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Più che una inchiesta – carte alla mano – la vicenda assume i contorni di una caccia alle streghe. Uno scontro interno tra poteri e una montagna di soldi in mezzo da gestire. Il caos in Vaticano è cominciato il 2 luglio con una denuncia presentata ai magistrati dal direttore generale dello Ior, Gian Franco Mammì.

Prima di arrivare a depositare un atto formale tanto grave, Mammì aveva fatto un passaggio previo da Papa Francesco – con il quale ha un rapporto antico e molto stretto - per farsi dare il via libera e informarlo che la Segreteria di Stato gli aveva sollecitato un finanziamento di 150 milioni di euro per estinguere un oneroso mutuo che gravava su un immobile di pregio a Londra, all’incrocio tra Draycott Avenue e Ixworth Place. Mammì era imbestialito.

(Ndr Ma il Papa non era intervenuto decisivamente)

LA LETTERA

Il mese precedente, il 4 giugno, il Sostituto della Segreteria di Stato, il venezuelano Pena Parra mandava un funzionario (uno dei cinque inquisiti) a consegnare allo Ior una lettera con la richiesta di poter disporre, urgentemente, di 150 milioni di euro. Per «non bene precisate ragioni istituzionali» annotano i magistrati. La richiesta di finanziamento passa all’esame - come è prassi - ma Mammì si impunta e non la concede. Non ne ravvisa «la compatibilità con le specifiche finalità statutarie dell’istituto».

A quel punto la questione si blocca e così monsignor Pena Parra, la settimana successiva, torna all’attacco per sollecitare una risposta chiedendo «una anticipazione di liquidità per ragioni istituzionali della Santa Sede». Quali sono queste ragioni? Dalle carte dei magistrati viene spiegato che i soldi servono per estinguere un mutuo già contratto presso un’altra banca che grava su un immobile londinese di proprietà della Segreteria di Stato.

ELEMENTI OSCURI

A detta dei magistrati (e dello Ior) si tratta di una richiesta «che evidenzia alcuni elementi di opacità, tenuto conto che non specifica il beneficiario di tali somme». Tuttavia nella lettera che Pena Parra invia allo Ior riferisce a Mammì per filo e per segno che quei soldi sono necessari alla cancellazione delle ipoteche che gravano sull’immobile. Ipoteche contratte da una società di proprietà della Segreteria di Stato che a sua volta detiene la proprietà di un bene posto a garanzia. Tutte le operazioni in esame fanno riferimento ad un arco temporale di circa 12 mesi.

Nel frattempo anche l’Ufficio di Revisione Generale – un organismo che ha l’obbligo di audit di tutte le realtà amministrative della curia – procedeva a fare le pulci alle operazioni in corso. Così l’8 agosto manda un documento ai magistrati vaticani per segnalare che la maggior parte delle attività finanziarie della Segreteria di Stato risultano depositate presso il Credit Suisse, nelle filiali svizzere e italiane, dove è versato quasi l’80 per cento del portafoglio gestito. Una montagna di denaro. La vera origine dello scontro pare sia proprio qui.

La smoking gun. Il fatto è che i soldi della Segreteria di Stato non sono affatto depositati allo Ior ma su un altro istituto di credito. Il Revisore Generale parla così di conflitti di interessi, visto che si tratta delle donazioni ricevute dal Papa per le opere di carità, per il sostentamento della curia, in pratica l’Obolo di San Pietro. I magistrati annotano che si tratta di importanti cifre «impiegate in fondi che, a loro volta investono in titoli di cui il cliente non viene messo a conoscenza nonché in fondi allocati in paesi offshore come Guernsey e Jersey, ad alto rischio speculativo e di dubbia eticità». 

CONTORNI SPECULATIVI

Il mancato controllo diretto da parte dello Ior sul denaro depositato al Credit Suisse, secondo il Revisore Generale farebbe emergere i contorni «chiaramente speculativi delle operazioni, con il rischio di fare esporre l’intero Stato a rischi patrimoniali e reputazionali». Per farla breve: i soldi investiti altrove «potrebbero essere usati per finalità incompatibili a quelle che li hanno generati» e di conseguenza l’Obolo di San Pietro potrebbe essere messo in pericolo, mentre se fosse gestito dallo Ior i rischi si azzererebbero. 

