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gi2021Il fenomeno superficialmente paradossale per il quale, in Italia, la caduta del blocco comunista ha innescato un dibattito sulla storia repubblicana ancora più acceso di quanto non fosse stato fino ad allora è testimoniato da una miriade di autori negli ultimi 30 anni. Qualcuno di essi si è occupato, in termini generali, dei problemi della delegittimazione politica reciproca e del "nemico interno" nella storia italiana: i loro punti di vista e le loro valutazioni sono, però, notevolmente differenti da chi scrive.

A metà dell'ascesa globale del populismo di destra, il termine “fascista" è diventato un epiteto comune, anzi troppo usato. La parola F è conveniente per i critici della nuova ondata di populismo, che cercano di legare gli oppositori a movimenti storici ritenuti deplorevoli. Ma il termine è conveniente anche alla destra, e le consente di definire i loro critici esagerati e squilibrati. Così facendo i neo fascisti evitano discussioni serie sulla sostanza delle loro politiche e retoriche.

In momenti come quelli attuali, se ne approfittano personaggi come Vespa e il suo ultimo aborto: “Perché l’Italia amò Mussolini“. L’uomo venuto da Predappio marciando su Roma che lo definì “Er puzzone”, in un suo discorso a Napoli nell’ottobre del 22 diceva: “Abbiamo creato il nostro mito. Il mito è una fede, una passione. Non è necessario che sia una realtà. È una realtà nel senso che è stimolo, è speranza, è fede, è coraggio. Il nostro mito è la nazione, il nostro mito è la grandezza della nazione! E a questo mito, a questa grandezza, che vogliamo tradurre in una realtà totale, subordiniamo tutto il resto ”.

Settanta anni dopo gli italiani sono stati risucchiati dalla crisi politica e dalle nuove dinamiche politiche cui hanno dato origine, e che persistono ancora oggi e che hanno fortemente plasmato sia il dibattito pubblico che la riflessione storiografica sulla Repubblica italiana con l’entrata in campo di un cantante da barcone per diventare primo ministro di questo Paese appropriandosi di una sigla (Forza Italia) sottratta ai tifosi dell’Italia calcistica.

Prima degli eventi di qualche giorno fa, che hanno quasi portato ad un colpo di stato negli USA, gli storici e non solo loro dicevano che il   fascismo del futuro sarebbe stato diverso da quello del XX secolo. Che quel tipo di potere era impensabile anche se “condividerà caratteristiche con i suoi antenati, tra cui l’ultranazionalismo, Una democrazia illiberale, detta anche pseudo democrazia, democrazia parziale, democrazia a bassa intensità, democrazia vuota, democratura o regime ibrido, cioè un sistema di governo nel quale, oltre al fatto che si tengano delle elezioni, i cittadini sono completamente tagliati fuori dalla conoscenza di tutto ciò che concerne il potere e le libertà civili.” In aggiunta, un forte impulso a irreggimentare la società e la soppressione forzata dell'opposizione. Questo fascismo moderno, in altre parole, andrebbe contro ciò che la maggior parte degli occidentali ancora riconosce - anche se solo per esprimere un servizio formale - come valori fondamentali del proprio Paese.

Eppure la presa persistente di Trump sui suoi followers mostra, come una coalizione contro i valori tipicamente americani, possa essere costruita e utilizzata per mantenere il potere, anche se la coalizione rappresenta solo una minoranza del paese. In particolare, Trump faceva e fa appello a due gruppi sovrapposti - evangelici bianchi ed elettori bianchi motivati ​​principalmente dall’odio verso qualsiasi cambiamento razziale e culturale. Questi due gruppi hanno ciascuno le proprie ragioni per abbracciare l'illiberalismo e sostenere il potere di uno stato illiberale contro il resto della nazione.

