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Redazione TirrenoNews

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Ci avevano provato nel 2005 e nel 2006, dice il sindaco, e ora ci riprovano. Basta!

Poi dichiara “Sia ben chiaro che se lo Stato dovesse alzare bandiera bianca e fare un passo indietro, io ne farò uno avanti con tutte le conseguenze che questo comporterà per la tenuta democratica di una Città che vuole vivere serena e che pretende il rafforzamento dei presidi di legalità e non la resa dello Stato”

E’ duro e determinato il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta,  rispetto all’ipotesi di soppressione della storica Brigata della Guardia di Finanza della cittadina tirrenica

E prosegue “Voglio subito chiarire che la mia non è  una difesa d'ufficio per motivi di prestigio campanilistico, non ho mai ragionato facendomi condizionare dal perimetro urbano. Non l’ho fatto con l’Ospedale ,  non lo farò con la Brigata della Guardia di Finanza. Ma così come per l’Ospedale – oggettivamente una Città Ospedaliera unica in Calabria – la GdF svolge una preziosa attività in un comprensorio debole socialmente, crocevia di dinamiche criminali tra Calabria e Campania, dove insiste il più importante Porto Turistico da Salerno a Reggio Calabria. 

E’ davvero difficile assistere inermi alla spoliazione che lo Stato sta facendo dei suoi presidi al servizio dei cittadini e della comunità.”

Il fumo è pericoloso: provoca il cancro. Lo scrivono sui pacchetti delle sigarette di tutto il mondo.

La carne provoca il cancro, ma non ha il pacchetto per cui non lo possono scrivere sopra.

Intanto aumenta il numero dei vegetariani e si accende la discussione sulla pericolosità delle carni, in particolare rosse.

A zittire tutti ci pensa Umberto Veronesi, definito uno dei 4 oncologi migliori del secolo. Le sue parole non sono rassicuranti...

Secondo Veronesi non ci sarebbero dubbi: la carne favorirebbe l'insorgenza di tumori. Ma sotto accusa non c'è solo la macelleria. Chiunque si alimenti di proteine animali (pesce, carni bianche, selvaggina compresi) correrebbe il 30% di rischio in più di contrarre tumori al seno, al colon, alla prostata, al pancreas, alla vescica e ai polmoni.

E non basta.

Le proteine animali farebbero aumentare esponenzialmente il rischio di contrarre malattie metaboliche, disturbi cardiovascolari legati al livello di colesterolo nel sangue, infarti, diabete ed obesità.

E già che ci siamo Veronesi prosegue confermando la pericolosità della carne anche nel favorire disturbi ai reni e patologie meno gravi come stipsi e varici. Come se le dichiarazioni del luminare non fossero già da sole abbastanza inquietanti ecco venir fuori anche uno scenario complottistico e machiavellico che, tanto per cambiare, vedrebbe "noi comuni mortali" delle ingenue vittime delle multinazionali.

"Le riviste medico-scientifiche più accreditate sono sul libro paga delle multinazionali farmaceutiche" ha detto Veronesi. "Molti medici e ricercatori, sulla base anche di numerose ricerche, per la maggior parte insabbiate, sono coscienti degli effetti dannosi del consumo di carne, ma hanno le mani legate. Io, che sono uno scienziato di fama internazionale, posso prendermi il lusso di fare queste affermazioni; se le facessero loro, probabilmente non lavorerebbero più. L’industria alimentare e le multinazionali farmaceutiche lavorano di pari passo, l’una ha bisogno dell’altra per sopravvivere e queste due entità insieme, generano introiti circa venti volte superiori a tutte le industrie petrolifere del globo messe insieme". Le seguenti dichiarazioni sono contenute tutte all'interno di un libro di Veronesi dedicato alla prevenzione del tumore a tavola e nelle ultime ore sono rimbalzate da una testata all'altra.

Il meccanismo a questo punto sembra abbastanza chiaro: considerato che un malato di cancro degli States fa guadagnare alle multinazionali circa 250mila dollari l'equazione più malati più soldi è inevitabile. Una tesi inquietante che fa pendant con decine di altre teorie simili sull'assioma "ammalatevi così vi curerete" che le imprese farmaceutiche seguirebbero – secondo questa teoria – come un mantra. Cosa fare quindi? Nel dubbio cominciate ad accarezzare l'idea di farvi una bella insalata per cena. Nel mare delle incertezze e delle verità che non vogliamo sentire i benefici di frutta, verdura e legumi restano assodati

“Guagliuni i mala vita. Cosenza 1870-1931” è stato editato a dicembre del 2012 dalla Pellegrini Editore ed ha sonnecchiato negli scaffali delle librerie.

Poi è capitato fortuitamente nelle mani del magistrato Nicola Gratteri che lo ha apprezzato.

Un libro di Francesco Caravetta ( nella foto con Arcangelo Badolati) che fa parte della collana “Mafie” curata da Antonio Nicaso, e che «è frutto di uno studio minuzioso, di giornate passate a spulciare atti di processi penali che indagano sulla formazione della mafia in terra cosentina, cesellando gli eventi con ordine e attraverso una narrazione che mette in rassegna tutti gli aspetti, dalle promesse di ladri di polli al pagamento delle “camorre”, passando per codici, rituali e sfruttamento della prostituzione».

