Siamo in guerra e il Governo italiano, il governo giallo rosso, il governo del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, il Governo di Di Maio e Zingaretti è muto. In Medio Oriente si spara e si muore. I missili degli USA colpiscono ancora. I soldati italiani si nascondono nei bunker e lasciano in fretta Baghdad. E cosa fa il nostro Ministro degli Esteri? Tace. Ma trova il tempo di incontrare a Palazzo Chigi Zingaretti il partner della compagine governativa. Invece di difendere i nostri interessi nazionali in quelle zone martoriate e le vite dei nostri militari dispiegati in quelle zone di guerra il Ministro Di Maio si preoccupa del programma governativo, della verifica di governo, della questione di inquisire Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti. E mentre in Medio Oriente spirano venti gelidi di guerra e Trump, il Presidente degli USA, da via libera all’uccisione del comandante iraniano Soleimani, il nostro Ministro degli Esteri non solo taceva, era all’oscuro di tutto. Era in vacanza in Spagna con la fidanzata. Non molto tempo fa il Governo degli USA, prima di prendere decisioni cruciali, non solo ci informava, ma chiedeva finanche il nostro parere ed aiuto. Ora, invece, il Ministro Pompeo informa tutti gli Ambasciatori della NATO, tranne quello italiano. Che vergogna! Le autorità statunitensi hanno ignorato l’Italia e come riporta “Il Corriere della sera” si tratta di un clamoroso schiaffo a un alleato storico, ma ora non più affidabile e irrilevante, malgrado l’Italia abbia migliaia di soldati che presiedono quelle zone calde del Medio Oriente. L’esclusione dalle telefonate del Ministro Pompeo all’Italia evidenzia l’irrilevanza dell’Italia che pure ospita varie basi militari statunitensi. In questi tempi di guerra l’On. Di Maio, che ricopre il prestigioso e importantissimo incarico di Ministro degli Esteri, che fu di Saragat, Nenni, Moro, Fanfani, Andreotti per citarne alcuni, si è rivelato non all’altezza. E se l’Italia fosse davvero un paese normale il Ministro degli Esteri del Governo Conte bis, nato solamente per tirare a campare e impedire a Salvini di governare, dovrebbe rassegnare le dimissioni. Ma Di Maio non può dimettersi in questo momento difficile che attraversa il Governo Conte bis perché ci sarebbe una crisi inevitabile dalle conseguenze disastrose che porterebbero alla fine ingloriosa del Movimento 5 Stelle, a scissioni a ripetizioni, allo scioglimento della legislatura e ad elezioni politiche anticipate e Matteo Salvini, secondo i sondaggi, diritto diritto a Palazzo Chigi.
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Avrei potuto anche intitolare il mio articolo così: Lo schiaffo del Papa. Ma mi sono ricordato dello schiaffo famoso di un altro Papa e così ho desistito. Il Santo padre, oggi, affaciatosi dalla finestra apostolica in occasione dell’Angelus ed impartire, come al solito, la benedizione, si è scusato con tutti i presenti per il cattivo esempio di ieri. Il Pontefice, martedì, è stato strattonato da una donna e lui si è divincolato con forza. Il gesto di ieri del Santo Padre, lo voglio ribadire, non è stato il primo che ha fatto tanto scalpore. Il Papa, commentando l’accaduto, ha così detto:- A volte perdiamo la pazienza. Anche io. E chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri -. Come già detto l’episodio si è verificato al termine della celebrazione del Te Deum nella Basilica quando il Santo Padre si è recato in Piazza San Pietro per ammirare il presepe allestito in piazza e salutare i tantissimi fedeli stipati dietro le transenne. Ma mentre si allontanava una donna gli ha afferrato la mano con decisione, tirandolo a sé, facendolo barcollare. Il gwesto ha fatto innervosire il Pontefice che ha reagito in un modo inconsueto e per liberarsi dalla presa che gli faceva anche male l’ha colpita con l’altra mano proferendo alcune parole. Il gesto del Papa ha fatto scalpore tra i suoi detrattori, ha fatto il giro del mondo specialmente sui social. Schiaffo del Papa, da Urbi et Orbi a botte da orbi il passo è breve. Dio perdona, Bergoglio no. Vi ricordo che anche Padre Pio menava di brutto. Fallo di reazione. Il Papa salterà per squalifica i prossimi 4 Angelus. La pazienza ha un limite anche se si è Papa. Dai, porgi l’altra mano. E non poteva mancare il commento di Vittorio Sgarbi giustificando però:- Anche Papa Francesco può avere i suoi 5 minuti, è comprensibile -.
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Il 26 gennaio p.v. si voterà anche nella nostra Calabria per eleggere il Governatore e il Consiglio Regionale.
Oggi, alle ore 12:00, è stato chiuso il termine per la presentazione delle liste elettorali e così da domani inizierà ufficialmente la campagna elettorale che sarà molto vivace e che a dire il vero sarà anche la più breve della storia regionale.
Durerà meno di un mese.
