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Mattarella in Corea del Sud dopo 70 anni dall’armistizio fra le due Coree

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zu Ciccio in KoreaIl Presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella è a Seoul, Capitale della Corea del sud, per una visita di stato, accompagnato dalla figlia Laura e da una delegazione italiana guidata dal Viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. Ha visitato Panmunjon, striscia demilitarizzata, luogo dello storico armistizio fra le due Coree. La guerra coreana fu una guerra durissima che terrorizzò il mondo dal 1950 al 1953. Due milioni di morti. Così disse fra l’altro Mattarella:- Qui si è svolta una pagina cruciale della storia-. E in questa pagina c’è scritto anche a lettere cubitali il mio nome: Frank Gagliardi, un semplice soldato italo-americano, venuto dalla Calabria, che ha combattuto in Corea per aver creduto agli ideali di pace, libertà, giustizia e fratellanza tra i popoli. La guerra coreana che si è combattuta intorno al 38° parallelo fino ad allora conosciuto come una linea geografica, divenne anche la mia guerra. E Seoul, Inchon, Pusan, Pyogyang, Panmunjon, divennero nomi famosi ed ancora a distanza di oltre 70 anni di quella triste avventura, mi riempiono il cuore di mestizia. Una guerra strana, senza vincitori né vinti, ancora non c’è neppure un trattato di pace, una guerra che si poteva e si doveva evitare. Ne è valsa davvero la pena combattere questa guerra lasciando morire centinaia di migliaia di giovani da ambo le parti, quando ancora in Europa non si erano rimarginate le ferite procurate dalla seconda guerra mondiale? Ne è valsa la pena distruggere paesi e città, colline senza più un’ombra di un albero? Dopo 16 mesi in Corea, dopo tanti giorni agitati, tristi, pieni di paura e di terrore, finalmente tornai in America. Non sentivo più i fischi delle pallottole ronzare negli occhi, i rumori strani che ti facevano venire la pelle d’oca, la puzza dei sudori e del letame che mi avevano fatto compagnia in tante notti e giorni agitati. Quando arrivai con la nave a Seattle, presi il sacco militare e senza voltarmi indietro salii in fretta la scaletta dell’aereo che mi avrebbe portato a Pittsburgh. Dopo un po’ l’aereo cominciò a rullare sulla pista, si alzò in volo, scomparve in mezzo alle nuvole e anche la Corea scomparve, terra lontana e sconosciuta. Scomparve per sempre e con lei tutti i miei patimenti, le privazioni, i pericoli, le paure, le sofferenze, inghiottite dal nulla, dal niente, dal buio che avevo lasciato dietro di me. Ora sono a casa mia, a Cosenza, in Calabria, terra che amo e che adoro. Però spesso le immagini della guerra mi ritornano nella mente e rivedo davanti ai miei occhi gli amici che mi hanno lasciato, il triste spettacolo di uomini e donne, giovani e vecchi, frugare fra le rovine e le macerie alla ricerca di qualche oggetto domestico, il volto dei ragazzi che ti guardano con occhi impauriti e che pietosamente stendono la mano con la speranza di ricevere qualcosa, gli sguardi avviliti delle ragazze che si vendono per una tavoletta di cioccolato. Ma soprattutto i volti di migliaia e migliaia di soldati, avviliti, stanchi, disfatti, polverosi, infangati, sanguinanti, in marcia lungo le strade o in mezzo alle risaie che andavano verso la morte. E’ possibile dimenticare tutte queste brutture della guerra? L’inferno ora è finito, però porterò con me per sempre vivo il ricordo di questa mia triste avventura. Ho combattuto in una nazione che non conoscevo neppure il nome. Malgrado abbia servito l’America per lunghi tre anni, sedici mesi e due giorni in Corea del Sud, il Governo degli Stati Uniti d’America si è sempre rifiutato di concedermi la pensione e i Presidenti Obama, Trump e Biden non hanno mai risposto alle mie lettere. Non dirò: Godbless America-.

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