle concessioni demaniali marittime.

3.2 Violazione dell’art. 14 ter, comma 6 bis, della legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per abnormità dell’azione amministrativa.

Alla conferenza di servizi non avrebbero partecipato numerosi enti ed uffici.

Il procedimento sarebbe stato chiuso anche se il progetto non prevede la deviazione del canale Sellegrino e in assenza degli studi idrogeologici dei canali Tirello e Sellegrino, pur imposti dall’Autorità di Bacino. Inoltre non sarebbero state effettuate le prove su modello fisico.

3.3 Violazione dell’art. 14 bis, commi 5 e 6, della legge n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 5, del DR n. 509/1997.

Lo stravolgimento del progetto definitivo rispetto al progetto preliminare implicherebbe la violazione delle regole procedimentali per la concessioni demaniali marittime, articolate sull’approvazione in sequenza dell’uno e dell’altro progetto.

3.4 Violazione degli artt. 1, 6 e 7 della l.r. n. 23/1990.

Alla luce delle previsioni della l.r. n. 23/1990, che prevede le misure minime di salvaguardia in relazione ai territori costieri, zone di interesse archeologico, torri costiere, castelli e cinte murarie, nel luogo in cui dovrebbe essere collocato il porto sarebbero consentiti solo interventi di manutenzione e restauro.

Le previsioni della legge regionale, sottolineava la ricorrente, prevalgono su quelle degli strumenti urbanistici.

4. Con ordinanza n. 487 del 15 settembre 2012 veniva accolta l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente.

5. Si costituiva, quindi, il Comune di Scalea, producendo numerosi documenti e chiedendo il rigetto del ricorso.

Spiegava, inoltre, intervento il W.W.F. Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature, in posizione adesiva rispetto alla ricorrente Italia Nostra, riprendendo le argomentazioni già svolte da quest’ultima e sottolineando la grave violazione delle norme comunitarie, non essendo stato valutato l’impatto dell’opera sul vicino sito di interesse comunitaria (S.I.C.) Fondali Isola di Dino - Capo Scalea.

Le parti producevano ulteriori memorie.

Nella memoria di replica la controinteressata CEM S.p.a., fatte le proprie deduzioni riguardo all’eccezione della ricorrente relative alla tardività del deposito di relazione tecnica di parte, formulava una serie di eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.

6. Alla pubblica udienza del 17 maggio 2013, sentiti i difensori delle parti, la causa veniva trattenuta per la decisione.

 

Nella camera di consiglio del 17 maggio 2013 il Collegio, sulla base del disposto del 3° comma dell’art. 73 c.p.a., rilevata d’ufficio, dopo il passaggio in decisione della causa, una questione non sollevate dalle parti, riservava la decisione e invitava le parti a presentare memorie vertenti su l’unica questione indicata, nel termine di quindici giorni. La questione atteneva, in particolare, all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti a causa della possibile qualificazione del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi quale atto endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile ed alla correlata necessità di sottoporre ad impugnazione il provvedimento finale dell’opera sottoposta a VIA, esibito dalla difesa del Comune di Scalea, nonché la connessa questione riguardante le conseguenze dell’eventuale inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sull’ammissibilità o procedibilità del ricorso introduttivo avente ad oggetto l’impugnazione del decreto di compatibilità ambientale.

Le parti producevano memorie nei termini fissati.

Nella camera di consiglio del 20 giugno 2013 il Collegio scioglieva la riserva, decidendo la causa.

DIRITTO

1. Con deliberazione n. 178 del 2 settembre 2002 la Giunta comunale di Scalea assegnava all’Ufficio tecnico il compito di redigere un progetto preliminare per la costruzione di un porto turistico in località Torre Talao.

Il Responsabile dell’Ufficio tecnico, a sua volta, affidava al prof. Paolo De Girolamo l’incarico di effettuare gli studi e le analisi per valutare la fattibilità del progetto.

Il tecnico incaricato, effettuati gli studi necessari, consegnava al Comune la documentazione tecnica elaborata, costituita da relazione illustrativa, studio meteomarino, studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e studio dell’inserimento ambientale paesaggistico.

