Morire a 26 anni è una tragedia. Eppure ancora in Italia e nel mondo ogni giorno si verificano morti sul lavoro. Siamo costretti a piangerli, a scrivere, a raccontare le loro storie. L’altro giorno è toccata ad una operaia di Pieve di Soligo, nel Trevigiano, che lavorava in una industria alimentare. Si chiamava Anila, aveva 26 anni. Un altro operaio è morto a Ravenna. L’operaio di Ravenna e la 26nne di Pieve di Soligo, come fanno tutti gli operai di questo mondo, si erano alzati presto la mattina per raggiungere in tempo il posto di lavoro. Avevano certamente preparato una tazzina di caffè con la moka. Avevano certamente dato un bacio come si fa prima di andare a lavorare ai propri familiari. Forse si erano fermati un po’ al bar vicino la fabbrica e con gli amici avevano preso un cornetto o e un caffellatte. Avevano discusso dei fatti del giorno, dello sciopero imminente, della iniziativa presa da Salvini e dei dinieghi di Landini, del gol fatto dall’interista De Marco da oltre 50 metri di distanza trovando impreparato il portiere avversario, avevano parlato del tempo atmosferico che cambia continuamente e della alluvione della Toscana. E poi? E poi sono andati incontro alla morte. Morti innocenti, papà, mamme, vecchi e giovani, che hanno lasciato i loro figli, le loro moglie e i loro mariti a casa e non sono più tornati. Sono tornati ma sigillati in una cassa di legno. Alcuni morti soffocati dentro le cisterne che volevano pulire, altri caduti da una impalcatura, altri ancora schiacciati da una lastra di marmo o di acciaio, altri ancora investiti per sbaglio da un compagno mentre faceva marcia indietro col carrello carico, altri che hanno toccato i cavi elettrici e sono stati folgorati dando loro nessuno scampo, altri che vengono colpiti dalle ruspe e infine altri che vengono sommersi dal fango e dalle pietre mentre intenti a pulire un fossato. Ogni mattina nelle nostre fabbriche, nei nostri cantieri, nelle nostre officine muoiono due operai. E’ colpa loro se muoiono? Spesso si è parlato di disattenzione, di fretta, di casualità, di inesperienza. Se fosse davvero così basta mettere operai esperti sui posti di lavoro e si facciano lavorare su dei macchinari pericolosi. Ma tutti i macchinari se non vengono maneggiati con cura sono pericolosissimi. Anyla, la ragazza di 26 anni, non era una sprovveduta, era una lavoratrice esperta. Da tempo lavorava nella fabbrica ed era anche vicedirettrice. Non si sono ancora capite le cause della tragedia che sono ancora in corso di accertamento da parte dei Carabinieri. Come ha fatto a rimanere incastrata con la testa in uno dei macchinari della fabbrica? Morti, morti, tanti morti nel corso dell’anno e centinaia di incidenti gravi e meno gravi sul lavoro. Troppi sono, se ne parla solo per pochi giorni, poi il silenzio. Il posto di lavoro dovrebbe essere un posto sicuro come lo è la nostra casa o come lo sono le scuole che frequentano i nostri figli e i nostri nipoti. Dovrebbe essere il posto più sicuro al mondo. Invece ogni giorno gli operai la mattina si alzano, lasciano le loro abitazioni e nel pomeriggio non fanno più ritorno nelle case. Molte cose evidentemente non vanno per il verso giusto. E’ giunto il momento di rivedere qualcosa, aggiornare, modificare se necessario manutenzione e sicurezza. E più controlli da parte degli ispettori. Aumentare le ispezioni e sanzionare il datore di lavoro che viola i diritti del lavoratore e che ancora usa nelle fabbriche macchinari pericolosi e obsoleti.
