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Campora San Giovanni: Omero ed il mistero di Temesa

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Esistono nomi cari all’ immaginazione, forse perche' evocano un passato che si confonde con il mito, o forse perche' simboleggiano i sogni e la meraviglia dell’ uomo di fronte all’ ignoto.

 

 

Sono rari e splendidi. Hanno la forza del vento, del mare, della terra e del fuoco.

Sono i nomi dei poeti.

Esistono luoghi un tempo celebri e popolosi, le cui tracce sono state cancellate dall’ incessante fluire del tempo. Di loro resta solo la memoria della parola.

 

Sono i luoghi cantati dai poeti.

Enigmatica e ammaliante e' la storia di Temesa, citta' calabrese dall’illustre passato, misteriosamente svanita. A nulla sono fin qui valsi i tentativi degli archeologi di individuarne il sito, solo ipotesi, e le piu' accreditate parlano della Valle del Savuto, dell’ area circostante Campora.

L’ esordio poetico di Temesa fu regale: l’ Odissea del sacro vate Omero.

Spentisi gli ultimi fragori della guerra di Troia, gli eroi achei avevano fatto ritorno in Grecia, tranne Ulisse, trattenuto nell’ isola di Ogigia dalla ninfa Calipso. Gli dei, allora, nel corso di un animato concilio, decisero che l’ eroe potesse riabbracciare la sua terra e per questo inviarono ad Itaca Atena, con le sembianze di Mente, re dei Tafi, per convincere Telemaco a mettersi in viaggio in cerca del padre. La dea cosi' parlo' al giovane: " Adesso sono approdato ... con la nave e i compagni, navigando sul mare scuro come vino verso genti straniere, verso Temesa, in cerca di rame, e porto ferro fiammante"2

 

I versi omerici, oltre a suggestionarci con la loro singolare forza poetica, ci rivelano che Temesa era famosa per le sue miniere di rame ubicate, secondo Strabone3, vicino alla citta', ed era, nella Calabria protostorica, tra il IX e l’ VIII sec a. C., centro attivo di scambio con il mondo greco e con l’ Oriente fenicio e siro-anatolico.

La citta', fondazione ausonica, il cui nome deriva da una radice semitica e significa "la Fonderia", fu colonizzata, dopo la guerra di Troia, secondo Strabone, dagli Etoli di Toante, o, secondo l’ "oscuro poema" Alessandra di Licofrane4, dai Focidesi figli di Naubolo, entrambi guerrieri greci menzionati da Omero nel Catalogo delle navi5, particolare questo molto significativo perche' permette di collegare la colonizzazione leggendaria di Temesa al patrimonio epico dei "nostoi".

All’ epos omerico, autentico "centro", per il suo carattere enciclopedico, del complesso mondo mitologico greco, si riferiscono anche molti episodi traditi da autori posteriori. E’ il caso, per esempio, della leggenda dell’ eroe di Temesa narrata da Strabone e, con preziosa "curiositas", dal periegeta Pausania6.

In breve i fatti: Polite, compagno di Ulisse, approdato a Temesa, violento' una vergine e fu, percio', lapidato dagli abitanti. Il suo demone si vendico' con tanta ferocia da costringere la popolazione a dedicargli un santuario e a consacrargli, ogni anno, la piu' bella fanciulla. Euthyco di Locri, vincitore per ben tre volte ad Olimpia nelle gare di pugilato, mise fine a questo doloroso tributo, vincendo il demone che "sprofondo' nel mare"

 

Pausania aggiunge nel suo racconto di aver udito la vicenda da un mercante e di aver visto un quadro, copia di uno piu' antico, in cui erano raffigurati Euthymo e il demone, spaventoso, nero e rivestito di una pelle di lupo.

Se procediamo a una lettura stratigrafica del testo, possiamo giungere a stimolanti deduzioni: la circostanza narrata testimonierebbe uno stato di soggezione degli abitanti di Temesa, risolta dall’ intervento di Locri (probabilmente nel 472 a. C., come si puo' evincere dal confronto con il fr. 98 degli Aitia di Callimaco); la storia integra reminiscenze mitiche e religiose: il tipo di condanna cui viene sottoposto Polite, lapidato da vivo e precipitato in mare, poi, come demone, presenta decise analogie con i riti di esecuzione dei Pharmakoi, le vittime espiatorie a cui si dava la caccia, secondo un determinato rituale, prima dell’ uccisione.

Con la ricchezza e la molteplicita' di notizie riguardanti le antiche fasi di Temesa, contrastano la documentazione relativa al periodo romano, poco significativa se si eccettuano i passi di Livio e di Cicerone che ci informano, rispettivamente, della deduzione di una colonia di cittadini romani nel 194 a. C., dopo l’ occupazione di Annibale7, e della devastazione provocata dagli schiavi sfuggiti alla sconfitta dell’ esercito di Spartaco nel 71 a.C.8, e i rari documenti altomedioevali che menzionano la diocesi di Temesa sino alla fine del VII sec d. C.

Da secoli ormai sugli antichi luoghi e' sceso il silenzio, ma a noi "resta quel nulla d’ inesauribile segreto"9: il dono della poesia.

1) Foscolo, Dei sepolcri, vv.279-281

2) Omero, Odissea, I vv.182-184 (Trad. Privitera)

3) Geografia,VI,1,5

4) v.1067 sg.

5) Omero, Iliade, II, v.638 e v.517

6) Periegesi, VI, 6,4-11

7) Livio, Storia di Roma, XXXIV,45

8) Cicerone, Act. In Verrem, sec. V,39 e 41

9) Ungaretti, Il porto sepolto

Ultima modifica il Lunedì, 20 Marzo 2017 00:23
Redazione TirrenoNews

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