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amantea lungomare amanteaPenso sia giunto il momento di ricordare all’Amministrazione comunale di Amantea di rendere esecutivo ciò che il Consiglio di Stato ha stabilito parecchi mesi fa, attraverso una sentenza inappellabile, di restituire al Demanio e dunque alla fruizione di tutti un bene comune che era stato sottratto e abusato in Via Coreca. “Art.1161 cod. nav.: occupazioni abusive e innovazioni abusive su beni demaniali La norma dell’art. 1161 cod. nav., , sanziona con le medesime pene non solo la condotta di chi abusivamente occupi un bene demaniale, ma anche quella di chi, privo di autorizzazione, realizzi delle innovazioni su di un bene demaniale. “

Il bene comune può essere caratterizzato da due definizioni. Una è la 'non rivalità,' il che significa che il godimento di una persona di un bene non diminuisce la capacità di altre persone di godere dello stesso bene. L'altra è la 'non-escludibilità,' il che significa che alle persone non può essere impedito di godere dello stesso bene.

La qualità dell'aria è un importante esempio ambientale di un bene comune. In molte circostanze, il respirare dell’aria fresca di una persona non riduce la qualità dell'aria per gli altri; e alla gente non può essere impedito di respirare l'aria. Il bene comune è definito tale in contrasto con il bene privato, che è, per definizione, sia rivale che escludibile.

Un panino è un bene privato, perché mangiare un panino di una persona diminuisce chiaramente il suo valore per qualcun altro, e il panino è tipicamente escludibile a tutti gli individui non disposti a pagare. (Da questo scenario, naturalmente, emerge il proverbiale “nessun pranzo gratis”). Molte risorse ambientali sono caratterizzate come beni comuni, tra cui la qualità dell'acqua, lo spazio aperto, la biodiversità, e un clima stabile.

Questi esempi si affiancano ai classici beni comuni come le torri dei fari, la difesa nazionale, e la conoscenza. In alcuni casi, tuttavia, è ragionevole chiedersi se le risorse ambientali sono beni comuni in senso completamente puro. Con gli spazi aperti, ad esempio, la congestione tra coloro che ne godono può causare un certo grado di rivalità, e non tutti gli spazi aperti sono accessibili a tutti.

Tuttavia, molte risorse ambientali si avvicinano molto alla definizione di puro bene comune, e anche quando non è precisamente così, (più vicino ad un impuro bene pubblico), il concetto di base è utile per capire le cause di molti problemi ambientali e potenziali soluzioni.

Va precisato che l’attribuzione a privati di beni pubblici è sempre riconducibile alla figura della concessione-contratto, dal momento che il godimento di beni pubblici può essere, tenuta ferma la loro destinazione pubblica, legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall’ente titolare solo mediante concessione amministrativa.

Non è più possibile l’identificazione dei beni oggetti di proprietà pubblica con quelli di proprietà privata di chi fisicamente governa: la proprietà dello Stato persegue fini pubblici, non scopi personali.

Gigino A Pellegrini & Gel Tarik

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fitoioo88Forse, ancora una volta, non è il caso di piangere sterilmente, quanto piuttosto di ritentare, di nuovo, la ricerca delle cause del flagello che si abbatte sulla nostra cittadina ogni qualvolta si rinnova l’amministrazione comunale.

. Amare la propria terra è comunemente il sentimento più ancestrale e originario dell’umanità. La terra in cui si è nati significa essere dotata di radici, linfa, storia, educazione, valori, cultura, affetti, relazioni, lavoro e sacrifici, lingua. È il terreno fertile su cui germoglia prima, cresce e fiorisce l’albero della vita, che può essere sradicato solo da uragani, dallo stesso uomo o dal taglio che lo recide. Ma anche in questi casi l’albero rivela le sue origini perché finisce col generare altri frutti il cui pregio deriva proprio dalla terra in cui è nato.

