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“La solitudine dell’ape”, uno spettacolo da non perdere.

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Riteniamo utile presentare lo spettacolo di domani al Campus con un articolo che invita alla sua fruizione: “Cosa c’è di più dolce del miele? Il miele è da sempre simbolo di un cibo paradisiaco, tant’è che alcuni lo identificano con la famosa ambrosia, il cibo degli dei, o comunque con bevande a base di miele. Non vorrei soffermarmi in questo post a parlare delle infinite qualità di questa meravigliosa sostanza, ma piuttosto di chi lo produce: le api, coloro che “trasportano parole d’amore da un fiore all’altro”, secondo una romantica definizione. E ora che è primavera e si risveglia la natura, è tutto un tenero sbocciare di fiori e un ritorno delle api a impollinare… o per lo meno, dovrebbe essere così, visto che è ciò che accade da sempre.

A gennaio ho avuto occasione di leggere alcuni testi a commento degli “stati generali dell’apicoltura in Italia”, tenutisi a Saluzzo (Cn), e gli studi lì esposti hanno confermato ciò che già da tempo si temeva, ovvero che l’uso di determinate sostanze chimiche in agricoltura, introdotte da una ventina d’anni a questa parte, provoca la morte certa delle api. In quell’occasione fui invitata da un gruppo di amici che fa musica ormai da oltre 20 anni, gli Yo Yo Mundi, ad assistere alla prima assoluta di uno spettacolo che aveva come oggetto proprio le api e la loro salute.

“La solitudine dell’ape”, che prende il titolo da una canzone del penultimo album degli Yo Yo Mundi, Album Rosso, è una rappresentazione teatrale che ha come filo conduttore la vita di Justus Von Liebig (sì, proprio quello dell’estratto di carne e del dado), scienziato tedesco, che ebbe l’idea di “migliorare” l’agricoltura con la chimica, aggiungendo al terreno le sostanze di cui veniva privato dalle varie colture iterate anno dopo anno sul medesimo suolo. Ciò ovviamente favorì anche il moltiplicarsi degli insetti che di quelle colture si nutrivano, avviando così un processo vizioso per cui alla fertilizzazione seguiva poi l’uso dei pesticidi, processo che per altro è giunto pari, pari sino ai nostri giorni.

Lo spettacolo, che nasce da un’idea di Paolo Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi (www.yoyomundi.it) e coinvolge anche lo scrittore Alessandro Hellmann, l’attore Andrea Pierdicca e Federico Canibus, organizzatore e direttore tecnico, è promosso e sostenuto dall’Unaapi (Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani – www.mieliditalia.it).

Durante la rappresentazione, un racconto che dialoga coi brani eseguiti dal gruppo musicale, vengono snocciolati i dati impressionanti che misurano lo stato di salute delle api: 600.000 sono stati, solo nel 2008, gli alveari scomparsi in Italia, cioè oltre la metà di quelli che esistevano. Il killer è ormai chiaro che sia la molecola sistemica dei neonicotinoidi, sostanze usate soprattutto nella coltivazione del mais, che disorienta le api, le rende aggressive, le fa ammalare e poi morire. Queste molecole entrano nella linfa delle piante, nel loro ciclo di vita, avvelenano il terreno, intossicano le falde acquifere, i fiumi e le loro foci, spargendo morte non solo tra le api, ma anche tra altri insetti ed i loro predatori, come le lucciole, le farfalle, le rane, i pipistrelli, tra gli uccelli e infine anche i molluschi. Tutto ciò è l’effetto delle nostre abitudini alimentari e del nostro stile di vita, conseguenze che vengono ben illustrate nello spettacolo.

Le regioni che hanno propugnato la sospensione dell’uso di queste sostanze in Italia sono state nel 2009 il Piemonte e il Friuli, che sono tornati quindi alla rotazione delle coltivazioni per non depauperare la terra, dimostrando così che fare un passo indietro è spesso necessario.

Le api, da sempre considerate simbolo di fedeltà, di costanza, di operosità, di rinuncia all’interesse personale a favore della comunità, rappresentano oggi anche la vita sul nostro pianeta, per cui bisogna tornare ad avere rispetto. Lo spettacolo si conclude con le parole del testamento di Von Liebig, che, pentito dell’introduzione della chimica in agricoltura, scrisse un discorso vaticinante su di un futuro buio per l’uomo, parole che però vennero interpretate come i deliri di un vecchio: “…un giorno l’uomo dimenticherà l’arte di prendersi cura della terra e dei suoi frutti per seguire i consigli di persone ignoranti e miopi che lo convinceranno a riporre le sue speranze in rimedi universali che non esistono in natura… I concimi chimici non sfameranno le bocche di chi ha fame ma renderanno la terra sempre più bisognosa dell’uomo quando invece la terra ha sempre fatto da sé…”.

“La solitudine dell’ape” è uno spettacolo che tutti dovrebbero vedere, che fa pensare e che non posso non consigliare a tutte le persone sensibili ai temi ambientali, ma soprattutto alle scuole che oggi formano gli agricoltori di domani. di Cristina Fracchia

Redazione TirrenoNews

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