Con deliberazione n. 4 del 26 febbraio 2003 il Consiglio comunale di Scalea approvava la proposta di realizzazione di un porto a moli convergenti della capienza di circa 320 barche, con il sistema della concessione di costruzione e gestione, per la durata massima di trenta anni, ai sensi degli artt. 19 e 20 della legge n. 109/1994 e dell’art. 84 del D.P.R. n. 554/1999.

Seguiva la conferenza di servizi volta all’acquisizione degli atti di competenza delle varie autorità in ordine al progetto preliminare, che, ricevuta la qualificazione di studio di fattibilità, veniva approvato con prescrizioni.

Veniva, quindi, avviato procedimento di evidenza pubblica volto all’affidamento della concessione, che si concludeva con la determinazione del 9 ottobre 2007 con cui veniva disposta l’aggiudicazione in favore dell’ATI CEM S.p.a. e Ing. Ferrara Raffaele della concessione di progettazione, costruzione e gestione del porto turistico. La durata della gestione veniva fissata in 90 anni, in conformità a quanto previsto dalla deliberazione del 9 novembre 2004 del Consiglio comunale, che, sulla scorta di una relazione aggiuntiva allo studio di fattibilità, aveva approvato la modificazione del termine originario, fissato in 30 anni.

Il contratto di concessione veniva stipulato il 3 giugno 2008.

Con delibera n. 113 del 9 settembre 2008 il Consiglio comunale di Scalea approvava il progetto definitivo predisposto dall’ATI aggiudicataria, che prevede la realizzazione di un porto a bacino, anziché a moli convergenti, con diga foranea prospiciente il porto, con capienza di 510 barche.

In data 15 maggio 2009 aveva luogo presso il Comune di Scalea la prima seduta della conferenza di servizi finalizzata all’acquisizione degli assensi delle autorità preposte alla cura dei diversi interessi pubblici coinvolti.

L’11 settembre 2009 il Comune trasmetteva il progetto definitivo al Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, ai fini della valutazione di compatibilità ambientale.

Il Nucleo VIA - VAS - IPPC della Regione Calabria, nella seduta del 27 luglio 2011, esprimeva parere favorevole.

Con decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 il Dirigente Generale della Regione Calabria, preso atto del parere del Nucleo VIA - VAS- IPPC, esprimeva parere favorevole in merito alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea.

Avverso tale decreto Italia Nostra Onlus proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, successivamente trasposto in sede giurisdizionale.

Il 3 gennaio 2012 aveva luogo la seduta conclusiva della conferenza di servizi per l’approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico. Il relativo verbale era oggetto di impugnazione da parte di Italia Nostra Onlus, mediante ricorso per motivi aggiunti.

Con determinazione n. 27/LP del 22 maggio 2012 il Responsabile del Servizio Lavori Pubblici del Comune di Scalea prendeva atto dell’esito della conferenza di servizi, delle prescrizioni degli enti ed uffici intervenuti, da recepire nel progetto esecutivo da predisporre a cura della concessionaria, e della conclusione del procedimento della conferenza di servizi. Seguiva la pubblicazione ai sensi del comma 10 dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990 nel Bollettino regionale, oltre che in un quotidiano a diffusione nazionale.

2. La controinteressata ATI CEM, rilevato che il ricorso è stato portato all’esame del giudice amministrativo a seguito di trasposizione di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha eccepito l’inammissibilità del gravame proposto innanzi al Capo dello Stato, destinata a riflettersi sul giudizio incardinato innanzi all’organo giurisdizionale.

Essa osserva che la controversia oggetto del presente giudizio rientra tra quelle concernenti procedure di affidamento di pubblici lavori, contemplate dall’art. 120, 1° comma, c.p.a., per le quali è prevista unicamente la proposizione di ricorso giurisdizionale innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, con esclusione della possibilità di proporre ricorso straordinario al Capo dello Stato.

L’eccezione è priva di fondamento.