E nelle piazze e nelle televisioni locali ne vedremo di tutti i colori con galoppini che distribuiscono schede e volantini multicolori e giornalisti e commentatori che fanno gli elogi a questo o a quel candidato per accaparrarsi le loro simpatie. Quattro sono in tutto i candidati che concorreranno per la carica di Governatore della Calabria: Pippo Callipo, il re del tonno, per il centro sinistra; Carlo Tanzi, ex della Protezione Civile, come indipendente; Francesco Aiello, Docente universitario UNICAL per il Movimento 5 Stelle; Jole Santelli, Deputato di Forza Italia e ex Vice Sindaco di Cosenza per la coalizione di centro destra. Nel lontano 2014, invece, i concorrenti erano in numero di cinque. Uno in meno, meglio così. Avremo una scheda elettorale più piccola. Le liste presentate sono in tutto quindici e centinaia i candidati a consigliere regionale. Pochi saranno gli eletti perché portatori di voti, la maggioranza farà da comparsa aspettando giorni migliori. Il centro destra ne annovera il numero maggiore. Sfogliando le liste e leggendo i nomi mi sono accorto che in questa tornata elettorale regionale molti Consiglieri Regionali che occupavano fino ad ieri uno scranno alla Cittadella non sono stati presentati perché impresentabili. Evidentemente hanno avuto o hanno qualche guaio con la giustizia. Pippo Callipo, candidato Governatore del centro sinistra, ha fatto sentire la sua voce, ha puntato i piedi e l’ha spuntata. O io o loro. E così molti big non hanno trovato posto nelle liste elettorali a lui collegate. Tra gli esclusi spiccano nomi illustri e eccellenti: Orlandino Greco, Bruno Censore, l’ex Assessore Nino De Gaetano, Ciccio D’Agostino, tutti fatti fuori per espressa volontà di Callipo. Altri consiglieri, invece, hanno scelto spontaneamente di non scendere in campo. Spulciando poi la lista di Fratelli d’Italia, Circoscrizione Nord ( Cosenza ) mi sono imbattuto sul nome di Gioacchino Lorelli, Sindaco in carica del Comune di San Pietro in Amantea. E’ la prima volta nella storia calabrese che un cittadino del piccolo comune cosentino aspira alla carica di Consigliere Regionale. La sua inclusione nella lista di Giorgia Meloni, anche se da questa estate si sussurravano le voci dopo che il Lorelli aveva abbandonato per protesta la Lega di Matteo Salvini, è stata accolta dai cittadini dell’antico borgo con segni di giubilo. Peccato, però, che in un’altra lista sempre della stessa coalizione ci sia un concorrente della nostra amata Amantea che ricopre la carica di Assessore e che gode stima e fiducia tra i cittadini e che gli toglierà parecchi voti. Comunque questa volta i cittadini di San Pietro in Amantea non dovranno disertare le urne. In massa dovranno andare a votare. Molti di loro che nelle ultime elezioni europee hanno votato la Lega di Salvini dovranno cambiare non schieramento politico ma lista elettorale. Per questa volta, e solo per questa volta, si dovranno turare il naso come ci ha insegnato Montanelli quando invitava gli italiani a votare Democrazia Cristiana, e dovranno mettere una crocetta sul simbolo di Fratelli d’Italia e scrivere sulla scheda il nome di Gioacchino Lorelli. Basta solo il cognome. Perché dovranno dare il voto alla lista Fdl? Perché in quella lista c’è il nome di un nostro concittadino e che se venisse eletto Consigliere Regionale potrebbe fare molte cose per il bene del nostro paesello che a poco a poco sta perdendo la sua identità. In bocca al lupo, signor Sindaco!
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Longobardi
Il 26 gennaio p.v. si voterà per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria e il Governatore uscente l’On. Mario Oliverio avrebbe dovuto essere il candidato unico di tutto il centro sinistra. Così non è stato. Il segretario nazionale del Pd Zingaretti ha preferito la candidatura di Callipo, imprenditore del tonno, che si candida come indipendente e con sue liste civiche. Ha fatto, dunque, come si dice, le scarpe al Governatore uscente, il quale, da diversi mesi già stava facendo campagna elettorale e aveva preparato le sue liste elettorali. Fino ad ieri Oliverio era in corsa per la Presidenza della Regione Calabra, oggi, colpo di scena: Per il bene del partito dove ha sempre militato si ritira, fa un passo indietro accogliendo in tutto e per tutto le indicazioni del segretario nazionale del Pd Zingaretti. –Pur ritenendo di avere tutte le ragioni del mondo faccio un passo indietro per non consentire che venga distrutto e dilaniato un patrimonio che è la mia storia politica -, così ha scritto Oliverio. Ma forse si è accorto, da uomo politico navigato, che gli amici e i suoi collaboratori lo stavano abbandonando e per non restare solo soletto a combattere la destra molto agguerrita, ha preferito gettare la spugna. Ora vedremo, cosa sapranno fare senza di lui. Fattosi da parte il Governatore uscente è rimasto Pippo Callipo con tutto il centro sinistra ricompattato, sulla carta però, a contrastare la poltrona tanto ambita di Presidente di Regione all’On.Jole Santelli, Deputata al Parlamento e Vice Sindaco dimissionario della città di Cosenza, del centro destra, diviso, litigioso, dilaniato da lotte interne e da veti incrociati. Mario Occhiuto già grida al tradimento e al complotto della sua fedele collaboratrice e sta preparando la vendetta. Doveva