Un libro che « descrive ogni ombra del paesaggio, riporta le voci che vi risuonano, cataloga ogni oggetto d'indagine. È un cesellatore di notizie, le incastra una dietro l'altra per raccontare le origini della malavita cosentina, sfatando il mito della provincia felice. Sfogliando questo libro si coglie lo spaccato di una città, con le sue teste calde e i tanti delitti che fanno da boa ai tempi, in una sorta di via crucis del crimine organizzato dal 1870 al 1931. Una trama da romanzo d'appendice, ricostruita grazie a una rigorosa ricerca d'archivio».

Di questa opera dice la Gazzetta del Sud, Cosenza

“Agli albori del crimine organizzato, alle origini della struttura mafiosa bruzia imperante su un contesto sociale gravato da estrema povertà e violenza. Se, come afferma Marc Bloch, lo storico agisce similmente «all’orco della fiaba che fiuta la carne umana e ne fa la sua preda», il ricercatore e antropologo Francesco Caravetta, autore di “Guagliuni i malavita” (Pellegrini), fa proprie le storie di malandrini, estorsori, prostitute, carcerati, assassini, tagliagole, capi e semplici affiliati consegnandoli con fluida narrativa alla memoria collettiva. Il testo, che è parte della collana “Mafie” diretta da Antonio Nicaso, è stato presentato giovedì presso il terrazzo Pellegrini alla presenza dei giornalisti Arcangelo Badolati e Attilio Sabato e del critico letterario Alberico Guarnieri, moderati da Antonietta Cozza. Microstorie di “picciotteria” che fino a ieri popolavano alcuni degli incartamenti processuali custoditi nei faldoni dell’archivio di stato cittadino e, dopo 21 mesi di ricerca rigorosa, riemerse nella loro cruda verità a testimonianza di un tempo (1870 – 1931) dominato da spavaldi che colpivano armati di rasoi o, più semplicemente, a mani nude. «Questa mafia ha una tradizione comparabile a quella di mafie più feroci e conosciute in tutto il mondo: quella del lametino, della piana di Gioia Tauro, quella reggina. Con lavori come questo – afferma Arcangelo Badolati – si va a colmare un vuoto che obiettivamente c’era nella ricostruzione delle dinamiche evolutive della criminalità organizzata di quest’area calabrese. Si tratta di un grande sforzo letterario perché rendere fruibili e godibili gli atti giudiziari dei processi che sono stati celebrati ai primi del ‘900, non è compito facile». La vera storia dei capibastone Stanislao De Luca e Francesco de Francesco si mescola al racconto di contesti più recenti ma figli di una medesima mentalità: «la cultura del malandrino – spiega Attilio Sabato – dominava la Cosenza degli anni ’70, quella dei quartieri caratterizzati da un altro modo di concepire la realtà, la quotidianità e il rapporto con la società. Esistevano zone interdette, la città era bloccata e noi eravamo figure insignificanti al confronto di quei ragazzi violenti, di quella gente da coltello. Guagliuni i malavita ci permette di capire la genesi di ciò che è accaduto dopo». Il racconto è testimonianza: Caravetta restituisce una porzione di realtà vissuta in anni determinati, ricostruisce ambienti, situazioni, personaggi, atmosfere. Il clima “carnevalesco” di alcuni episodi, letti magistralmente da Emanuele Gagliardi, è introdotto dal critico Alberico Guarnieri come “vera novità di tutto il testo” e spiegato come capovolgimento della realtà: «La criminalità, l’eversione, il non rispetto delle regole, il vivere una vita al di fuori degli schemi, è anche un modo per capovolgere la realtà, per non rapportarsi a quella realtà ma originarne una parallela che si inserisce e contamina quella in cui viviamo». E’ una fortuna che la realtà ricercata, studiata e rappresentata da Francesco Caravetta, capitata fortuitamente nelle mani del magistrato Nicola Gratteri, sia diventata anche grazie alla volontà di Antonio Nicaso, un manifesto fedele del clima di paura che si respirava nei sobborghi cittadini a cavallo tra ‘800 e ‘900. Ma non solo. «Leggendo queste diecimila pagine che coprono questi 60 anni – spiega l’autore – mi sono fatto l’idea di una città molto violenta ma anche molto viva e popolata da forestieri, commercianti, attori, teatranti, ballerine. C’erano locali aperti, la sera si passeggiava tranquillamente in Villa Vecchia, si tenevano le giornate telesiane, si ballava nei locali. Il contrario della Cosenza degli anni ‘70». Nel testo spicca un’inedita sezione contenente un’ampia rassegna di tatuaggi, ovvero uno degli indizi dell’affiliazione, uno degli indelebili marchi d’appartenenza al crimine: «Il più rituale ed emblematico – conclude Caravetta – è il puntino nero sulla parte sinistra del mento o nell’incavo tra indice e medio della mano».

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