La controversia oggetto del presente giudizio non concerne una procedura di affidamento di pubblici lavori, ma riguarda esclusivamente atti inquadrabili nel procedimento attinente all’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica.

Una procedura di affidamento vi è stata, ma si è conclusa con l’aggiudicazione definitiva della concessione in favore dell’odierna controinteressata.

La portata delle previsioni di cui agli artt. 119, 1° comma, lett. a) e 120, 1° comma, c.p.a., che fanno riferimento a procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture, non può essere dilatata al punto da ricomprendervi anche ogni fatto giuridicamente rilevante conseguente all’affidamento, essendo chiaro, anche in base alla ratio legis, che le norme intendono riferirsi esclusivamente ai procedimenti finalizzati all’affidamento e non ad altre attività successive all’affidamento stesso.

Deve, pertanto, considerarsi ammissibile la proposizione di ricorso straordinario avverso l’atto oggetto del presente giudizio, con conseguente possibilità di trasposizione innanzi all’organo giurisdizionale.

Né maggior consistenza ha, invero, l’ulteriore rilievo della controinteressata, volto ad affermare la riconducibilità della fattispecie alle procedure di occupazione e di espropriazione di aree per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, con conseguente dimezzamento dei termini processuali. Il rilievo è stato avanzato al fine di superare l’eccezione dell’associazione ricorrente volta rimarcare la tardività della produzione di una relazione tecnica di parte in ordine all’utilizzo del modello matematico, avvenuta oltre il termine dei quaranta giorni precedenti l’udienza,

Il fatto che l’approvazione di un progetto definitivo di opera pubblica possa implicare dichiarazione di pubblica utilità non comporta che, in ogni caso, debba procedersi all’acquisizione di beni di proprietà dei privati.

D’altra parte, se anche, in ipotesi, siano previsti atti ablativi dell’altrui proprietà, ciò non determina l’attrazione di ogni possibile controversia nell’area delle espropriazioni, a prescindere dall’oggetto della stessa.

In conseguenza, deve disporsi lo stralcio dagli atti di causa della relazione tecnica, prodotta l’8 aprile 2013, oltre il termine sopra indicato.

3. Altra eccezione delle parti resistenti attiene all’autonoma impugnabilità del decreto con cui è stata dichiarata la compatibilità ambientale dell’opera di cui si tratta.

Si sostiene che la valutazione attinente all’impatto ambientale ha una valenza unicamente endoprocedimentale, con la conseguenza che le relative determinazioni possono essere oggetto di censura solo in sede di impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento.

L’eccezione è infondata.

Le procedure di V.I.A. si inseriscono all’interno del procedimento di realizzazione di un’opera o di un intervento, ma sono pur sempre dotate di autonomia. Esse, infatti, sono dirette a tutelare un interesse di carattere generale quale quello attinente all’ambiente. La relativa valutazione ha carattere di definitività ed è già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori e, segnatamente, da parte delle associazioni aventi tra i propri scopi la tutela ambientale (ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 15 marzo 2013 n. 713; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 4 giugno 2012 n. 1177).

Il carattere di autonomia del procedimento in questione e l’immediata impugnabilità del provvedimento conclusivo di esso è, del resto, oggi agevolmente desumibile dal disposto dell’art. 27 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che prevede che “Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale è pubblicato per estratto, con indicazione dell’opera, dell’esito del provvedimento e dei luoghi ove lo stesso potrà essere consultato nella sua interezza, a cura del proponente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana per i progetti di competenza statale ovvero nel Bollettino Ufficiale della regione, per i progetti di rispettiva competenza. Dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ovvero dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della regione decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte di soggetti interessati”.

4. Come anticipato nell’esposizione in fatto, dopo il passaggio in decisione della causa è stata adottata ordinanza n. 631 del 30 maggio 2013, con la quale è stato sollecitato il contradditorio delle parti, mediante il deposito di memorie, su una questione rilevata d’ufficio, attinente all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, a causa della possibile qualificazione del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi quale atto endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile ed alla correlata necessità di sottoporre ad impugnazione il provvedimento finale dell’opera sottoposta a VIA, esibito dalla difesa del Comune di Scalea. Questione che coinvolge anche la connessa problematica riguardante le conseguenze dell’eventuale inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sull’ammissibilità o procedibilità del ricorso introduttivo avente ad oggetto il decreto di compatibilità ambientale.

