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Inchiesta sulle cooperative B del comune. Il GUP accogliendo la richieste dal PM ha rinviato a giudizio i 4 indagati . La prima udienza fra un anno circa, il 16 ottobre 2014.

L’ indagine è stata avviata nel 2012 ed hanno portato alla luce una realtà definita dal Procuratore Granieri "una pagina oscura della città di Cosenza che dura da troppo tempo".

Oggi si scopre che vi è stata: “Un'assoluta carenza e superficialità nei controlli che avrebbero dovuto essere svolti dal Comune di circa la puntuale esecuzione dei servizi affidati alle cooperative”.

Il titolare delle indagini è il sostituto procuratore, Antonio Tridico.

Ora il Gup ha accolto le istanze del PM ed h a rinviato a giudizio quattro indagati:

- Ivan Trinni, 39 anni, presidente di una cooperativa;

-Domenico Plateroti, 54 anni, presidente di una cooperativa

-Mario Massaro, 61 anni, funzionario del Comune di Cosenza eresponsabile del settore “Ambiente, verde pubblico, parchi e Giardini , accusato di falso in atto pubblico, truffa in danno del Comune e corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio mediante la contabilizzazione sistematica da parte dei rappresentanti delle coop di lavori in realtà non eseguiti ( la falsa attestazione della regolare esecuzione senza effettuarne la verifica in loco in cambio di denaro)

- Luigi Sicoli, 38 anni, addetto all'Ufficio manutenzione che predisponeva la documentazione amministrativa e contabile, propedeutica alla successiva liquidazione.

-Stralciata la posizione di Maurizio De Rango, 47 anni, presidente di una cooperativa.

Le accuse contestate sono, a vario titolo, falso, corruzione e tentata estorsione.

Sostengono gli inquirenti che a fronte del costo dei 5 milioni di euro di costo i servizi sono sempre stati inadeguati se non carenti.

Intanto come ebbe modo di chiarire il questore Alfredo Anzalone nella conferenza del maggio scorso , presenti i dirigenti della digos e della squadra mobile, Pietro Gerace e Antonio Miglietta, continua lo stralcio dell’indagine sulle certificazioni antimafia.

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La Forestale all’attacco dei frantoi che inquinano

Ed arrivano i primi due risultati

A Cosenza nella frazione Portapiana il primo risultato

Lo realizzano gli uomini dei Comandi di Dipignano, Mendicino e Rende, coordinati dal Nucleo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di Cosenza (Nipaf).

Gli agenti avrebbero accertato che le acque di vegetazione delle olive venivano sversate illecitamente ed abbandonate in modo incontrollato sul suolo dei terreni a valle del frantoio, provocando così un invaso artificiale in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale.

Da qui il sequestro preventivo del frantoio eseguito dal Corpo forestale che ha conseguentemente deferito all’Autorità Giudiziaria l’autore del presunto reato.

A Mottafollone, sempre il personale del NIPAF in collaborazione con il reparto di San Sosti, dipendente dal CTA di Rotonda (Potenza), è stato accertato un reato ancora più grave.

Grazie ad una valvola di scarico posta sul fondo delle vasche aziendali di raccolta delle acque di vegetazioni, comandata da una specifica chiave di costruzione artigianale, i reflui del frantoio posto in centro abitato sarebbero stati scaricati direttamente nella fognatura pubblica e da qui nel depuratore comunale. Forte il rischio del cattivo funzionamento del depuratore

Anche in questo caso si è reso obbligatorio il sequestro il frantoio, delle vasche di raccolta delle acque e della chiave, ed il deferimento all’autorità giudiziaria dell’autore del presunto reato.

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La notizia è riportata da Il Quotidiano della calabria e subito ripresa da Il Corriere della calabria.

Siamo a Cosenza ed il PM capo Dario Granieri, insieme al PM aggiunto Domenico Airoma ed al sostituto PM Maria Francesca Cerchiara hanno chiuso le indagini connesse al suicidio di Bozzo Alessandro, giornalista cosentino di “Calabria Ora”, morto nella sua casa di Marano Principato, in provincia di Cosenza, nel marzo scorso. 

La notifica dell'atto è stata indirizzata all'editore di Bozzo, Piero Citrigno, accusato violenza privata, secondo l'articolo 610 del codice penale che punisce «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa» ed è stata notifica nella sua abitazione dove Citrigno sconta,agli arresti domiciliari, la condanna definitiva a 4 anni e 10 mesi per usura.

In giornalista, prima di uccidersi, aveva lasciato una lettera, rivolta alla moglie, ai familiari, alla figlia e agli amici che gli erano stati più vicini.

In quelle righe, scritte con grafia minuta e precisa, spiegava di essere stanco della vita, di non avere più una ragione per andare avanti.

Nei giorni successivi alla scomparsa del giornalista, però, erano saltati fuori alcuni diari.

Erano i fogli ai quali Bozzo affidava i suoi pensieri più profondi. Sulla vita e, soprattutto, sul lavoro. Scavando tra le righe, l'inchiesta si è rivolta all'ambiente lavorativo del giornalista e ad alcune vicende che sembravano averlo addolorato molto, come una modifica dello status contrattuale.

Al centro della vicenda c'è un contratto che il giornalista, secondo l'accusa, sarebbe stato costretto a firmare rinunciando a quello del quale beneficiava in precedenza.

A suggerire alla Procura l'ipotesi di reato di violenza privata è anche una sentenza della Corte di Cassazione (sesta sezione penale) del 21 dicembre 2010: in una controversia che vedeva contrapposti un capo officina e un meccanico, i giudici hanno ritenuto che i comportamenti denigratori e vessatori del “capo” eseguiti con continuità nei confronti dei lavoratori possono configurarsi come violenza privata continuata aggravata.

E ora, se dovesse scattare una richiesta di rinvio a giudizio per Citrigno, potrebbero essere i giudici a valutare se questo scenario può essere ipotizzato anche per la morte di Alessandro Bozzo.

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