E qui il “Mein Kampf” di Hitler viene a nozze nel nostro mondo di oggi: “La miscela di sangue e il conseguente calo del livello razziale sono l'unica causa dell'estinzione delle vecchie culture; poiché gli uomini non muoiono a causa delle guerre perdute, ma per la perdita di quella forza di resistenza che continua esclusivamente con sangue puro. Tutti coloro che non sono di buona razza in questo mondo sono pula”.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Primo Piano

comune-amantea-01Quando alcuni sottolineano il fatto che gli “Amministratori” pubblici di Amantea sono dei “bravi ragazzi” (o ragazze), che “bisogna fidarsi di loro”, fin da subito enfatizzano la propria credibilità senza alcuna provocazione di alcun tipo, io suggerirei di diffidare di costoro! Gli abusatori amministrativi tendono a “risucchiare” nel loro vortice le vittime con dolci promesse, falso rimorso e parole vuote sulla loro intenzione di cambiare soltanto per abusare della loro vittima (una città intera) in modo ancora peggiore. Nella mente inferma dell’abusatore, questo testare i limiti è una punizione per aver reagito all’abuso. Quando un povero narcisista-amministrativo prova a schiacciare il bottone del “reset emotivo”, delimita con ulteriore forza i limiti dei propri concittadini piuttosto che farli retrocedere. Le persone tossiche ed abusive, nel vestire i panni amministrativi della cosa pubblica, amplificano nell’esaltare la propria capacità di essere gentili e compassionevoli dall’alto del loro “scranno”. Spesso chiedono ai cittadini di fidarsi delle loro capacità a prescindere, senza prima costruire una solida base di effettiva fiducia. Tutto questo è destinato a ripetersi alle prossime elezioni amministrativa di Amantea con l’assoluta complicità degli Amanteani. Come in passato, i futuri amministratori della cosa pubblica esibiranno un alto livello di empatia all’inizio del loro rapporto con i propri concittadini per prenderli per il culo, senza troppa difficoltà. Subito dopo la loro elezione, la falsa maschera verrà giù soltanto in un secondo momento. Nella fase di svalutazione del ciclo dell’abuso, quando la falsa maschera comincia pian piano a cadere, si scoprono come in realtà sono: terribilmente disumani, distaccati e arroganti.
Se si potessero misurare le attitudini delle classi dirigenti meridionali, ma anche degli innumerevoli studiosi, artisti, cantanti, giornalisti e scrittori che ne amplificano le lamentele, penso che troveremmo entrambi su valori estremi di “attribuzione esterna”. Un paese, il nostro, che sta senza ombra di dubbio peggio di altri paesi del Meridione. A questo aspetto oggettivo si innesca il consueto repertorio di interventi più o meno sdegnati che da decenni accompagnano le pseudo- analisi del Sud, con la altrettanto consueta richiesta di una “svolta” da parte di lor signori, che son sempre gli stessi a parte i loro visi incartapecoriti.
Gli Amanteani come sempre, invece di ribellarsi, come in passato preferiranno il “nomadismo con la valigia”, oppure l'accettare un "lavoro" per un paio di mesi.Tutto questo nell’indifferenza generale.