Ciò in base al disposto dell’art. 73, 3° comma, c.p.a., che, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 101 c.p.c., nel testo novellato dalla legge n. 69/2009, prevede che: “Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie”.

La problematica attiene all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, che è teso ad impugnare il verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi, volta ad acquisire gli atti di assenso da parte delle amministrazioni cui è affidata la cura dei vari interessi coinvolti dalla costruzione dell’opera in questione.

L’art. 14 ter della legge n. 241/1990, al comma 6 bis prevede che “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza...”.

Risulta dalla norma ora richiamate che all’esito della conferenza di servizi l’amministrazione procedente - nel caso di specie il Comune di Scalea - deve adottare una determinazione motivata sulla base delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza di servizi, che sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso di competenza delle amministrazioni partecipanti ovvero invitate a partecipare ma risultate assenti.

Si è detto che il 3 gennaio 2012 ha avuto luogo la seduta conclusiva della conferenza di servizi per l’approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico e che il relativo verbale è stato impugnato da parte di Italia Nostra Onlus, mediante ricorso per motivi aggiunti.

Il problema che si pone è se il verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi possa costituire oggetto di impugnazione ovvero se il gravame debba essere necessariamente diretto avverso la successiva determinazione, assunta con atto in data 22 maggio 2012, pubblicato ai sensi del comma 10 dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990.

L’associazione ricorrente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 73, 3° comma, c.p.a., ha evidenziato che il carattere meramente endoprocedimentale del verbale della conferenza di servizi deve essere negato a seguito dell’abrogazione del comma 9 dell’art. 14 ter, che prevedeva l’adozione di un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva, dando luogo ad una struttura dicotomica dell’istituto della conferenza di servizi.

In sostanza, secondo l’associazione ricorrente, essendo venuta meno la necessità di adottare un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva, l’impugnazione dovrebbe essere diretta avverso il verbale conclusivo, che avrebbe perso il carattere endoprocedimentale.

Osserva il Collegio che la conferenza di servizi in precedenza era caratterizzata da una struttura “dicotomica”, in quanto la fase conclusiva era articolata in due fasi: una prima, consistente nella determinazione conclusiva della conferenza e una seconda coincidente con l’adozione del provvedimento finale da parte dell’autorità procedente.

La giurisprudenza si è pronunciata in diverse occasioni sul rapporto tra la prima e la seconda fase, con riferimento, in particolare, al quesito se riconoscere valenza lesiva già all’atto conclusivo della prima fase, con conseguente onere di immediata impugnazione o se collegare tale effetto solo al provvedimento finale.

Nel periodo precedente all’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005 n. 15 e in base all’assetto delineato dalla legge sul procedimento amministrativo, nel testo novellato dalla legge 24 gennaio 2000 n. 340, si era affermato il carattere immediatamente lesivo della determinazione conclusiva della conferenza di servizi. Questo sulla base del disposto del comma 2 dell’art. 14 quater della legge n. 241/90 che, nel disciplinare l’ipotesi del dissenso espresso in sede di conferenza, prevedeva espressamente che la determinazione conclusiva avesse un carattere immediatamente esecutivo, nonché del disposto del comma 7 dell’art. 14 ter della stessa legge, secondo cui la determinazione conclusiva della conferenza era immediatamente impugnabile da parte dell'amministrazione dissenziente.