“E subito sbarcato in quel terreno, abbracciandolo quasi con affetto per memoria degli antichi nostri padri, colsi alla riva del mare una di quelle brecce che la riserbo ancora per memoria” Lettera da Costantinopoli di Pietro della Valle all’amico calabrese nonché zio del pittore Mattia Preti, Mario Schipano.

Uno strano torpore si impossessa della mia persona all’alba di un nuovo giorno invernale. Nella nebbia del primo mattino, tutto ciò che riesco a vedere è una striscia argentata sull'acqua: niente alberi, niente isola, niente barche. Scendo dalle rocce bagnate fino al bordo della rientranza e tiro la corda. La puleggia scricchiola e Zuby II rimbalza sugli scogli.

Dopo un po’, la prua della mia piccola barca danese solca il grande Mare nella nebbia, scintillante di rugiada. La tiro quasi a riva, sgancio la cima, mi calo nell'inevitabile pozzanghera sul sedile, vado adagio verso il largo e dolcemente scompaio nella nebbia che ammanta l’Ulisse. Le persone che amo giacciono nei caldi sacchi a pelo nelle loro tende sulla spiaggia, ascoltando il rumore del mio fuoribordo che si allontana.

Non si potrebbe non amare la propria terra. Ed io, come molti amo questa terra e questa cittadina che mi ha visto andar via parecchi anni orsono. Da circa 10 anni passo gran parte del tempo qui e ciò che pensavo impossibile si è materializzato davanti ai miei occhi e davanti alle mie orecchie.

Sono uscito per osservare, dal minuscolo cabinato di Zuby II, la nebbia che si alzava sullo Stromboli e per pensare a cosa significa amare un posto. Mia figlia Lorenza era lontana, presso la Scuola di Giornalismo di Urbino. Al cellulare, voleva sapere come le isole modificano il mare e come la vita marina modella la costa un po’ boscosa – alberi caduti nell’insenatura per dare rifugio a gamberetti, piccoli saraghi e qualche branzino – tutte connessioni belle e complicate che hanno fatto fiorire la vita sulla costa tirrenica della Calabria, nel tempo. Questo è quello che volevo capire anch’io ritornando a viverci. Capire l’amore per le persone e l’amore per i luoghi che si nutrono a vicenda e sostengono tutti noi.

C’è gente e non è poca che non ama la propria terra. Amano altre cose, aliene e alienanti, addirittura sporche. E a tanti, quasi a tutti, non resta che il sentimento drammatico, quando non tragico, di quell’inesauribile amore, la disperazione di amare, di voler restare, ma di voler nello stesso tempo fuggire: “Iativinni”! (Andatevene) gridava, un giorno di tanti anni fa in piazza Commercio quello che da lì a poco sarebbe diventato il sindaco democristiano di Amantea. “Iativinni!”, gridava ai giovani come me che andavano per le strade a cantare l’Internazionale comunista.

E da qui, da questo Sud, di nuovo oggi, si ricomincia a sentire quel lontano grido dello Sparaballe che invoglia le nuove generazioni ad andarsene da queste antiche mura e da questo mare che ha visto l’Eroe di Itaca navigare, come racconta il divino Omero.

Non molto tempo fa, leggendo distrattamente Repubblica, dalla rubrica del perbenista Corrado Augias, lo stesso giornalista e autore televisivo, rispondendo a dei lettori, proprio sul degrado meridionale, scriveva: “Il capolinea non esiste, il fondo non si tocca mai. Si continua a scendere. Pochi giorni fa, quasi nel centro di Napoli, la polizia che cercava di arrestare due rapinatori è stata assaltata dalla folla. E’ l’ennesimo episodio, destinato a ripetersi, di una Napoli dove il concetto di legalità è stato accantonato. E non da oggi”.

Sembra, allora, pressoché inutile che dai vari pulpiti si critichi il malgoverno di questa mia bistrattata Amantea e degli altri paesi calabresi e si denuncino gli atti che rasentano l’illegalità. Sembrerebbe inutile, allora, nutrire desideri e lottare.