essere Mario Occhiuto, attualmente Sindaco di Cosenza, il candidato ideale di tutto il centro destra, così aveva deciso Forza Italia, ma la Lega di Salvini ha posto il veto. E così Occhiuto è stato estromesso. Ma non si darà per vinto. Corre voce che correrà da solo appoggiato da alcune liste e i suoi sostenitori sono tanti a Cosenza e in Calabria. Se così sarà spianerà la strada al candidato Pippo Callipo che fino ad ieri era tutta in salita e dato per sicuro perdente. Corre anche voce che a volere l’esclusione di Mario Occhiuto siano stati i fratelli Gentile i quali hanno voluto vendicarsi dal torto subito alcuni anni fa quando la figlia del Senatore Tonino, Katia, è stata allontanata dalla carica di Vice Sindaco. Ora la signora Katia dovrebbe essere candidata nelle liste della Lega e sarà certamente eletta Consigliere Regionale perché l’elettorato dei Gentile nella provincia di Cosenza è forte ed agguerrito. Si vedrà fra due giorni quando scadranno i termini per le presentazioni delle liste. La Regione Calabria, che secondo i sondaggi fino ad ieri era appannaggio del centro destra, ora con le divisioni interne e con il siluramento di Occhiuto da candidato del centro destra, con la scelta della Santelli, il vento in poppa sarà dall’altra parte e per Pippo Callipo sarà un gioco da ragazzi conquistare la Cittadella, quella Cittadella tanto agognata e che gli era sfuggita alcuni anni fa quando si era addirittura alleato con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Era il 2010 e tanta acqua è passata sotto i ponti. Quella sonora sconfitta brucia ancora. Per contrastare ottenne 100 mila voti, pari al 10% dei voti, pochi. Ora, però, sarà per lui una bella rivincita e un bel colpo per tutto il Pd, il quale, per vincere le elezioni ha dovuto ricorrere ad un candidato indipendente ( si fa per dire) e che lo ha avuto sempre contrario. Ecco perché la sua candidatura non è stata ben accettata da tutti.
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Calabria
Le sardine? Vi piacciono le sardine? Io le adoro. Infarinate e fritte, mangiate belle calde sono una meraviglia. E le sardine che scendono nelle piazze d’Italia e cantano “Bella ciao” vi piacciono? Vi ricordano qualcosa? Per me sono come i pesci d’aprile di stoffa che confezionavamo il primo aprile per divertirci e per burlare gli amici e conoscenti. Poi strofinavamo un po’ di gesso che avevamo rubato a scuola e appiccicavamo i pesciolini alle giacche e ai cappotti della gente ignara. Per Padre Sorge, invece, le sardine sono come il pesce dei primi cristiani. Padre Bartolomeo Sorge è un gesuita, teologo, ex direttore della rivista “Civiltà cattolica”. E’ un antisalviniano. Così ha scritto su Twitter:- Il pesce delle piazze di oggi è come il pesce dei primi cristiani, anelito di libertà da ogni imperatore palese o occulto -. Ma i primi cristiani vivevano, si riunivano, si nascondevano nelle catacombe per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori romani. Ora i cristiani non si nascondono più, non vivono nelle catacombe e mi sembra che a Palazzo Chigi o al Quirinale non ci siano imperatori che perseguitano i cristiani, che vogliono distruggerli, che li imprigionano e li danno in pasto ai leoni o li bruciano per fare luce nelle arene. Questo tipo di imperatore ancora a Roma non è arrivato, ma potrebbe arrivare fra non molto, quando il popolo italiano sarà chiamato alle urne per rinnovare il Parlamento. E chi sarebbe questo imperatore palese o occulto? Non l’avete ancora capito? E’ Matteo Salvini naturalmente, il fascista, il nazista, il razzista, il persecutore dei migranti. Ora persecutore anche dei cristiani. Ed ecco che per colpa di Salvini e della sua politica scellerata i cristiani di oggi, le sardine per intenderci, per sfuggire alle persecuzioni sono costretti a nascondersi nelle catacombe perché perseguitati non dal potere e dai fiancheggiatori del potere, ma da presunti persecutori fascisti e nazisti. Ma le prime sardine cristiane si nascondevano nelle catacombe e disegnavano un pesciolino per terra per farsi riconosce perché avevano paura di uscire all’aperto a manifestare nelle piazze di Roma la loro fede. Le sardine di oggi, quelle del XXI secolo, quelle che abbiamo visto nelle nostre città italiane, sono libere di manifestare, di scendere e occupare tutte le piazze d’Italia, dalle più piccole alle più grandi, cantare a squarciagola l’inno dei partigiani “ Bella ciao “ e gridare :- Milano, Torino, Bologna, Roma non si legano -. Ma per i primi cristiani il pesciolino che disegnavano per terra con un pezzetto di legno non aveva nessun significato politico e non era una sardina. E poi predicavano la pace, l’amore, la fratellanza, la giustizia. Le moderne sardine, invece, fanno solo folklore e spandono odio senza insegnare nulla. E dire che sono nate, secondo loro, per combattere l’odio. Ma per alcuni Padri della Chiesa Cattolica e alcuni Preti di strada “Le sardine” sono importantissime per il paese. Sono giovani ed è bello vederli uscire dal letargo. Proprio giovani non direi, hanno più di trenta anni e con loro anche nelle piazze e dietro le quinte ci sono vecchi personaggi, squallidi e fallimentari, vecchi arnesi della politica italiana che approfittando della popolarità delle sardine cercano di riciclarsi ed essere al centro della scena.