Gigino A Pellegrini
G el Tarik

Pubblicato in Primo Piano

bonoRiflettendo, in riva all’Ulisse agitato e ad un rosso tramonto, sul sentimento di libertà e su quello passionale, sono giunto alla conclusione che ambedue costituiscono la sostanza propulsiva necessaria al superamento di ogni steccato di razza, cultura, religione, classe sociale. Qualcuno ha scritto: “Chi ama liberamente può amare chiunque e qualunque cosa.” Di certo, chi osa amare non ama ciò che gli viene imposto che deve amare, ma ciò verso cui sente spontaneamente e liberamente amore. Al contrario l’amore non libero, ma “illecito” o forzato o distorto o anche semplicemente incanalato è costretto a restringere il suo campo di azione nell’ambito di ciò che viene predestinato dalle convenzioni sociali e religiose come giusto, o comunque legittimo. Il libero sentimento si muove indipendentemente dalle limitazioni psicologiche e sociali, assumendo così un vero e proprio carattere rivoluzionario. Il libero sentimento è di fatto rivoluzionario, non nel senso che combatte direttamente le barriere umane e le regole sociali, ma nel senso più profondo del termine, in quanto si muove direttamente nella verità della dimensione umana, insomma nel cuore dell’uomo, nella sua specifica umanità, nella autenticità dei rapporti umani. È impossibile resistere al richiamo allettante della passione. La passione non ha rivali; incontrastata, domina la mente e il corpo, usurpa tutte le forze e se ne nutre impudicamente, ottenebra il lume della ragione, divora ciò che ancora non ha soggiogato con il suo potere stordente; impietosa, ruba ogni esiguo stillicidio di serenità, sospingendo subdolamente la vittima nel suo vortice. La passione annichilisce e delizia, ubriaca di vita e dissipa, crea e distrugge, affonda nei relitti dell’inferno e innalza allo splendore celestiale. Il libero sentimento rivela i moti sottili dell’indomito spirito umano, apre i cuori degli uomini ed unisce spontaneamente le persone tra loro. Il sentimento libero è un atto rivoluzionario e davanti alle barriere umane: filtra tranquillamente attraverso di esse, noncurante di esse, si muove indipendentemente da esse, e mette in relazione le energie. Ogni vera ed autentica rivoluzione, in questo come in altri casi, non è tanto una lotta contro ciò che opprime, quanto l’affermazione e la manifestazione diretta di una verità dell’animo umano, una verità di sentimento, che indirettamente fa crollare ogni realtà costruita, artificiosa e dunque falsa. L'amore appartiene per sua natura alla sfera dell'indicibile; come tutto ciò che ha a che fare con l'anima, con la dimensione più profonda e segreta dell'essere, è vicino al mistero, si accompagna al silenzio. Superare la barriera dell'inesprimibile, dare forma, corpo all'indicibile è un'impresa folle, 'piena di paura', in cui soltanto gli artisti, i poeti si sono cimentaci da sempre. Di fronte all'amata l'amante prova un senso di incredibile pienezza e, contemporaneamente, ha il sentore di aver vissuto fino a quel momento in uno stato di privazione: la sua presenza è fonte di un benessere che sembra avere possibilità inesauribili. L'esperienza sembra dirci che è la vicinanza a provocare il turbamento: qualcuno o qualcosa verso cui lo sguardo si dirige ci cattura. Ma in verità l'amore vive e si alimenta di ciò che accade in noi, della nostra interiorità. La persona su cui ho fermato i miei occhi e il mio desiderio assume per me un significato unico: è insostituibile perché soltanto essa può evocare in me delle dimensioni interiori profonde e particolarissime.

Per non scrivere d’altro..

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Calabria

amantea-3“Ahi serva Amantea, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello!”

Questa città va restaurata cacciando i mercanti dal tempio, pressando i sedicenti “politici” con il contributo e la responsabilità di tutti i cittadini, ben sapendo che non tutti faranno propria la responsabilità, avvoltoi e sciacalli ci saranno sempre. Il Paese va rifondato sulla pietra lavica del bene comune, cancellando con il tempo decenni di malaffare, corruzione e di ideologie e ricette economiche demenziali, isolando mafie, corporazioni, massonerie. Utopia? Bene ci penserà la storia a sistemare tutto di un'Amantea serva, senza timoniere, spesso e volentieri casa di prostituzione politica ed economica! I peones della politica Amanteana si sono subito rifugiati dietro gli ordini impartiti da tre clowns i cui portavoce hanno passato la giornata a smentire l'ironia e l'offesa di una domenica di Giugno verso la cittadina, purtroppo non più donna di provincia ma governo di bordelli! Affascinante è stato ascoltare un oscuro e sconosciuto Sparaballe polifemico alzare la voce per imporre il nulla. Nessuno dovrebbe dire agli Amanteani cosa fare, sono più che certo che hanno la possibilità di rivoluzionare la propria collettività, non certo gruppetti privilegiati e le loro marionette che si aggirano per le strade. Vedo Amantea come l’Italia di Dante nel VI Canto del Purgatorio e l'incontro di Dante con Sordello da Goito, un famoso poeta e trovatore del XIII secolo ispirò in Dante la famosa invettiva nei confronti di un'Italia definita in crescendo “serva”, “nave senza timoniere”, “non signora delle sue province ma casa di prostituzione” proprio perché divisa e lacerata al suo interno da continue lotte e rivalità. Dante riconobbe che questa condizione così desolata era dovuta ai politici del tempo ma soprattutto alle due somme autorità, il papa e l'imperatore, che per ambizione e miopia non adempirono ai loro doveri di guide spirituale e temporale. Trovo incredibilmente attuali questi passi del sommo Poeta. E trovo altrettanto incredibile come la storia spesso di ripeta e si diverta a fare la rima! Il discorso è angoscioso, ma mi sembra inevitabilmente giusto farlo, dal momento che sulla questione ho riflettuto molto e riguarda tutti gli Amanteani che amano il proprio paese. Perché si è caduti così in basso? Non per orgoglio né per presunzione, ma per 'disperazione sociale' mi rivolgo ai miei concittadini per esortarli a fare uno spietato esame critico della coscienza civile evitando ogni formula consolatoria. E la premessa per uscire dall'abisso nel quale la città è precipitata. Mi rivolgo allo stesso popolo che, stordito dalle promesse e abbagliato dalla propaganda, rimane ormai inerme e assai disilluso. Una collettività di lavoratori aggrappati al posto di lavoro come un infante al seno della madre, un lavoro spesso mal retribuito e senza possibilità di crescita. Una parte della collettività fatta di disoccupati alla ricerca di qualsiasi cosa, indipendentemente dalle ambizioni, dal pregresso professionale o accademico. Anziani, ex lavoratori, frequentemente derubati della dignità e costretti ad una sopravvivenza al limite della decenza. Una popolazione di malati, disabili, invalidi a cui viene negata assistenza. E’ in queste condizioni che Amantea si avvia all’ennesima estate fatta dalle solite polemiche sull’immondizia, sulla fognatura che finisce per “sbaglio” nelle sacre acque dell’Ulisse, sull’inaccettabile condizione delle strade comunali, sulla mancanza di acqua, ecc.

