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Amantea: RITRARRE LA VITA DI UN UOMO

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Ti porto in me,

come un amore

privo di anelli e di clamore,

pieno di sogni e di parole.

Un popolo ignorante e credulone è come un vento brutale che rende deserti i campi. Ci sono voluti anni per capire che delle creature, sotto mentite spoglie, erano entrate, armate fino ai denti, in un paese che non era il loro. Questi alieni provenienti da un’altra galassia son venuti a governare l’Italia, la Calabria e Amantea.

Se rimarrò solo, avrà avuto ragione la donna che mi ha definito "produttore di fiumi di parole inutili". In parte aveva ragione. Nella mia replica faccio notare che la mia inutilità non dipende da me ma dalle persone che non danno respiro e continuità a ciò che scrivo! Io scrivo, Care Donne, sperando che qualcuno non renda inutile le mie parole, agendo insieme con il fine di ribaltare questo potere abusivo ottenuto con l'inganno e con il ricatto.

Scrivo per capire e forse, far capire, a chi governa la nostra amata Calabria, che sono stati gli Amanteani a dar loro il mandato per essere governati. Kazimiera Alberti, una scrittrice polacca che non più tardi di mezzo secolo fa ebbe modo di conoscere la Calabria e le origini di noi calabresi legittimi discendenti di quella Magna Grecia avvezzi a portare abiti eleganti e di nobili tessuti che abitavano in case ricche di marmi e opere d’arte ; donne che portavano gioielli raffinati e che abbellivano le loro case con ceramiche, vasi, statuette, mobili ed affreschi ;

Calabresi che frequentavano teatri, cibandosi di alimenti scelti e vini deliziosi: “…..questo fu un mondo in cui gli dei non si vergognavano di essere uomini e i filosofi, gli artisti e gli atleti di essere Dei. Un mondo che non solo promise la bellezza ma, secondo le sue povere forze umane, la coltivò e la realizzò. Un mondo privo di utensili e strumenti scientifici fu più vicino alle realizzazioni odierne di quanto lo fosse il Medio Evo e molte volte fu la base senza di cui nulla avremmo potuto creare. Un mondo in cui corpo ed anima ebbero uguale diritto al rispetto e alla felicità”.

Questo è ciò che ci appartiene e per sempre ci apparterrà. Questa premessa è stata necessaria per ricordare a tutti noi chi eravamo. “Quando i Romani erano ancora poveri pastori abitanti in capanne di paglia….quando Roma era formata da vicoli stretti e tortuosi e casupole di fango…….quando migliaia di poveri... mangiavano fave ed aceto e ‘pane plebeo’, qui, sotto il cielo di Calabria, sulle rive dei suoi due Mari, fioriva ricca, sensuale, una delle più raffinate culture dell’umanità: la ‘Magna Grecia’!”

Questo dovrebbe farci riflettere su chi siamo e cosa pensiamo di fare su ciò che bisognerebbe fare per scacciare gli Alieni che governano questa meravigliosa terra chiamata Calabria!

Qualche Giunta fa, la Stessa partecipava ad una manifestazione presso il porto turistico di Amantea. Manifestazione organizzata da diportisti e pescatori per contestare una “Ordinanza”, da parte del capo del circondario marittimo e Comandante del porto di Vibo Marina, che disponeva “… con decorrenza immediata” vietando “l’ingresso/uscita dal porto turistico di Amantea a qualunque tipologia di unità navale”.

Davanti alle telecamere del TG Regionale della Rai, l’allora Sindaco prometteva, immediatamente, di mettere “in sicurezza” il porto e dunque di rispondere celermente con i fatti alla risoluzione del problema. Ad oggi la situazione del porto è rimasta immutata sia per i diportisti che per quei pescatori che, vivendo del loro lavoro, si vedono costretti a restare a terra nella disperazione.

Oggi Amantea vive delle situazioni molto simili a quelle appena citate, nella indifferenza della popolazione e nel totale disprezzo e noncuranza da parte dell’Amministrazione comunale.