Con l’entrata in vigore della legge n. 15/2005, il quadro normativo è risultato profondamente modificato e la giurisprudenza ha dovuto prendere atto di significative novità. Innanzi tutto, l’esplicita abrogazione della previsione normativa di cui al comma 2 dell’art. 14 quater della legge n. 241/90, concernente il carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei lavori della conferenza. Tale abrogazione sarebbe significativa di “una piana voluntas legis volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della suddetta determinazione” (Cons. St., sez. VI, 11 novembre 2008, n. 5620). Altro elemento rilevante l’abrogazione della previsione che consentiva alle amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente e immediatamente la determinazione conclusiva della conferenza di servizi (comma 7 dell’art. 14 ter). Infine, soprattutto, il nuovo comma 9 dell’art. 14 ter, che rimetteva all’amministrazione procedente il compito di emettere un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis dello stesso articolo, nel quale essa doveva tenere conto delle posizioni prevalenti, e non quantitativamente maggioritarie, espresse in sede di conferenza di servizi.

Alla luce della modifica introdotta a livello normativo il provvedimento finale è stato considerato come espressione di un autonomo potere rimesso all’autorità procedente, non legato da un nesso di presupposizione/consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza e, quindi, non soggetto ad un effetto caducatorio automatico derivante dall’eventuale invalidità delle determinazioni assunte in sede di conferenza (Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2011222 n. 712).

Da qui la configurazione di una struttura dicotomica dell’istituto in questione, per la quale il provvedimento finale non assume una valenza meramente riepilogativa e dichiarativa delle determinazioni assunte in sede di conferenza, ma costituisce autonomo momento costitutivo delle determinazioni conclusive del procedimento.

La giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore, nel delineare la struttura bifasica cui si è fatto riferimento, ha inteso far sì che, all’esito dei lavori, debba sopraggiungere pur sempre un provvedimento conclusivo di competenza dell’autorità procedente, destinato ad assumere una valenza esoprocedimentale ed esterna, nonché un effetto determinativo della fattispecie e incidente sulle situazioni degli interessati.

Il tessuto normativo ha subito ulteriori modifiche a seguito delle modificazioni introdotte in materia dall’art. 49 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010 n. 122.

Il comma 9 dell’art. 14 ter, come si è detto, configurava l’atto finale del procedimento come un provvedimento necessariamente conforme alla determinazione di conclusione della conferenza di cui al comma 6 bis..

Tale comma è stato abrogato dal d.l. n.78/2010, di talché la determinazione finale rappresenta il momento terminale della conferenza e assume, in conseguenza, valenza provvedimentale e autonoma potenzialità lesiva di posizioni giuridiche soggettive ed è suscettibile, quindi, di immediata impugnazione. Tanto è vero che il comma 6 bis dell’art. 14 ter, nel testo riformulato, assegna ora alla determinazione motivata di conclusione del procedimento il ruolo di sostituire, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti.

È alla luce di tale quadro normativo che va valutata la problematica affrontata in questa sede, attinente al ruolo da assegnare alla determinazione n. 27/LP del 22 maggio 2012 del Responsabile del Servizio Lavori Pubblici del Comune di Scalea e alla necessità di impugnare tale atto in luogo del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi, gravata dall’associazione ricorrente con motivi aggiunti.

Ritiene il Collegio che la configurazione di tale determinazione quale unico atto aggredibile in sede giudiziaria implicherebbe un sostanziale ritorno ad una struttura bifasica del modulo procedimentale in questione, che risulterebbe, tuttavia, in contrasto con l’attuale assetto normativo quale delineato dalle modifiche intervenute nel 2010, che, con l’abrogazione del comma 9 dell’art. 14 ter, ha esplicitamente escluso un’autonoma fattispecie provvedimentale successiva alla conclusione della conferenza di servizi.

Pur dovendosi rilevare uno scarso coordinamento fra norme quali risultanti a seguito della novella del 2010, che determina, indubbiamente, non pochi dubbi a livello interpretativo, la conclusione cui sembra potersi giungere è che la determinazione in questione ha una funzione meramente riepilogativa dell’andamento del procedimento relativo all’approvazione del progetto definitivo ed è finalizzata essenzialmente alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e sugli organi di stampa, così come previsto dal comma 10 dell’art. 14 ter.