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Italia
Le sardine?
Vi piacciono le sardine? Io le adoro.
Infarinate e fritte, mangiate belle calde sono una meraviglia.
E le sardine che scendono nelle piazze d’Italia e cantano “Bella ciao” vi piacciono?
Vi ricordano qualcosa?
Per me sono come i pesci d’aprile di stoffa che confezionavamo il primo aprile per divertirci e per burlare gli amici e conoscenti. Poi strofinavamo un po’ di gesso che avevamo rubato a scuola e appiccicavamo i pesciolini alle giacche e ai cappotti della gente ignara. Per Padre Sorge, invece, le sardine sono come il pesce dei primi cristiani. Padre Bartolomeo Sorge è un gesuita, teologo, ex direttore della rivista “Civiltà cattolica”. E’ un antisalviniano. Così ha scritto su Twitter:- Il pesce delle piazze di oggi è come il pesce dei primi cristiani, anelito di libertà da ogni imperatore palese o occulto -. Ma i primi cristiani vivevano, si riunivano, si nascondevano nelle catacombe per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori romani. Ora i cristiani non si nascondono più, non vivono nelle catacombe e mi sembra che a Palazzo Chigi o al Quirinale non ci siano imperatori che perseguitano i cristiani, che vogliono distruggerli, che li imprigionano e li danno in pasto ai leoni o li bruciano per fare luce nelle arene. Questo tipo di imperatore ancora a Roma non è arrivato, ma potrebbe arrivare fra non molto, quando il popolo italiano sarà chiamato alle urne per rinnovare il Parlamento. E chi sarebbe questo imperatore palese o occulto? Non l’avete ancora capito? E’ Matteo Salvini naturalmente, il fascista, il nazista, il razzista, il persecutore dei migranti. Ora persecutore anche dei cristiani. Ed ecco che per colpa di Salvini e della sua politica scellerata i cristiani di oggi, le sardine per intenderci, per sfuggire alle persecuzioni sono costretti a nascondersi nelle catacombe perché perseguitati non dal potere e dai fiancheggiatori del potere, ma da presunti persecutori fascisti e nazisti. Ma le prime sardine cristiane si nascondevano nelle catacombe e disegnavano un pesciolino per terra per farsi riconosce perché avevano paura di uscire all’aperto a manifestare nelle piazze di Roma la loro fede. Le sardine di oggi, quelle del XXI secolo, quelle che abbiamo visto nelle nostre città italiane, sono libere di manifestare, di scendere e occupare tutte le piazze d’Italia, dalle più piccole alle più grandi, cantare a squarciagola l’inno dei partigiani “ Bella ciao “ e gridare :- Milano, Torino, Bologna, Roma non si legano -. Ma per i primi cristiani il pesciolino che disegnavano per terra con un pezzetto di legno non aveva nessun significato politico e non era una sardina. E poi predicavano la pace, l’amore, la fratellanza, la giustizia. Le moderne sardine, invece, fanno solo folklore e spandono odio senza insegnare nulla. E dire che sono nate, secondo loro, per combattere l’odio. Ma per alcuni Padri della Chiesa Cattolica e alcuni Preti di strada “Le sardine” sono importantissime per il paese. Sono giovani ed è bello vederli uscire dal letargo. Proprio giovani non direi, hanno più di trenta anni e con loro anche nelle piazze e dietro le quinte ci sono vecchi personaggi, squallidi e fallimentari, vecchi arnesi della politica italiana che approfittando della popolarità delle sardine cercano di riciclarsi ed essere al centro della scena.
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Belmonte Calabro
A Milano migliaia di persone e 600 Sindaci si stringono intorno a Liliana Segre e a Torino 35 mila Sardine davanti al Castello.
Così ha scritto oggi “La Stampa” di Torino:- Qualcosa è cambiato, c’è un Paese che vuole ripartire-.
Ma cosa vogliono davvero, cosa chiedono tutte queste brave persone che sono scese in piazza.
Vogliono combattere e sconfiggere l’odio, il fascismo, il nazismo, il razzismo ma soprattutto il leghismo.
Non vogliono che Matteo Salvini vinca libere elezioni e vada di nuovo al Governo e questa volta forse da solo e non certo un’altra volta con i Grillini.
Torino non si Lega.
Milano non si lega.
Protestano contro il regime fascista, ma il fascismo è morto e seppellito da oltre 70 anni.
Siamo in Democrazia.
E se non lo fossimo davvero queste brave persone non sarebbero potute scendere in piazza liberamente e cantare a squarcia gola la canzone dei Partigiani “Bella Ciao”.
Le Forze dell’Ordine le avrebbero arrestate e portate in carcere a marcire nelle patrie galere.