Gigino A Pellegrini

scheda001Qualche giorno fa, durante una intervista rilasciata a “Zippa 29”, sono stato poco chiaro nell’invitare la popolazione di Amantea a non votare.

 

In realtà domenica bisogna votare ma mettendo nell’urna una scheda bianca.

Chiaramente, considero la scelta di votare una lista il male minore, come il vero cancro metastatizzato delle democrazie moderne.

Alcuni anni or sono, in occasione di una scadenza elettorale, un celebre giornalista italiano invitò i propri lettori a turarsi il naso e a compiere il proprio dovere di cittadini, recandosi a votare per il partito allora al potere.

Il giornalista era ben consapevole che all’olfatto della gente quel partito emanava il fetore di decenni di putridume istituzionale — soprusi, corruzione, malaffare — ma la sola alternativa politica disponibile sul mercato, la sinistra, gli sembrava ancor più nefasta. Non rimaneva quindi che turarsi il naso e votare per i governanti già al potere.

 

Per quanto riguarda Amantea, non tutti si rendono conto della gravità della situazione.

Gli Amanteani sembrano convinti che abbiamo grandi problemi: in particolare la disoccupazione, l’inettitudine dei politici, la stagnazione economica. Molti ci mettono anche il dissesto pubblico, ma al riguardo si dicono che, come si è fatto per il passato, si farà per l’avvenire. Comunque nessuno teme che le cose vadano peggio. Non solo, sono convinti che votando il male minore è l’unica cosa da fare. Restare nell’ambito del male minore non pone troppi problemi; il problema comincia nel momento in cui si esce da questo ambito, nel momento in cui lo si distrugge. Basta osservare che tra due mali il peggiore è sceglierne uno, ed ecco la polizia bussare alla porta. Se si è nemici di qualsiasi partito, di qualsiasi guerra, di qualsiasi ricco, di qualsiasi sfruttamento della natura, non si può che risultare sospetti all’occhio dell’autorità. In effetti, è qui che comincia la sovversione. Rifiutare la politica del male minore, rifiutare questo istinto che induce a conservare la propria esistenza invece di viverla, porta necessariamente a mettere in gioco ogni cosa in quanto il mondo reale e le sue “necessità” perdono di significato. Non che l’Utopia sia immune alla logica del male minore, no di certo. Durante i periodi rivoluzionari è proprio in questo modo che sono stati fermati gli assalti degli insorti: quando infuria la tempesta e le ondate minacciano di spazzare via tutto, c’è sempre qualche rivoluzionario più realista del Re che si affretta a dirottare la rabbia popolare verso rivendicazioni più “ragionevoli”. Dopo tutto, anche chi vuole mettere sottosopra questo mondo ha paura di perdere tutto.