Che le cose stiano in questi termini è confermato dal fatto che già nel verbale della conferenza di servizi, impugnato con motivi aggiunti, si specifica che alla luce dei pareri espressi si chiude favorevolmente la conferenza di servizi e si approva il progetto definitivo del porto turistico. D’altra parte, la determina n. 27 del 22 maggio 2012, come sottolinea l’associazione ricorrente, si limita ad effettuare una ricostruzione del procedimento e a dare atto della necessità di procedere alle forme di pubblicazione previste dalla legge.

Il Collegio, pertanto, ritiene che l’atto oggetto di impugnazione con motivi aggiunti possa assumere il ruolo di elemento determinativo della fattispecie, incidente sulle situazioni giuridiche degli interessati.

5. La controinteressata ha sollevato un’ulteriore eccezione, relativa alla mancata notificazione del ricorso per motivi aggiunti a tutti i soggetti che hanno preso parte alla conferenza e hanno concorso all’emanazione degli atti gravati.

L’eccezione non ha fondamento.

Il principio espresso dalla giurisprudenza è che il gravame deve essere notificato, non a tutti i soggetti che hanno partecipato alla conferenza, ma alle Amministrazioni che, nell’ambito della conferenza, hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare autonomamente, se gli stessi fossero stati adottati al di fuori del peculiare modulo procedimentale in esame (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 12 marzo 2013 n. 1406).

Nel caso di specie le censure non sono dirette a contestare il contenuto di atti di amministrazioni intervenute nella conferenza, diverse da quelle già evocate in giudizio, giacché, per converso, tali atti sono richiamati, sotto più aspetti, a sostegno delle tesi di parte ricorrente. Non si tratta, quindi, di atti che la parte avrebbe avuto onere di impugnare se assunti al di fuori del modulo procedimentale della conferenza di servizi.

6. Passando all’esame del merito, deve partirsi dal primo motivo di ricorso, con il quel l’associazione ricorrente deduce i vizi di eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità di presupposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, 22, comma 3, 26, commi 1 e 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e dell’art. 97 Cost.

Le argomentazioni della ricorrente sono volte, sostanzialmente, ad affermare che il provvedimento della Regione Calabria relativo alla compatibilità ambientale dell’opera è intervenuto in assenza di alcuni degli elementi indispensabili ai fini di un’adeguata istruttoria.

La rilevata carenza istruttoria discenderebbe, innanzi tutto, dalla profonda differenza tra il progetto definitivo approntato dalla concessionaria, in relazione al quale è intervenuta la valutazione di impatto ambientale, e il progetto di porto in relazione al quale erano stati effettuati gli studi da parte del tecnico incaricato dal Comune di Scalea ed era stato elaborato il modello matematico relativo agli effetti sulla costa della costruzione dell’opera.

Il progetto iniziale, sottolinea la ricorrente, era quello di un porto a moli convergenti, con una capienza di 320 posti barca, mentre quello delineato nel progetto della concessionaria è un porto a bacino interno con 510 posti barca e diga foranea di 300 metri. Aggiunge che sul progetto di porto a moli convergenti di minore capienza sono stati predisposti dal consulente prof. De Girolamo la relazione illustrativa, lo studio meteomarino, lo studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e lo studio dell’inserimento ambientale paesaggistico e che l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, nel parere reso in data 14 marzo 2003 sul progetto preliminare a moli convergenti, ha suggerito di supportare i successivi affinamenti del progetto mediante adeguato modello fisico in scala adeguata (c.d. prova in vasca). Ciò proprio al fine di rilevare le interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere.

La stessa ricorrente soggiunge che la prescrizione di effettuare la prova in vasca, ribadita nel 2009 dall’ Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime, non è stata eseguite dall’ATI CEM, ai fini della redazione del progetto definitivo.

Il progetto sottoposto al Nucleo VIA non terrebbe in considerazione la prescrizione dell’Autorità di Bacino della Regione Calabria che ha imposto la deviazione a nord della darsena di un altro canale parallelo al Tirello, denominato Sallegrino (o Sellerino). La valutazione di compatibilità sarebbe stata espressa senza tenere conto di tale aspetto.