  1. Da quattro mesi, l’Amministrazione di Amantea ha ricevuto una sentenza inappellabile che l’Amministrazione deve fare eseguire e che riguarda uno scorcio di Amantea incredibilmente bello, quello di Coreca che un privato aveva fatto suo costruendoci sopra baracche e baracchelle e un parcheggio a pagamento. Quasi ogni giorno passo da tale luogo e tutto è rimasto com’era prima della sentenza.
  1. Inutili sono stati i tentativi di far capire allo sprovveduto tifoso di calcio dell’Amantea 1927 e del Campora calcio che il rimedio non bisognava cercarlo da chi non può e mai vorrà attuarlo, essendo appartenente ad un mondo diverso dal nostro e dunque insensibile e incapace di fornire la soluzione ad un misero ma umano problema.

Non basta un bel manifesto elettorale per nascondere la falsità. Così come dovrebbe far riflettere che ci siano alcuni “maestri del pensiero” in questa nostra Cittadina che hanno grandi responsabilità nell’operare per il Bene Pubblico, con grande serenità e lucidità fanno addirittura della separazione, della scissione del vero dal giusto e dal bello la loro bandiera cultural/professionale.

È quanto manifestano i cittadini di Amantea nell’apprendere che ogni inettitudine, da parte degli Amministratori non è una giustificazione, ma una triste ammissione di incapacità di gestire la cosa pubblica.

“La più pura ed espressiva manifestazione della volontà è, però, la lotta, e lo è in quanto tutte le manifestazioni della volontà potrebbero essere considerate, in senso molto lato, come lotta!” G. Lukàcs.

A quale conclusione deve giungere un cittadino se non che coloro che hanno prodotto tali regole sono inadatti a farlo? Si arriva alla conclusione che ogni forma di programmazione è pura fiction, pura sostituzione della realtà con una sua protesi artificiale allo scopo di procurare emozioni a chi non è più in grado di provarne nella vita di ogni giorno.

Ancora una volta è dimostrato che chi è preposto alla cosa pubblica non dovrebbe essere la Autorità ma il cittadino stesso. Sono passati mesi, anni da quando le situazioni denunciate dai cittadini hanno evidenziato anomalie concrete e disagi. Sono anni che nulla viene fatto.

Ogni qual volta riflettiamo, sarebbe bene cominciare riflettendo sulle parole. Sarebbe un primo grande atto di responsabilità verso le parole, che veicolano una storia, più precisamente, la nostra storia.

Un tale atto di responsabilità terrebbe quindi conto del parlare delle parole prima che qualcuno le parli e implicherebbe un interrogarsi circa i pensieri che, attraverso di esse, potrebbero nascere nel cittadino. Esso dovrebbe precedere la scelta di ciascuna parola della riflessione, specie se si tratta di una riflessione pubblica.

Premettere tale necessità significa dire già qualcosa circa l’etica, quella del parlare, e la gestione di una cosa pubblica quale è, per esempio, la lingua che parliamo. “Etica” viene dal greco ethos che vuol dire costume, abitudine, usanza. L’etica comprende il complesso delle usanze che regolano la vita sociale, così come quella di ciascuna singola persona che vive sempre, inevitabilmente, con gli altri e le cui azioni ricadono pertanto, direttamente o indirettamente, anche sugli altri.

La parola “gestione”: una traduzione potrebbe essere “amministrare”, che significa pure controllo e perciò tutela. “Cosa pubblica” rinvia, invece, a tutto ciò che non appartiene a un individuo, come se fosse stato lui a crearlo o acquistarlo, o perché è solo lui a usarlo, bensì qualcosa che è condiviso, che non può mai davvero dirsi proprio, che giunge dagli altri. L’etica della cosa pubblica comprende dunque gli usi che ciascuno può fare di ciò che appartiene a tutti, in quanto di ciascuno, e che, anche quando rimesso alle volontà del singolo, deve rispondere inevitabilmente dell’altro a cui pure appartiene quello spazio in cui e magari su cui egli agisce.

L’etica della cosa pubblica comprende la responsabilità verso l’alterità dell’altro, verso i suoi diritti: è il dovere di garantire, nella norma, le sue libertà; è il dovere di non tradire l’altro. La gestione della cosa pubblica deve fare in modo che l’etica non venga mai trasgredita. Chi amministra non può non sapere che ogni suo agire individuale, e anche privato, con ciò che è pubblico, include una responsabilità dell’altro. Ciò che è pubblico non può mai essere “mio soltanto”, tanto meno quando sono io ad averlo direttamente, per così dire, tra le mani. Al contrario infatti, in tal caso, la responsabilità dell’altro è maggiore, in quanto sono io il garante di ciò che è e deve restare di tutti.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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