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E’ successo a Briatico.

Un giovane migrante sale sul treno.

Ovviamente senza biglietto.

Ed un “becero” capotreno, ligio al suo dovere ( potrebbe anche essere licenziato in caso contrario), gli chiede il biglietto.

Ma, ci chiediamo, perché mai sapendo che in tanti non pagano il biglietto( anche sui pullman e sui tram), continuano a controllarli?

Ed infatti questa “pretesa” porta, poi, a conseguenze poco felici.

I profughi, si arrabbiano e protestano.

Ovviamente il capotreno per non prenderle ha chiamato la Polizia.

Peraltro il giovane non era solo ma in compagnia di alcuni connazionali che, alla richiesta del controllore di esibire il titolo di viaggio, essendone sprovvisti, sono stati fatti scendere dallo stesso capotreno nella stazione del centro costiero vibonese.

La volante giunge sul posto ma mentre i due agenti procedevano alla identificazione, uno dei giovani avrebbe dato in escandescenze e si sarebbe avventato sugli agenti, colpendoli ripetutamente con calci e pugni e procurando loro diverse contusioni.

I poliziotti, successivamente recatisi al Pronto soccorso, hanno riportato contusioni multiple giudicate guaribili in 10 giorni dai sanitari.

Ai due agenti feriti ha inutilmente espresso vicinanza il Sindacato unitario dei lavoratori di Polizia (Siulp) di Vibo Valentia che, attraverso il segretario provinciale Franco Caso, ha espresso «piena solidarietà e senso di vicinanza ai colleghi della volante che ieri pomeriggio sono stati aggrediti e feriti da parte di un cittadino extracomunitario nei pressi della stazione ferroviaria di Briatico»

L’aggressore è stato poi fermato ed identificato e la sua posizione è al vaglio degli investigatori.

Temiamo che anche questo episodio sia presto dimenticato perché ormai l’Italia, ci sembra, sia stata svenduta e, con la scusa della xenofobia e del razzismo, si tolleri ogni comportamento che normalmente ci appariva inaccettabile.

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Castrovillari, 13 ottobre 2017: Grosso ordigno inesploso ritrovato a Palmi

Nei giorni scorsi un grosso ordigno inesploso è stato rinvenuto casualmente a Palmi (RC), durante dei lavori edili.

Nella giornata di ieri con la collaborazione del personale Artificiere dell'11° Reparto Mobile della Polizia di Stato, la munizione è stata stabilizzata e messa in sicurezza.

La granata, dal peso di oltre 55kg dei quali circa 12 di tritolo, lanciata ed inesplosa è stata neutralizzata ieri dagli Artificieri dell'Esercito, dell'11° Reggimento Genio, 2^ Compagnia Guastatori, di Castrovillari (CS), supportati attivamente dal personale del Commissariato della Polizia di Stato di Palmi (RC), con l'assistenza sanitaria della Croce Rossa.

Le operazioni si sono svolte rapidamente, in sicurezza e non sono stati arrecati danni o disturbi alla popolazione, in quanto la zona del brillamento, una cava dismessa in Contrada "Monaca", è stata chiusa solo per il tempo tecnico necessario alla detonazione controllata.

Continua attiva ed incessante l'opera dei Reparti specialistici dell'Esercito Italiano, a favore delle popolazioni e del territorio, di neutralizzazione dei residuati bellici inesplosi, sottolineando la forte sinergia  tra le Forze Armate e il Paese.

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Caridi era finito in manette dopo l’inchiesta “Gotha”

Lo ha deciso il tribunale del Riesame

Secondo il riesame a carico del senatore Antonio Stefano Caridi « gli indizi di colpevolezza che lo inquadrano al servizio della 'ndrangheta unitariamente intesa, con un ruolo di partecipe, dato che egli è consapevole e prende parte ad un più ampio piano criminale ideato da Paolo Romeo, che prevede la collocazione nelle istituzioni di uomini disposti a seguire le sue direttive, sono gravi e concordanti ».

Secondo i giudiciil politico era consapevole di essere parte di un progetto di alta mafia che prevedeva burattini istituzionali obbedienti, «prontamente eliminati dal circuito politico» se avessero deciso di «uscire dal seminato», ma per i quali – si legge nel provvedimento - «si fossero ben comportati era prevista una sicura ascesa politica, come di fatto accaduto nel caso di Caridi, eletto nel 2013 Senatore della Repubblica».

Ma, sempre per i giudici, «l'appoggio elettorale fornito dalle cosche è solo un elemento del più ampio quadro indiziario, che configura perfettamente l'adesione e la partecipazione del ricorrente ad un sodalizio criminale che può essere indifferentemente inteso come quello facente capo alla direzione organizzativa e strategica della cupola, alla 'ndrangheta federata unitariamente intesa, che d'altra parte fanno parte dello stesso insieme criminale».

Ed insistono i giudici dalla fine della seconda guerra di ‘ndrangheta la ‘ndrangheta reggina si è infatti dotata di organismi di vertice in grado di sovrintendere e coordinare le attività di tutti i clan.

E non bisogna essere necessariamente affiliati ad una singola locale per essere considerati degli affiliati a tutti gli effetti.

Questi rapporti sono stati confermati anche da collaboratori di giustizia già da tempo ritenuti attendibili da diversi tribunali come Nino Fiume, Salvatore Aiello, Giovambattista Fracapane, Consolato Villani e persino Giacomo Lauro, che di Caridi dice addirittura che è affiliato al clan De Stefano.

Nonostante l’impegno dei legali del senatore, che hanno fatto di tutto per demolire la figura dei diversi pentiti e rendere inutilizzabili le loro dichiarazioni, le loro parole – tutte riscontrate dalle puntuali indagini del Ros – per il tribunale hanno un peso non indifferente.

Inoltre, – evidenzia il Riesame – il disinvolto atteggiamento di Caridi nel disporre a richiesta di questo o quel compare assunzioni in aziende pubbliche e municipalizzate non ha fatto altro che confermare le parole dei collaboratori.

In una terra piegata dalla disoccupazione, un posto di lavoro serve a cementare un rapporto ancor più di qualsiasi giuramento.

Secondo i giudici , i posti di lavoro nel tempo gestiti dal politico non possono essere letti come un “banale” episodio di malcostume, ma un modus operandi attraverso la strumentalizzazione dei propri incarichi politici», che connota «coscienza volontà di un'azione diretta a consolidare e protrarre il predominio dell'egemonia mafiosa non solo nel territorio reggino, ma anche presso più alti luoghi istituzionali».

E poi – si legge nel provvedimento - «Come se non bastasse al già elevato quadro di gravità indiziaria si aggiungono le dichiarazioni del coindagato Alberto Sarra, che già in sede di interrogatorio di garanzia riferiva che "tolto Paolo Romeo, dal panorama politico reggino le figure come Giuseppe Scopelliti, Umberto Pirilli, Pietro Fuda, Giuseppe Valentino e Antonio Caridi non sarebbero esistite».

Sono solo dei golem – dice Sarra e concordano i giudici- chiamati ad operare sulla base di istruzioni che altri hanno scritto per loro.

Ma adesso che la magistratura ha strappato quel foglietto, hanno smesso di camminare.

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