Cantano “Bella Ciao”, la canzone dei partigiani italiani che davvero lottarono, combatterono contro il nazifascismo e molti di loro morirono sulle montagne per conquistare la democrazia e la libertà perduta.
Libertà va cercando che è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta.
Così dice il sommo Poeta Dante nella sua Divina Commedia.
Ma davvero oggi l’Italia è diventata fascista e razzista?
Ma davvero oggi la nostra libertà è in serio pericolo?
E questa mattina ci siamo alzati e abbiamo trovato l’invasore?
No, è solo una invenzione di coloro che non vogliono far votare gli italiani, di quelli che hanno tanta paura di perdere le poltrone in Parlamento e di quelli che occupano posti di comando senza alcun merito.
Scendono in piazza per difendere i loro diritti acquisiti e non per difendere la libertà e i diritti di tutti gli italiani.
I nostri diritti sono garantiti dalla nostra Costituzione Repubblicana.
E’ inutile sventolare in piazza la Costituzione, spellarsi le mani davanti alle coraggiose arringhe delle giovani Sardine che dopo le grandi e riuscite manifestazioni di piazza nelle varie città italiane non ci hanno ancora detto quello che realmente vogliono e sgolarsi nel cantare “Bella Ciao”.
Non c’è nessun straniero, nessun invasore nella nostra amata Patria, che io ancora oggi mi permetto di scrivere con lettera maiuscola.
Ancora, grazie a Dio, siamo tutti liberi, tutti liberi di pensare, di agire e decidere liberamente.
Non ci sono catene e lacci che ci immobilizzano, che ci opprimono, che ci schiacciano e che arrivano a soffocare i nostri diritti e la nostra libertà.
E allora con chi ce l’hanno?
Sono contro Salvini, sono contro la Lega, contro il fascismo, contro la discriminazione, contro i partiti di centro destra.
Ma la maggioranza del popolo italiano è contro il fascismo dopo tutto quello che di brutto ha dovuto subire durante il ventennio.
Dunque c’è qualcosa che non torna o che non si vuole capire. E allora, qual è la proposta per il futuro?
Cosa sta emergendo da questi banchi di Sardine?
Qual è il loro programma concreto da proporre alla politica per migliorarla?
Sembra ancora navigare a vista.
In coro un’unica voce a cantare “Bella Ciao” a rafforzare il carattere di adunate nostalgiche del Partito Comunista Italiano.
E se le cose non vanno bene in Italia, protestate pure.
Scendete in piazza, fate casino, rovesciate cassonetti della spazzatura, fischiate, cantate, abbracciatevi e prendetevela, però, con il Governo in carica, con chi oggi comanda.
Loro e solo loro sono i veri responsabili se le cose in Italia non vanno bene.
C’è un paese che vuole ripartire, che vuole far cambiare rotta alla politica scrive “La Stampa” Benissimo.
Ma ripartire vuol dire partire di nuovo perché il Paese si è fermato.
E chi c’è oggi alla guida della corriera? Conte.
E ieri? Gentiloni, Renzi e Letta.
E oggi davvero vogliamo ripartire con questi uomini politici che hanno portato l’Italia allo sfascio?
Se fosse ancora vivo il grande Totò farebbe una grossa pernacchia e direbbe:- Ma mi faccia il piacere!-
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Molti di noi ricordano benissimo la commedia del grande Eduardo De Filippo: Natale in casa Cupiello.
E la ricordano, forse, per la domanda, un vero tormentone, che fa il padre Luca al figlio diverse volte:- Te piace ‘o Presebbio?-
Il vero protagonista della commedia è senza dubbio il presepe che Luca, il capo famiglia, si accinge a costruire in casa in occasione del Santo Natale.
Luca ama costruire il presepe e vorrebbe che anche gli altri componenti della famiglia lo amassero, ecco perché con insistenza domanda al figlio Nennillo:- Te piace ‘o Presebbio?-.
Vorrebbe ottenere dal figlio un’approvazione per il suo lavoro, approvazione che non arriva mai. A me non mi piace, risponde con insistenza. Anche sua moglie Concetta ha da ridire qualcosa sul presepe e lo punzecchia ripetutamente:- Non capisco che lo fai a fare.
Pare che stai facendo la Cupola di San Pietro. Ma vattace quattro pastori!-. Sapete cosa ha risposto Luca alla moglie? – O faccio pe’ me, ci voglio scherzare io!-. Luca, in occasione del Santo Natale costruisce il presepe per soddisfare evidentemente un suo grande desiderio: La costruzione del presepe anche se piccolo e insignificante gli ricordava i tempi felici della sua infanzia e la nascita di un Bambino, il figlio di Dio, nato in una grotta riscaldato dal fiato di un asino e di un bue, perché per Lui non c’era nemmeno un posticino negli alberghi.
Ma a voi, amici, vi piace il presepe?
O forse vi comportate come Tommasino che vuole fare il giovane moderno o il superuomo che per fare dispetto al padre ripete con insistenza:- A me ‘0 Presebbio non mi piace-.
E allora il padre lo caccia da casa. – Vattene, in casa mia non ti voglio.
E trovati un lavoro e non mettere più piedi qua, perché in questa casa si fanno i presepi-.