Una amica di mia figlia qualche estate fa, un giorno mi chiedeva il perché di tanto degrado, di tanta immondizia, di tanta incapacità delle persone di migliorare la propria terra, poi tante di queste stesse persone, emigrando, diverranno probabilmente grandi professionisti e uomini illustri. Già, perché?

Credo che proprio in questa domanda si annida il “segreto di Pulcinella” Penso sia necessario porsi almeno altre due domande, e cioè: cos’è una società moderna? E che cosa ha impedito a questo paese di evolversi? Una breve analisi, breve per necessità di spazio e perché si fa conto che tutti conoscano la nostra storia, potrà forse rintracciare delle risposte plausibili, e forse anche offrire delle ipotesi di soluzione. Soluzioni semplici come accendere le luci sotto i passi ferroviari che immettono sul degradato lungomare che dopo le cinque di sera resta al buio, mi dicono per esigenze di risparmio energetico e per rientrare dagli ultimi incrementi di salario della Giunta Amministrativa e dalle spese degli appena assunti nuovi consulenti, che non permettono di vedere, quando cala la sera, le opere pittoriche rappresentate sulle pareti dei sottopassi ferroviari.

Scrivo di queste apparentemente “sciocchezze” forse per evitare di capire veramente ciò che non ha consentito, e in gran parte non consente neanche oggi, la nascita di una classe dirigente meno mariuola . E si sa che quando manca una simile classe, contestualmente viene a mancare una forma di benessere diffuso e non egoisticamente truffaldino e prepotente.

Una tale situazione ha riproposto negli ultimi 40 anni una classe politica faccendiera impegnata a creare problemi alla cittadinanza, invece di risolverli.

Una classe politica incapace di pensare a modelli sociali e di sviluppo che non siano, appunto, faccendieri e clientelari. Tant’è che non è per niente vero che nel Sud non esista lo Stato o che lo Stato sia latitante. Al contrario, vi è fin troppo Stato: basta guardare ai pletorici, burocratici, dispendiosi, mal funzionanti e inutili organigrammi di tutto il Sud e dei suoi enti locali. Lo Stato nel Sud è il datore di lavoro, sia nelle sue espressioni politiche, sia, e soprattutto, in quelle amministrative. Quello che conviene mettere in atto , agli onesti cittadini, è organizzare una colletta, di quelle che si vedono fare nelle chiese cattoliche, per pagare l’elettricità e accendete le luci in questo e su questa Cittadina che ne ha un urgente bisogno.

Finisco di scrivere pensando che domani domenica andrò con il caro amico Vittorio a vedermi la partita di Calcio dell’Amantea 1927 sempre in trasferta come è successo negli ultimi 12 incontri.

Gigino Adriano Pellegrini & G elTarik

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fumettoProverò a raccontare la strana storia di un uomo maldestro. G soffriva e soffre di una rara malattia genetica autosomica chiamata la “Sindrome di De Clerambault” in psichiatria è un tipo di disturbo delirante in cui il paziente ha la convinzione infondata e ossessiva che un'altra persona provi sentimenti amorosi nei suoi confronti.

Una delle sfortunate conseguenze di questa sindrome è stata la successiva comparsa deformata dell'individuo, che potrebbe portare il Nostro ad una netta sensazione di isolamento. Inoltre, la sindrome i De Clerambault, quasi sempre è stata mal diagnosticata perché presenta una gamma infinita di sintomi, e a volte è stata trattata in maniera inappropriata.

G alla ricerca di una soluzione, concepì un progetto che contemplava un viaggio che gli avrebbe fatto attraversare l'Atlantico e il Pacifico, al fine di costituire un gruppo di sostegno e contribuire a riunire e sensibilizzare scienziati, medici e malati d’Amore come lui.

Durante il viaggio su di una nave mercantile, G ebbe modo di riflettere sull’influenza della malattia sulla propria persona e sulle persone a lui care. "Potrei far fronte ad essa sapendo di essere solo io a soffrirne”, ma rendersi conto che senza volerlo la stessa stava avendo degli effetti negativi anche su altre persone, lo rendeva ancora più triste.