Anche se di quel tutto, non c’è nulla che davvero gli appartenga. Sia chiaro, tutto ciò non impedisce a noi tutti di cogliere la nocività di quanto abbiamo di fronte. Sappiamo di scegliere comunque un male. Ciò che ci manca — e ci manca perché ci è stata sottratta — non è tanto la capacità di giudicare il mondo che ci circonda, la cui infamia si impone con l’immediatezza di un pugno in faccia, quanto quella di andare al di là delle possibilità date.

Dire “meglio” invece che “meno peggio” è un po’ come dire “è il meno peggio e mi dà anche soddisfazione”.

Dire semplicemente “meno peggio” significa omettere la parte sulla soddisfazione, perché la soddisfazione non c’è o non è granché.

Ma dal punto di vista del confronto tra i candidati non cambia nulla: il meglio è sempre, immancabilmente, il meno peggio. Chiarito questo equivoco, il discorso dovrebbe spostarsi sul perché e il percome Tizio sia meglio (o meno peggio) di Caia, o se invece sia vero il contrario, o se invece ancora sia meglio votare scheda bianca come atto cosciente di ribellione al sistema. Invece in tanti rimangono intrappolati nell’equivoco e si mettono a dibattere di un problema inesistente, come se ci fossero due diverse filosofie e logiche del voto e della vita – votare per il meglio o votare per il meno peggio.

Questo dibattito è fuorviante.

L’argomento del “male minore” è un argomento che puntualmente salta fuori quando vi sono da prendere determinate decisioni politiche o legislative.

I favorevoli, la stragrande maggioranza, al “male minore” si pongono sulla linea del “cedere per non perdere”, sulla necessità di “limitare i danni”. Chi sposa questa prospettiva afferma che è doveroso scegliere un “male minore” se questo può servire a evitare un “male maggiore”.

Oppure, trovandosi di fronte a due mali, si afferma l’obbligo di scegliere il minore perché bisogna avere il coraggio di “sporcarsi le mani”, mentre non scegliere affatto è considerata una condotta da irresponsabili. La logica del “meno peggio”, il ricatto morale sulle conseguenze, l’adattarsi a un’offerta scarsa, sono da sempre l’arma vincente delle politiche povere, pigre, mediocri, e delle scelte di persone inadeguate e indigeste. L’aberrante soluzione del minore dei mali.

L'opzione "Non voto" fa schifo in qualunque caso, perché come dicevo prima ognuno può interpretare questa cosa come meglio crede, e comunque chi ha votato decide (e ha più potere per capita). Qualcuno dice che il pragmatismo ci ha portato qui... Io dico che il pragmatismo è la migliore soluzione realisticamente possibile. La migliore in assoluto è l'ideologia, che però non è realistica e applicata in piccolo numero non serve a niente e fa gli interessi del più forte (chi ha più voti in teoria). A meno di essere proprio organizzati per votare in bianco, una specie di partito/movimento della scheda bianca. In questo modo l’elettore si reca comunque a votare, ma sceglie di non dare alcuna indicazione di voto.

Le schede bianche saranno comunque valide pur non contenendo alcuna preferenza e influendo, come ovvio, sul risultato finale. Voglio svegliarmi lunedì 12 giugno con la notizia che gli Amanteani hanno depositato nell'urna il 50% delle schede bianche. L’inizio di una vera e propria rivoluzione.

Gigino A Pellegrini

Pubblicato in Amantea Futura

immagineEl Tarik non può aspettare. Non so voi, ma personalmente la cosa mi sconforta.

Era bello sapere che lui era ancora in giro, che la prendeva come viene, per noi miserabili.

Accidenti! Spero proprio che alla fin fine non avrà ragione.

Con questo direi che abbiamo concluso, è praticamente tutto. Le cose sembrano essersi messe bene per lui e qualche altro onesto cittadino. È stata una bella storia, sofferta ma pulita. Non vi sembra? Mi ha fatto proprio ridere. Almeno in certi punti.

 

Mi è dispiaciuto che qualcuno se ne sia andato prematuramente.

Ma, d'altra parte, ho saputo che c'è un piccolo ribelle in arrivo. Credo che sia questo il modo in cui la dannata commedia umana procede e si perpetua. Di generazione in generazione, la carovana che va ad ovest attraverso il deserto, nel tempo, fino a... ma guarda un po', ho ricominciato a vaneggiare! Beh, io spero che vi siate divertiti e che ci vedremo ancora lungo il cammino.