Ma i presepi, grazie a Dio, ancora si fanno non solo nelle nostre case, ma anche nelle chiese, nei luoghi pubblici, nelle piazze e perfino nelle scuole frequentate dai nostri figli.
Nelle scuole non sempre, però, perché in qualche località dove la presenza dei figli degli immigrati è massiccia, c’è sempre qualche maestra saccente che vuole essere al centro dell’attenzione e della scena e vieta ai suoi scolari di costruire il presepe in classe e cantare le canzoncine del Santo Natale.
Si scusa dicendo che nella sua classe non fa costruire il presepe per non offendere il credo religioso dei tanti scolari che provengono da un altro mondo e hanno tradizioni diverse dalle nostre.
Ma il Santo Padre, Papa Francesco, ha detto che il presepe forma un messaggio di speranza e di amore e aiuta a creare il clima natalizio favorevole per vivere con fede il mistero della Nascita del Redentore venuto sulla terra con semplicità e mitezza.
E da Greggio, dal luogo dove San Francesco d’Assisi realizzò nel 1223 la prima rappresentazione della Natività, il Papa ha rilanciato l’antica tradizione di costruire il presepe ovunque come segno “ di un mondo più umano e fraterno dove nessuno sia escluso ed emarginato”.
E allora continuiamo a costruire il presepe nelle nostre case e se c’è qualche familiare al quale il presepe non piace, diciamo senza astio e odio:- Io u presebbio u fazzu cumu haiu sempre fattu- .
A te non piace? Non ci posso far niente perché sei ignorante e non capisci il vero significato del presepe: Rappresenta l’evento della nascita di Gesù e il cielo stellato, i paesaggi, le casette, i pastori, la grotta, stimolano i nostri affetti e ci ricordano la nostra infanzia e la mente va volentieri a quando tutta la famiglia era riunita intorno al desco e se qualcuno era assente, per ricordarlo, si metteva comunque un piatto vuoto.
Così cantava Murolo:- ‘e ninne mie facitele ‘o presepio / e a tavola mettite ‘o piatto mio, / facite quanno è a sera da’ vigilia/ comme si’ mezzo a vuje stesse pur’io-.
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“Bella ciao” è una canzone popolare,diventata celeberrima dopo la Resistenza. Nonostante sia un canto popolare italiano è molto noto in Europa perché è un canto contro il nazifascismo. – Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor. Se io muoio da partigiano tu mi devi seppellir. Seppellire lassù in montagna sotto l’ombra di un bel fior -.
Ora “Bella Ciao” viene cantata dai giovani e meno giovani in tutte le manifestazioni di protesta contro gli avversari politici.
E l’hanno cantata finanche “Le Sardine” nelle manifestazioni di piazza a Bologna, Modena, Sorrento e Rimini.
Così facendo la canzone dei partigiani che hanno lottato davvero per la libertà viene svilita dal suo vero significato.
Ora, addirittura, viene cantata anche nelle chiese cattoliche.
Il primo a farlo è stato il parroco Don Andrea Gallo che l’ha cantata alcuni anni fa con i suoi parrocchiani dopo aver celebrato la Santa Messa sventolando un drappo rosso.
Il drappo rosso lo aveva in mano e allora poteva cantare benissimo anche “Bandiera rossa e il comunismo trionferà”.
E l’ha cantata, oggi 24 novembre 2019, il Sacerdote Don Biancalani, Parroco di Vicoforo, nonostante il biasimo della Diocesi di Pistoia. Ma “Bella ciao” non è una canzone religiosa, quindi non dovrebbe essere cantata nelle chiese.
Nelle chiese si dovrebbero cantare: Nome dolcissimo, Dove è carità e amore, Padre perdona, Purificaci Signore,Ti adoriamo Ostia divina, Resta con noi Signore la sera, Tu al centro del mio cuore.
Ho sempre frequentato le funzioni religiose nelle chiese del mio paese e mai, dico mai, si sono sentite canzoni non religiose né prima né dopo la Santa Messa. Don Biancalani aveva promesso che l’avrebbe cantata e l’ha fatto davvero nonostante la Curia lo avesse diffidato.
La canzone dei partigiani è stata cantata dai fedeli presenti in chiesa tenendosi per mano stando in piedi davanti all’altare.
Il video è stato poi postato dallo stesso sacerdote sulla pagina di Facebook:- Anche Vicoforo non si Lega. Nessun dialogo con chi fomenta l’odio -.
Il Vescovo lo aveva ammonito. In chiesa nelle celebrazioni liturgiche non si possono eseguire canti inadeguati alla liturgia-. Don Biancalani è andato diritto per la sua strada.
Evidentemente vuole fare politica per poi candidarsi alle prossime elezioni regionali toscane con qualche partito di sinistra oppure si voglia proporre a Sanremo come aspirante cantante nelle Nuove Proposte.
Chissà cosa avrebbero detto e scritto i cittadini di San Pietro in Amantea e gli agitprop comunisti se durante le funzioni religiose quel Santo Parroco Don Giovanni Posa avesse fatto cantare in chiesa a noi giovani dei Comitati Civici e dell’Azione Cattolica nel lontano 1948 l’inno della Democrazia Cristiana:- O bianco fiore, simbol d’amore -.