Quanto sopra, implicherebbe, innanzi tutto. il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria, in quanto il Nucleo VIA della Regione Calabria si sarebbe pronunciato in assenza dei dati per valutare gli aspetti più importanti dell’impatto ambientale correlato alla costruzione del porto, quali la variante progettuale per deviare il Sallegrino, uno studio matematico predisposto in relazione alle soluzioni di cui al progetto definitivo e la prova in vasca. Importerebbe anche la violazione dell’art. 26, comma 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che dispone che “il provvedimento contiene le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti”.

Le censure succintamente richiamate sono fondate.

È incontroverso che gli studi predisposti dal Prof. De Girolamo, tecnico incaricato dal Comune di Scalea, riguardano il progetto di un porto a moli convergenti con 320 posti barca. Si tratta, in particolare, dello studio meteomarino, dello studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e dello studio dell’inserimento ambientale paesaggistico.

Risulta, altresì, che non sono stati elaborati studi del genere rispetto al porto di cui al progetto definitivo e che non è stato approntato alcun modello fisico, né in relazione al porto di cui al primo progetto, né in relazione al porto di cui al progetto definitivo.

Osserva il Collegio che non può dubitarsi che gli studi effettuati hanno riguardato il progetto di un porto del tutto diverso rispetto a quello delineato nel progetto definitivo, sia dal punto di vista della tipologia che dal punto di vista delle dimensioni. Un porto a moli convergenti con 320 posti barca il primo, un porto a bacino con diga foranea e con 510 posti barca il secondo.

È un dato di comune esperienza che, tra le problematiche più rilevanti che devono essere affrontate nella elaborazione di un progetto di porto, vi sono quelle relative all’impatto delle opere portuali sulla dinamica delle coste, al fine di evitare fenomeni quale quello di interrimento. Tale impatto deve costituire oggetto di approfondito studio, da condurre in parallelo con altri studi attinenti anche all’ambiente meteomarino.

È, ugualmente, un dato di comune esperienza, rispondente, peraltro, a un criterio logico, che lo studio dell’impatto dell’opera sulle coste non può essere condotto, per così dire, in astratto, rispetto a opere portuali in qualunque modo eseguite, ma deve essere elaborato con riferimento ad un progetto di porto, con determinate caratteristiche, dal punto di vista della tipologia e delle dimensioni.

Alla luce di ciò appare esatto quanto affermato dall’associazione ricorrente, che rimarca che il parere di compatibilità ambientale è stato reso in assenza di uno degli elementi più rilevanti nell’ambito della valutazione da compiere a cura del Nucleo di valutazione, vale a dire lo studio sull’influenza dell’opera da realizzare sull’ambiente costiero. Il Nucleo, infatti, si è pronunciato sul progetto senza disporre di quel minimo di dati necessari per esprimere una valutazione in ordine agli aspetti ora richiamati. Gli unici dati disponibili erano quelli desumibili dagli studi e dal modello matematico elaborati in relazione al porto a moli convergenti, che, per quanto detto, non erano utilizzabili rispetto al diverso progetto di porto a bacino con 510 posti barca.

È esatto quanto rileva il Comune a proposito del fatto che la valutazione favorevole di impatto ambientale non implica l’assenza di qualsiasi impatto sull’ambiente; ma è anche esatto che per esprimere una valutazione è necessario disporre dei dati essenziali e, nel caso di specie, dei dati relativi all’impatto sull’ambiente costiero.

Non può valere a rimediare l’evidente carenza istruttoria il fatto che nel parere si specifichi che “al fine di determinare il reale impatto delle opere di progetto sulla dinamica costiera, dovrà essere sviluppato, a supporto del modello matematico utilizzato in fase progettuale, un adeguato modello fisico che permetta di rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere stesse”.

Questo in quanto, innanzi tutto, si fa riferimento ad un modello matematico non utilizzabile poiché riguardante un diverso progetto. D’altra parte, non appare ammissibile che, in sede di valutazione di impatto ambientale, si rinvii la determinazione del reale impatto dell’opera ad un momento successivo alla realizzazione di un adeguato modello fisico.