 

Ehi, amico, t'è rimasta un po' di granita di fragole?

Quella buona! Sotto il cielo stellato di giugno, El Tarik si avvia, a mia insaputa, verso una nuova ed esaltante attività nel bel mezzo del Mare di Ulisse, dove non vi sono cornacchie né sparaballe a rompere le scatole, ma solo il beccheggiare dolce del mare sui fianchi della Zuby II.

Oh, aver qui una Musa di fuoco, per poterci levar sempre più in alto nell’immaginazione, verso più intense e luminose sfere!! Un oceano per scenario, principi per attori, una platea di re per spettatori di questa grande rappresentazione! Vedremmo allora agir, come dal vero, su questa scena, il bellicoso G, nel portamento simile ad un Marte, recandosi al guinzaglio come cani impazienti di agire al suo comando, la fame, il ferro, il fuoco…

 

 

Perdonate, cortesi spettatori, le nostre disadorne e anguste menti se abbiamo osato presentarvi qui, su questo nostro indegno palcoscenico, sì grandioso argomento:

I tromboni sono dei personaggi immortali della commedia umana, si annidano tra le pieghe di ogni comunità e lì allignano, rotolano nel fango e nella loro merda, s’infrattano, si gonfiano come rospi nelle notti d’estate, tutti boriosi e caproni della loro nullità e tutti verdognoli a causa del loro infinito bovarismo e così, visto che sono privi di una personalità definita, novelli Zelig, si modellano su qualsiasi evento accada, grande o piccolo che sia, per diventare concavi se quelli sono convessi e convessi se quelli sono concavi, e poter così succhiar loro linfa e sangue e umori e poi masticarli, ruminarli e trangugiarli fino a farli diventare parte di loro stessi. Far emergere, come in un testamento spirituale, tutta l’essenza di un teatro in cui la risata sgorga, amara, da una vera «poetica del cialtrone», capace di svelare senza indulgenze la sproporzione tra l’atteggiamento sbruffone e millantatore degli Amanteani e le loro reali capacità, il loro individualismo tanto generoso di parole quanto gretto nell’animo e nei fatti. Ridere delle miserie umane, infierire sui disgraziati smascherandone difetti, tabù e pregiudizi. Non sempre bisogna andare a cercare significati metaletterari dove non ci sono. Non tutto è metafora e allegoria. A volte le cose sono così e basta. Così, anche su questa “tranquilla” cittadina del Sud, la morte aleggia in sogno sulla città. Simile a un dipinto di Chagal, simile ai quattro cavalieri dell’Apocalisse che solcano i cieli in nome della storia, “Il Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al Sud l’antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri” (Franco Cassano). Dalla prua di Zuby II, all’improvviso El Tarik decide di abbandonarmi tuffandosi e a nuoto raggiungere una petroliera battente bandiera Libanese. Si è arreso davanti a tanta negligenza, buffonaggine, incapacità. Ha deciso di non rivolgere più lo sguardo verso la costa e immaginare una comunità, quella Amanteana, in perfetta armonia con il proprio passato e proiettata verso un futuro radioso per i propri figli non più costretti a vivere lontani dal luogo che li ha visti nascere. El Tarik mi ha lasciato solo in questa valle di lacrime e dabbenaggine, senza aspettare lo scontato risultato delle elezioni comunali.

Gigino A Pellegrini

Pubblicato in Amantea Futura

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Un tramonto, percorrendo in auto una strada della mia terra, la Calabria insieme all’amico Perego.

Non eravamo sicuri del nostro itinerario e fu un sollievo incontrare un vecchio pastore. 
Fermammo l’auto e chiedemmo informazioni ma le sue indicazioni erano tutt’altro che chiare, gli offrimmo di salire in auto per accompagnarci sino al luogo giusto, a pochi chilometri di distanza: poi lo avremmo accompagnato al punto in cui lo avevamo incontrato. 
Lui decise che non era il caso di avventurarsi in macchina con due sconosciuti. 
Ci fermammo in una stazione di servizio a prendere un caffè e ripartire alla ricerca del gommista che interessava a Perego. Lo trovammo dieci minuti più tardi. Perego scese e si mise a parlare con il proprietario mentre io rimasi all’interno della macchina.

“ Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita” Jack Kerouac.
Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse del luogo dov’ero nato, pensai ch’era più divertente viaggiare e vedere le parti del mondo a me sconosciute. Era anche un modo per scacciare la malinconia e di regolare il tempo. 
Ogni volta che m'accorgevo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scendeva come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgevo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di stare a guardare i funerali che incontravo, e specialmente ogni volta che il malumore si faceva tanto forte in me che mi occorreva un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in strada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decisi che era tempo di mettermi in viaggio al più presto e di nuovo. 

Qual era la verità che si nascondeva dietro l'irrefrenabile desiderio di muovermi? 
E cosa dire del viaggiatore, spirito errante eternamente insoddisfatto, capace di viaggiare attraverso il tempo, nella memoria perenne come in un attimo sfuggente, in uno spazio chiuso eppure senza confini.

Cosa mi spingeva a quest’opera mutevole come poteva essere un pensiero e un debole respiro? 

Perché, si dirà, non è forse tutta la vita un breve viaggio verso una meta oscura? 

A che giovava viaggiare per dover tornare, muoversi e ritrovarsi poi sempre allo stesso punto? 

Più scendevo in profondità e invece che trovare una risposta, accumulavo solo altre domande. 
Perché viaggiare, dicevo a me stesso, era in fondo uno stato dell’animo, a cui non si poteva chiedere ragione della sua esistenza, esiste perché noi esistiamo. 
Dal momento in cui nasciamo, fino a quello in cui moriamo, ognuno di noi effettua dei cambiamenti, sia fisici che mentali, che formano il nostro carattere e il nostro modo di essere: questo è quello che accade in un viaggio "normale", perché ogni volta che viaggiamo nel senso che ci spostiamo fisicamente verso un altro luogo, volenti o nolenti ci tocca confrontarci con gli altri e anche con noi stessi, con le nostre capacità: ad esempio, se si va in un paese straniero bisogna confrontarsi con lingua e culture nuove, e questo ci cambia interiormente anche se noi non ce ne accorgiamo subito. 
Anche la vita funziona in questo modo: ci si imbatte in persone e situazioni diverse, con le quali dobbiamo confrontarci.Viaggiare, spostarsi da un luogo all’altro è dunque radicato nell’inconscio collettivo dell’uomo; è un sedimento primitivo e come tale va integrato se si vuole recuperare in noi il senso stretto dell’esistenza.  
L’umanità ha assistito nel corso della storia per secoli a migrazioni di massa e di popoli per i vari continenti ed è impensabile che tutto ciò non abbia lasciato traccia nella comune memoria collettiva profonda. Ritagliarsi uno spazio da dedicare al viaggio, nella moderna società occidentale, oramai del tutto stanziale, rappresenta il minimo tributo da versare alle tracce un vuoto nei ricordi della memoria, della nostra iniziale, oggi inconscia, condizione di esseri itineranti.
L’impulso a viaggiare è irrefrenabile, fa parte della natura umana, è una passione che divora e arricchisce allo stesso tempo, come il desiderio della felicità. Gli dei mettevano alla prova gli uomini: inizialmente fecero sorgere in loro il desiderio di andare, poi li misero di fronte a innumerevoli difficoltà, quasi a voler ribadire la piccolezza dell’uomo in confronto al potere degli dei; gli eroi dovevano dunque lottare, difendersi, affrontare le prove, sopportare le difficoltà: ecco da dove nasce l’antico concetto di viaggio come sofferenza. Sentii la voce di Perego che mi invogliava a svegliarmi. 

Gli risposi citando l’inizio di una vecchia storia: “Di colui che vide ogni cosa…” così inizia la saga di Gilgamesh, uno dei più meravigliosi poemi dell’antichità.

Era ora di riprendere il viaggio verso casa dopo una lunga giornata passata sulle strade calabresi. La persona che parte per un viaggio, non è la stessa persona che torna e non solo perché ha imparato cose nuove, fatto esperienze, visto un mondo di cui prima non conosceva, se non vagamente, la realtà, ma perché il viaggio lo ha, letteralmente, plasmato: “Il viaggio non soltanto apre la mente: le dà forma”.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Italia
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