Trovate negli scaffali di un supermercato cipolle provenienti dall’Emilia Romagna e spacciate per calabresi.
Lo denuncia Innocenza Giannuzzi, presidente di Agricoop, che ricorda che proprio in questo mese di agosto, in una nota catena di grande distribuzione, nell’angolo dedicato alle eccellenze enogastronomiche calabresi, tra la ‘nduja ed altri nostri prodotti, era lì, in bella evidenza, anche la “Signora in Rosso”, che però di calabrese non aveva proprio nulla, essendo prodotta in Emilia Romagna, ed il tutto accade lì dove è di casa la regina, nella provincia di Vibo”
Poi aggiunge “Quando un’eccellenza calabrese, la Cipolla Igp di Tropea, diviene simbolo della qualità calabrese nel mondo, ma viene “clonata” con cipolle di provenienza italiana e straniera, e vengono camuffate per la nostra “Signora in Rosso”, non sono altro che imitazioni, contraffazioni, “falsi” e “tarocchi” che ogni anno provocano pesanti danni alle nostre imprese e, nello stesso tempo, incrinano di molto la stessa immagine del c.d. “Calabria Sounding”..
La contraffazione provoca un forte danno economico per le imprese che può essere misurato dalle “mancate vendite alla perdita di immagine e credibilità del marchio, sino alle spese legali per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, nonché alla riduzione degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing”.
Che la Calabria e la bontà dei suoi prodotti DEBBANO essere difese non ci piove, ma la domanda da porsi è questa:.
A chi spetta?
Alla regione che ha tra il suo personale tecnici capaci di riconoscere e contestare il falso?
Alla Guardia di Finanza che può accedere alle fatture e rilevare la provenienza della cipolla spacciata per calabrese?
Conclude Agricoop
“Difendiamo, quindi, le nostre eccellenze, difendiamo la nostra Calabria e le sue imprese.
Non è più tollerabile che le eccellenze e la nostra Calabria non siano tutelate, che tutto sia affidato al caso e alla superficialità.
Il rispetto di un prodotto equivale al rispetto della sua terra, che i controlli siano fatti costantemente. Coloro che pubblicizzano e promuovono ciò che calabrese non è siano puniti”.