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Nobilis , Fidelissima rectoribus.

Stamattina nei corridoi del comune si parlava del motto presente nello stemma del comune di Amantea” "Nobilis, Fidelissima Regibus”, contestandone la mancanza di modernità.

In sostanza è come se si contestasse la dicitura SPQR (dal latino Senatvs PopvlvsQve Romanvs - il Senato e il Popolo Romano) rinvenibile sullo stemma della città di Roma.

Inutilmente ho tentato di spiegare che si tratta di un titolo che la città ha guadagnato nel corso della sua storia per aver sostenuto lunghi e memorabili assedi, tra cui quello del 1269, quando restò fedele agli Aragonesi, del 1495, quando si schierò con il re Ferrante e del 1806 quando si oppose alle truppe francesi

I Politici, i massoni ed i ricchi al posto dei re?

Dobbiamo scrivere Nobilis , Fidelissima rectoribus.

E tutto per farlo apparire moderno come apparirebbe se traducessimo "Nobilis, Fidelissima Regibus”, cioè “Nobile, fedelissima ai re” in “Nobilis , Fidelissima rectoribus”, cioè “Nobile, fedelissima ai governanti, ai nuovi re, ai potenti, chi essi siano”.

Politici, massoni, ricchi.

Rectoribus , infatti, non è certamente la cultura come mostra palesemente la grassa ignoranza sulla storia patria di cui siamo pervasi.

Non abbiamo nemmeno una biblioteca con una ricca sezione di storia patria.

E rectoribus non è ancor meno l’amore per il luogo natio, visto lo stato di abbandono del centro storico.

Infatti se Amantea avesse voluto confermare il suo Motto avrebbe perlomeno acquisito ai suoi beni il castello, le cui origini scendono ai Bizantini e si evolsero, nel tempo, ai Normanni, agli angioini, agli svevi, agli aragonesi , agli stessi Borboni.

Parliamo di quel castello e di quella torre civica che oggi sono in mano ai privati ed in pieno stato di abbandono.

E senza dimenticare il Collegio dei Gesuiti, la Chiesa di San Nicola di Myra, eccetera, eccetera, eccetera.

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Ma è emerso tutto?

Abbiamo ricordato la parola dialettale amanteana “ rivuotu” l’11 agosto 2017 nell’articolo “Amantea. Arriva il maltempo. I pescatori temono la completa chiusura del porto” chiedendoci “se il mare si sporcherà, come capita sempre quando il mare è agitato e solleva il “rivuoto” dal fondo”.

Lo riproponiamo evidenziando quanto scrivevamo e cioè che “Il “rivuoto” è ciò che si deposita nel resto dell’anno e che proviene dai fiumi o è portato dal mare: fango, terra, polvere, fosfati, nitrati ed altro”.

Due giorni fa il maltempo ha sollevato dal recente passato il “rivuoto” della precedente amministrazione comunale.

Sono emerse, sia pure parzialmente, forse, vicende che hanno interessato politici, funzionari e personale del comune e diversi cittadini.

Le acque amanteane si sono così sporcate.

Di cosa ancora non si sa bene. Né può essere chiamata l’Arpacal che non ci ha ancora detto di che cosa si era sporcato il Catocastro. E sono passati mesi!

Ed ancora può anche darsi che come quelle del mare, se non ci sarà altro maltempo, le acque si schiariranno e quanto è salito a galla si reimmergerà e scenderà sul fondo, pronto a riemergere, magari, alla prossima mareggiata .

Così come, può darsi, che lo sporco si sposterà verso altri lidi.

Il tempo, poi, è sempre taumaturgico.

Se poi si sia davvero sollevato tutto non è dato sapere.

Mutuando Confucio basta dire : "Raccogli le tue cose, vai sulla riva del mare , siediti e aspetta. Un giorno vedrai se tutto lo sporco è emerso!”.

Insomma basta aspettare la prossima mareggiata.

Ma il reale problema è la scarsa visibilità che si determina in questi casi.

Una visibilità ridotta che impone una navigazione difficile.

Che succederà , ora, alla giunta Pizzino per quanto sia uscita quasi indenne da questa vicenda?

Ci saranno dimissioni?

Le pressioni per entrare nella giunta diventeranno fortissime ed ossessive?

E se non accolte creeranno fibrillazioni nella tenuta nella attuale giunta?

Anche in questo caso basta aspettare.

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Riceviamo dall’avvocato Francesco Bernardo e pubblichiamo, con piacere la seguente perorazione:

“La Giustizia è certamente la primaria Struttura di una comunità che vuole ascendere al rango di società organizzata.