Ci avrebbero linciato e il buon sacerdote lo avrebbero impiccato in Piazza ad un ramo del pioppo grande.
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Longobardi
Adesso vi voglio parlare di alcune attività che un tempo non lontano erano fiorenti in San Pietro in Amantea e che hanno contribuito a fare un po’ la storia non solo della nostra terra ma anche la storia delle famiglie che la abitavano.
Alludo al mestiere del mulinaro. E qui mi viene in mente il mulino ad acqua della famiglia Marghella gestito da quel mitico personaggio Sante u Mulinaru; il mulino a cilindri della famiglia di mastro Sesti Palmerino gestito negli ultimi tempi da un personaggio simpaticissimo Carminiellu Caruso, conosciuto da tutti col nomignolo di “fatture”, emigrato poi in Argentina con tutta la sua famiglia; i “Trappiti” dei Policicchio, dei Lorelli, dei Lupi, dei Carratelli, tutti ubicati nel centro abitato; i “Palmenti” un po’ diffusi ovunque perché i nostri terreni erano coltivati e molto fertili ed i vigneti davano uva abbondante dalla quale si ricavava un ottimo vino molto richiesto dalle cantine di Amantea e dei paesi vicini; i forni a legna erano un po’ ovunque. Ogni casolare di campagna aveva il suo forno. E poi c’erano i forni comunali della zia “ Marianna a Mammana” ubicati Nmienzu u Puritu dove per alcuni anni negli anni novanta suo nipote Sergio aprì un bar ora chiuso definitivamente. Niente semina, niente grano, niente mulini, niente farina, così i forni sono tutti ora scomparsi. Io ricordo, però, con tanto affetto la fornaia di Nmienzu u Puritu, Rosa Guzzo, conosciuta da tutti come Rosa a furnara; la fornaia di Via Michele Ianne a za Serafina Paladino, moglie del mitico Zu Serafino che ballava il famoso ciuccio pirotecnico la sera del 2 luglio in occasione della festa della Madonna delle Grazie. Ricordo le forge di Mastro Palmerino Sesti e di mio zio Stefano Sesti, di Mario Presta conosciuto da tutti amorevolmente col nomignolo di Mario u Pizzutu. E in ultimo la forgia di mastro Alfonso Lorelli la cui incudine e i martelli, le mazze si trovano nei locali di Via Serafino Sesti proprio di fronte all’abitazione del Dott. Lupi Annibale dove una volta abitavano don Gregorio e donna Amalia. Scomparsi i contadini, scomparse le zappe, le vanghe, i rastrelli, le accette, le falci da aggiustare, sono scomparsi anche definitivamente i mastri forgiari che con i loro tintinnii sulle incudini allietavano le nostre giornate. Ora le nostre terre sono tutte incolte. Non ci sono più coltivatori diretti, braccianti, contadini, giornalieri di campagna. Non essendoci più grano da macinare sono di conseguenza scomparsi i mulini. Non essendoci più vigneti e quindi uva sono scomparsi i palmenti. Qualcuno, vedi il mio caro nipote Periglio Grassullo, in autunno compra l’uva dalla Sicilia perché la sua sistematicamente viene mangiata dai cinghiali e fa per sé e per gli amici intimi un ottimo vino che io ho assaggiato diverse volte nella sua cantina sotto casa.. Al posto dei vigneti, degli uliveti, dei frutteti ci sono “spine e calavruni”. I pochi contadini ormai vecchietti non arano più, non zappano più la terra, non seminano e non raccolgono più il frutto del loro lavoro. I trappiti che si trovavano nel centro abitato, le cui macine erano mosse dai buoi e dagli asini sono letteralmente scomparsi. Negli anni 60 il maestro Guzzo Francesco, mio carissimo compare, aveva impiantato un “trappitu” elettrico sottostante l’abitazione di Attilio Miraglia, Nmienzu u Puritu. Chiuso anche quello.
Abbiamo avuto vari tipi di mulini nel corso della storia: mulini che utilizzavano l’energia umana specialmente schiavi, cittadini poveri, delinquenti condannati; mulini ad acqua; mulini a vento; mulini elettrici. L’uso del mulino ad acqua ci è stato descritto addirittura tanti secoli orsono nel Trattato d’architettura di Vitruvio.Il primo documento scritto che ne rileva l’esistenza risale al I sec. a.C. Negli scavi di Ostia e di Pompei furono rinvenute alcune macine di mulini.