In mancanza di una cura, G decise di aver fiducia in un nuovo trattamento: 'la terapia fotodinamica', in grado, così si diceva in giro, di ostacolare l’oblio a cui questa sua sindrome lo avrebbe portato come ultimo approdo. In realtà la terapia era nata per far fronte alla cheratosi, ma gli era stato detto da varie fonti, che altre applicazioni erano possibili per far fronte alla strana malattia che assillava M.

La terapia sopracitata fa uso di soluzioni chimiche applicate sulle cheratosi e di speciali fonti luminose.   Impiegata anche per altre condizioni dermatologiche (come acne, lesioni da invecchiamento cutaneo e persino lesioni tumorali), si basa su due azioni: quella di sostanze farmacologiche applicate sotto forma di crema e le radiazioni luminose. Insieme sono in grado di produrre una reazione ossidativa a carico delle sole cellule malate permettendone l’eliminazione e la loro progressiva sostituzione con cellule sane. 

G, svegliatosi una mattina molto presto nella propria piccola cabina del mercantile che l’aveva preso a bordo, uscito dalla cabina, si trovò davanti ad una rosa di Natale senza nessun biglietto d’accompagnamento. G non desiderava una rosa a Natale più di quanto potesse desiderare la neve a maggio.

G aveva una predilezione per l’uso intensivo di modelli retorici, il costante ricorso a parallelismi e comparazioni, come strumenti d’indagine e l’impiego di tali artifici stilistici e semantici quali mezzi espressivi. Ciò assunse una funzione critica: “smascherare” l’utilizzo convenzionale di tali caratteristiche formali in stridente contrasto con le forme di espressione dei “veri sentimenti”.

Tutto ciò si dipanò in estrema ed efficace sintesi nella forma, nella struttura di questo suo Amore, che venne scambiato per null'altro che frivolezza; ma allorquando G si rivelò definitivamente in tutta la pienezza dei suoi sentimenti, un altro messaggero gli comunicò la notizia della morte di quel sentimento.

Una volta compresa la sincera natura del sentimento del nobile G , una donna avrebbe potuto metterlo alla prova con un decennio di eremitaggio, alla fine del quale, se il proponimento fosse rimasto immutato, a G sarebbe stato consentito di amare, una volta curato dalla strana sua malattia.

Se G avesse scritto della bellezza degli occhi di una donna, e cantare con nuovi versi tutte le sue grazie, il Futuro si sarebbe pronunciato dicendo che G poeta mente, perché mai un volto ebbe tali sembianze sulla terra.  "Ama chi ti ama, non amare chi ti sfugge. Ama quel cuore che per te si strugge". Questa citazione è molto spesso attribuita a William Shakespeare, ma si tratta di una semplice facezia di un autore sconosciuto. Tuttavia nell'opera del grande drammaturgo inglese “Le allegre comari di Windsor”, esiste una frase molto simile citata da Shakespeare come adagio: "L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue"

L’Amore che porta scompiglio, sconvolgimento, mette sotto sopra la mente quanto il fisico di G, lo affatica e, in alcuni casi, lo arresta in un limbo di impotenza, di morte della ragione, di follia.

Niente di surreale, niente di inventato dagli animi vaganti di poeti d’altri tempi. Amare G o odiarlo, entrambi sarebbero a suo favore. Se lo si amerà, sarà per sempre nel cuore di lei; se lo si odierà, sarà sempre nella sua mente. G avrà sempre un cuore che si agita in petto, che sembra scalpitare ed uscire fuori dalle poche parole scritte su un papiro d’altri tempi, e a distanza di secoli batterà ancora come se un unico sentimento, una comunanza viscerale di sensazioni, tenesse legato tutto il genere umano, poeti e meno poeti.

Il sentimento amoroso e i suoi sintomi, sarà sempre lo stesso. Qualcosa di crudo, reale, che si radica nei sensi e non ha niente di trascendente: fuoco che brucia sotto la pelle, orecchie che ronzano, fronte bagnata di sudore e pallore improvviso.

Gigino A Pellegrini & G elTarik

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