Perché tale Struttura sia riconosciuta legittima è necessario che sia percepita asettica ed imparziale, distaccata e terza.

Non è rara la solitudine di coloro i quali si trovano ad affrontare per un singolo fatto un doppio processo.

Molto spesso, speculare al processo tecnico, fatto di congegni giuridici e “passi” procedimentali codificati, sta l’altro e forse più avvilente processo, quello caratterizzato dalla colpevolizzazione mediatica, volta a creare l’isolamento e il rifiuto di chi ancora non è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio, vagliato in tre gradi di giudizio.

L’appartenenza sociale di un indagato oppure di un imputato è spesso incrinata dalla società linda e pulita.

Chi scrive è l’Avvocato Francesco Bernardo, cresciuto nella realtà giuridica di Catanzaro e approdato ad Amantea, dove, da convinto sostenitore del garantismo, ha fondato il proprio Studio Legale, specializzato nella difesa tecnica penale.

In un contesto inflazionato assume, ancora oggi per fortuna, preminenza l’essere Avvocato e esserlo per qualcuno che a te professionista si rivolge, parlandoti di un fatto proprio che necessita di inquadramento, di disciplina, poiché attinto dai paradigmi di valutazione dell’attuale rito accusatorio del codice di procedura penale.

Diceva Cicerone: “Fino a poco fa mi interessava vincere, adesso il mio unico scopo sarà salvare la buona reputazione del mio cliente”

Volendo spiegare come mai la caratura del professionista è ancor oggi dirimente, vorrei volgere lo sguardo a quelle iniziative che l’Avvocato pone in essere in udienza per autolegittimare il proprio ruolo teso alla difesa tecnica per tutelare i diritti di qualcuno.

Si tratta di “reazioni difensive” capaci, se possibile, di far regredire il procedimento ad una fase nella quale il rispetto delle regole d’azione non si è consumato in maniera rituale.

Queste ipotesi, per esempio, potrebbero aver intaccato il diritto di difesa dell’indagato o imputato. Oppure l’abile governo della c.d. cross examination, nella quale la veemente e sveglia conduzione dell’istruzione dibattimentale (si pensi al controesame testimoniale) può costituire il discrimine tra il dimostrare l’innocenza e il subire l’attribuzione di responsabilità.

Segnatamente, la soluzione di un interazione con la Giustizia Italiana ispirata al migliore garantismo è a monte, all’apice di quella chiave di lettura posseduta dai singoli operatori, che per mestiere devono garantire il confronto tra la Legge della punizione, della deterrenza, della coazione, della coercizione, e la persona, l’essere umano non ancora colpevole.

Tale chiave di lettura, da Avvocato, ritengo sia possibile polarizzarla su due assiomi che si richiamano a vicenda, in maniera evolutiva: certezza del diritto e sussunzione.

Vorrei prendere le mosse dal significato di sussumere, sconosciuto alla cultura laica ma necessità per chi si confronta con le norme, siano esse di Diritto penale, Diritto civile o amministrativo.

Si allude, al lavoro del giurista, Avvocato, Giudice o Pubblico Ministero, fatto di interpretazione dei testi giuridici, di esegesi delle disposizioni, per rintracciare in esse le norme valide a chiarire cosa possa essere reputato lecito, alla luce dello Stato di diritto, e cosa, invece debba essere considerato fuori dalla liceità.

Si tratta di attività di “incasellamento” dei fatti verso quelle fattispecie astratte predeterminate dalla legge.

Certezza del diritto, intesa quale fiducia nel metodo scientifico più condivisibile perché vagliato in sede nomofilattica dalla Corte di Cassazione, prescelto per giungere al giudizio di corrispondenza tra la condotta incriminata del soggetto indagato e quegli elementi costitutivi di fattispecie che distinguono quell’articolo di legge da un altro, quel reato da un altro.

Dunque, interpretare fatti e norme, essere esegeti, giuristi o, più semplicemente, lavorare sulle norme.

Questa speranza eminentemente tecnica possiede un auspicio di fondo, un ideale che non può che passare per la Fiducia verso la Struttura Giustizia, matura, competente, esperta, capace di distinguersi per la serietà del metodo di analisi interpretativa delle norme e dei fatti, indifferente al prevenuto giudizio di quella società nella quale è costretta ad operare, però alla quale tanto può insegnare, spiegando che si è colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio soltanto dopo il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna, maturata dopo un dibattimento in cui accusa e difesa hanno potuto confrontarsi ad armi pari.

Questa peroratio cela il caso di un “amico” che spero possa davvero trovare conforto in quella Giustizia che ancora credo…sia.

Avvocato Francesco Bernardo

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