Anno scolastico 1942-1943 frequentavo la quarta classe nelle scuole elementari di San Pietro in Amantea-Centro. Gli anglo americani si apprestavano a sbarcare in Sicilia. Le provviste nelle credenze delle nostre case erano completamente vuote. Spesso la sera c’era il blackout, la luce elettrica andava via e si restava al buio. Una candela stearica o un lume a petrolio illuminavano le nostre case. E noi scolari, Figli della Lupa e Balilla, cosa facevamo la mattina prima che iniziassero le elezioni? Il maestro di allora, un fascista, ci faceva cantare a squarcia gola:-Vincere, vincere e vinceremo in cielo, in terra e in mare-. Questo la mattina a scuola. La sera, invece, al buio e nel segreto delle nostre abitazioni:-Duce, Duce, cumunamisu in cruce. U Juornu senza pane e la notte senza luce-. Quasi all’improvviso l’elettricità andava via e si restava al buio. Noi bambini eravamo costretti a stare chiusi in casa e se eravamo fuori in strada ancora a giocare con un pallone di pezza rincasavamo in fretta facendo attenzione agli ostacoli e ai gradini. Queste cose oggi in Italia, paese in pace, ce le siamo dimenticate e i giovani di oggi faticano ad immaginarle. E se qualche nonno le racconta ai loro nipotini questi dicono che se le sono inventate. E’ andata via la luce, si è spenta la televisione, non possiamo caricare il telefonino, addio ai social, al Web, agli amici. Queste cose che hanno cambiato la nostra vita ancora non erano state inventate. Ma oggi nelle nostre case c’è più di un televisore, c’è il computer, c’è il telefono, c’è internet, abbiamo i cellulari. E ci sono anche nelle case ucraine. Però se va via la luce, se c’è il blackout, la Tv si spegne, il cellulare non si può caricare, addio al Web, non si può dialogare con gli amici, non si sa più nulla della guerra che continua a seminare lutti e rovine. Neanche un talk show, un gioco a premi, una canzoncina. Niente. C’è il blackout. Buio, oscurità. Tutte le vetrine dei negozi e i lampioni delle città spenti. Le città diventano spettrali. E subentra in tutti la paura. Si sente solo la sirena suonare che invita la gente a mettersi al riparo nei rifugi sotterranei e in lontananza il rombo delle bombe sganciate dai droni russi e le cannonate dei tank. E poi, all’improvviso, il silenzio. Quello che fa più paura. Anche noi queste cose le abbiamo vissute ma sono passati più di ottanta anni e ce le siamo dimenticate. Quando le raccontiamo ai nipotini questi le ascoltano increduli. Ma torniamo ai nostri giorni. A Kiew e nelle città ucraine la Tv è spenta. Manca la luce. Il mondo è tornato indietro. Pensavamo che non sarebbe potuto accadere. Ci siamo sbagliati. Sì, c’è la guerra. E le immagini delle città ucraine nell’oscurità ci dicono che viviamo in un mondo dove regna l’odio, dove siamo tornati indietro nel tempo, al tempo delle caverne. Il Santo Natale si sta avvicinando. Gli scaffali dei negozi sono pieni zeppi di ogni mercanzia. Fanno bella mostra i torroni, i panettoni, gli spumanti. Le vetrine dei negozi sono illuminate. I lampioni delle nostre città sono ancora tutti accesi. Ma avremo le luminarie come gli scorsi anni? Forse, con la crisi in atto, dovremmo imparare a spegnare le luci superflue, anche nelle nostre case. Ma noi non siamo ancora in guerra. L’Ucraina è lontana. Abbastanza lontana?