Per avere un mulino ad acqua necessariamente i nostri mugnai avevano bisogno di acqua in grande quantità. Ecco perché il mulino di Sante u Mulinaro si trovava lungo il corso del fiume Catocastro che portava le acque provenienti dalle montagne di Lago e da Monte Cocuzzo. Ogni mattina Sante u Mulinaru si alzava presto e con il suo “ciucciariellu” raggiungeva allora l’impervia contrada attraverso una strada mulattiera. Ora la contrada, come del resto tutte le contrade del nostro paese, è raggiungibile attraverso strade asfaltate e comodissime. Legava il ciucciu ad un albero e percorrendo un centinaio di metri deviava parte del corso del fiume. Tale captazione veniva chiamata “la prisa”. L’acqua veniva incanalata e convogliata lungo i cosiddetti “acquari” e condotta ad una ruota con le pale tramite un dotto in muratura chiamato “saitta”.La cascata dell’acqua faceva ruotare le pale in modo vertiginoso la cui forza faceva ruotare un asse che poi azionava gli altri macchinari del mulino e la pietra superiore della macina mentre quella inferiore stava sempre ferma. Mi sono recato sul posto dove una volta c’era il mulino. Non è rimasto nulla. Un rudere coperto di rovi, sterpaglie e tanta, tanta sabbia e ghiaia. Al posto del mulino c’è una industria di calcestruzzi e la ghiaia accumulata in abbondanza lascia intravedere ben poco. Solo dall’alto della strada provinciale Amantea-Lago è facile intravedere “la saitta”. E’ quanto è rimasto del vecchio mulino dove Sante u Mulinaru vi ha lavorato una vita intera e col guadagno del grano che riusciva a macinare ha cresciuto una famiglia molto numerosa.
I mulini ad acqua sono stati impiegati per molteplici usi prima dell’era industriale. Da noi, in San Pietro in Amantea, Sante u Mulinaru lo impiegava esclusivamente per la macinatura del grano, del granturco e raramente delle castagne. Mulino o Molino dal latino Molinum derivante da mola. Qualcuno dice, però, che la parola molino derivi da mulo. Infatti nell’antichità le macine del mulino e dei frantoi venivano fatte girare anche dai muli, animali molto forti e resistenti alla fatica. L’arte del mugnaio è molto antica, forse una fra le più antiche occupazioni dell’uomo. Esistono ancora oggi cognomi derivanti da mulino come Molinaro o Molinari. A San Pietrro in Amantea ci sono Molinaro Eugenio, Francesco e Luca. In una società rurale e contadina i mugnai godevano di un notevole prestigio sociale. Erano più ricchi, avevano sempre farina e pane in grande quantità, tanto di essere fatti qualche volta segno di invidia e spesso presi di mira nelle rivolte del pane nei momenti di carestia.
Nel periodo pre industriale veniva sfruttata anche la forza del vento e così abbiamo i mulini a vento che io ho avuto la fortuna e il piacere di visitare a luglio del 2015 in Olanda. Alcuni mulini antichi sono ancora in funzione, solamente però, per motivi turistici o culturali. Ho avuto anche la fortuna di visitare un mulino ad acqua ancora funzionante mentre mi trovavo in vacanza nel Veneto e precisamente a Farro di Soligo, nella casa del Maestro. Nelle vicinanze, a Refrantolo, c’è ancora un mulino che si può tranquillamente visitare pagando però l’ingresso. E’ il famoso Mulino della Croda dove alcuni anni fa , 5 agosto 2014, per la piena del torrente morirono alcune persone mentre stavano mangiando nello spiazzale del mulino. Era in corso una sagra paesana. L’ondata di fango e acqua forse è stata causata dall’ostruzione di alcune rotoballe di fieno finite nel torrente. Io sono stato affascinato da questo mulino come furono affascinati alcuni pittori veneti. Anche il cinema italiano non ha trascurato il mulinetto. Ha fatto da scenario con il paesaggio circostante al film “Mogliamante” con Marcello Mastroianni e Laura Antonelli nel 1977. Oggi il Molinetto della Croda è uno dei pochi mulini ad acqua risalenti al XVI secolo ancora funzionanti ed è la testimonianza di una civiltà rurale che l’avvento della società industriale ha soppiantato. Nella nostra Calabria ce ne sono due ancora funzionanti: Uno si trova a San Giorgio Cosenza. Costruito nel 1840 ancora funzionante in località San Candido.
I mulini a vento ebbero origine in Persia circa 3.000 anni fa. Poi si svilupparono in Olanda e in Inghilterra prima della macchina a vapore e poi negli Stati Uniti d’America usati prevalentemente per prelevare acqua dai pozzi a scopo irriguo. Dalle nostre parti non sono mai esistiti. Alcuni sono ben conservati e restaurati a Trapani in Sicilia. Venivano usati nelle saline per macinare il sale o pompare l’acqua di mare da una vasca all’altra.
Molti frantoi i cosiddetti “trappiti”, specialmente nelle Puglie, sono stati recuperati dalle amministrazioni comunali intelligenti e sono ora aperti al pubblico e fanno parte di itinerari turistici. I trappiti erano ubicati in luoghi sotterranei perché il prodotto doveva essere ben conservato in un ambiente dalla temperatura costante altrimenti l’olio si solidificava e si degradava. C’era una grossa pietra molare fatta girare da un mulo, da un asino o da una mucca, e poi i vari torchi di legno con i famosi fiscoli (fishculi) e poi le vasche scavate nel terreno dove confluiva l’olio. I trappiti erano privi di luce, venivano illuminati dalle lucerne ad olio. Ho visitato alcuni trappiti ad Otranto e sono rimasto incantato. Sono ubicati in grotte sotterranee scavate nel tufo.
Dal libro di Francesco Gagliardi: San Pietro in Amantea, Usanze, Tradizioni, Mestieri d’altri tempi.
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Belmonte Calabro