Come osserva l’associazione ricorrente, l’art. 26 del d.lgs. n. 152/2006 prevede che il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale deve contenere le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti e deve, pertanto, fissare tutte le condizioni inerenti alle modalità di attuazione del progetto, senza possibilità di rimandare a successive operazioni l’acquisizione di dati che tali condizioni servono a fissare, soprattutto allorché, come nel caso di specie, si tratti di dati di importanza basilare.

Ritiene, quindi, il Collegio che sussista anche la violazione della norma ora richiamata

Ugualmente fondati i rilievi della ricorrente relativi al fatto che il progetto su cui si è espresso il Nucleo Via non contempla la deviazione del canale Sallegrino (o Sellerino), pure imposta dall’Autorità di bacino della Regione Calabria. Il relativo parere è stato reso, quindi, in relazione a un progetto diverso rispetto a quello da realizzare, che non prevede un’opera importante sotto il profilo ambientale, quale la deviazione di un canale.

Anche sotto questo aspetto, il provvedimento impugnato risulta affetto dai vizi sopra individuati.

Ne discende l’illegittimità del decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 del Dirigente Generale della Regione Calabria, oggetto di impugnazione con il ricorso introduttivo, che deve essere, pertanto, annullato.

 

Considerato il carattere assorbente delle censure esaminate può prescindersi dall’esame delle ulteriori censure mosse avverso tale provvedimento.

7. Con motivi aggiunti parte ricorrente ha esteso l’impugnazione al verbale del 3 gennaio 2012 relativo alla seduta conclusiva della conferenza di servizi, con il quale l’Amministrazione procedente ha sancito la chiusura favorevole della conferenza di servizi, disponendo l’approvazione del progetto definitivo.

Dell’autonoma impugnabilità di tale atto si è detto in precedenza.

Ritiene, innanzi tutto, il Collegio che la valutazione impatto ambientale assuma un ruolo tale nell’ambito del procedimento di approvazione del progetto definitivo, che eventuali illegittimità che affliggano il relativo provvedimento siano destinate a riflettersi in via automatica sui successivi atti.

Ma, al di là di questo aspetto, risulta comunque fondata, come già rilevato in sede di ordinanza cautelare, la censura, di cui al primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con la quale si rileva che, in violazione dell’art. 14 bis della legge n. 241/1990 e degli artt. 3, comma 2 e 5 comma 2 lett. f) del DPR n. 509/1997, l’Agenzia del Demanio non è stata posta in condizione di esplicare un’effettiva partecipazione al procedimento.

Risulta dagli atti che l’Agenzia ha rimarcato di non potersi esprimere sul progetto definitivo, in quanto l’invio di esso non è stato preceduto dall’invio del progetto preliminare.

La norma che viene in considerazione è quella di cui al comma 3 dell’art. 5 del DPR n. 509/1997, che dispone che le domande di concessione, complete degli allegati, sono inviate agli enti invitati alla conferenza almeno novanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l’espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze. Ed è questo l’adempimento di cui l’Agenzia ha lamentato l’omissione, facendo presente di non potere esprimere parere sul progetto definitivo, senza avere esaminato i precedenti atti del procedimento.

Il fatto, rimarcato dalle parti resistenti, che oggi è lo stesso Comune a rilasciare la concessione è ininfluente, giacché, come si desume dalla nota del 29 dicembre 2011 del Direttore della Filiale della Calabria dell’Agenzia del Demanio, ciò che è mancato è stato l’invio del progetto preliminare alla stessa Filiale, che in conseguenza non ha potuto esprimersi su di esso, nonostante l’espressa previsione normativa.

L’inosservanza della norma richiamata determina l’illegittimità dell’atto impugnato con motivi aggiunti, che deve essere, pertanto, annullato. Restano assorbiti i motivi non esaminati.

8. In conclusione il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti sono fondati e devono essere accolti, con conseguente annullamento degli atti con gli stessi impugnati.

La complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) accoglie il ricorso e i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Redazione TirrenoNews

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