I magistrati dalle intercettazioni telefoniche e dalle indagini ricostruiscono il filo delle attività finanziarie della Segreteria di Stato e concludono che le «attività di acquisizioni di immobili ai fini di investimento» sono riservate solo all’Apsa, che la Segreteria di Stato non ha informato il Consiglio dell’Economia, che il mutuo richiesto non risponde alle finalità religiose, che ci sono stati passaggi finanziari non chiari.

ABUSO DI AUTORITÀ

«Tali elementi consentono di evidenziare come nella gestione possano essere ravvisati gli estremi del reato di abuso di autorità» per i cinque funzionari della Segreteria di Stato che sono finiti sotto indagine e sospesi dal lavoro in via cautelativa. Ora l’autorità giudiziaria dovrà appurare se effettivamente gestivano in autonomia le operazioni oppure no. In attesa della prossima puntata di questo scontro inedito tra poteri.

IlMessaggero Sabato 5 Ottobre 2019 di Franca Giansoldati

Pubblicato in Italia

Il monsignore di Salerno Nunzio Scarano, un funzionario dei Servizi segreti - e un broker finanziario sono stati arrestati nell' ambito di un filone di indagine sullo Ior in corso alla procura della Repubblica di Roma.

L'alto prelato, l'agente dell'Aisi Maria Zito e il broker finanziario Giovanni Carenzio sono stati bloccati questa mattina da militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, con le accuse di corruzione e truffa. Tra i reati contestati, anche la calunnia. L'indagine nasce come filone autonomo della più ampia inchiesta sullo Ior.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate del gip Barbara Callari su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei sostituti Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci.

La vicenda giudiziaria ruota intorno ad un accordo tra Scarano e Zito finalizzata a far rientrare dalla Svizzera 20 milioni cash di proprietà di alcuni amici del monsignore a bordo di un jet privato. Per questo «servizio», Zito avrebbe ricevuto 400 mila euro.

Scarano, tra l'altro, è coinvolto a Salerno in un'altra indagine per ricettazione, era già stato sospeso dal Vaticano.

Nel Palazzo Apostolico dove ha sede l’Apsa, l’amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, praticamente il forziere d’Oltretevere, da diversi giorni la scrivania del responsabile del servizio addetto alla contabilità analitica è vuota.

La luce spenta, l’ufficio chiuso. Monsignor Nunzio Scarano è stato sospeso cautelativamente dal lavoro dopo che la Procura della Repubblica di Salerno lo ha iscritto nel registro degli indagati assieme ad altre 56 persone per il reato di riciclaggio. Una accusa pesantissima che ha suggerito ai suoi superiori di agire senza indugio. «La sospensione dal servizio in via cautelativa scatta automatica, da regolamento, quando un dipendente, laico o consacrato, risulta soggetto a provvedimenti giudiziari sia da parte della magistratura vaticana che di quella italiana» spiegano al di là del

Tevere aggiungendo che nonostante la sospensione al monsignore verrà garantito lo stipendio in attesa del verdetto definitivo. Solo se sarà giudicato colpevole e responsabile dei fatti a lui contestati scatterà il licenziamento e l’allontanamento dalla Santa Sede.

Provvedimenti simili sono stati presi recentemente anche per Paoletto, il maggiordomo che aveva trafugato le carte dall’appartamento pontificio, per Claudio Sciarpelletti, il tecnico dei computer e per un gendarme anch’esso coinvolto nell’affaire Vatileaks. Il caso Scarano e l’ombra del riciclaggio stanno causando notevole imbarazzo in Vaticano perché ancora una volta il comportamento di un singolo prelato rischia di gettare una luce sinistra sull’immagine complessiva della Curia e dello Ior, la banca sulla quale si sta concentrando l’attenzione di Papa Francesco deciso più che mai a vederci chiaro e capire se si tratta veramente di una specie di porto delle nebbie come spesso viene descritto. Anche la neonata commissione d’indagine appena istituita è frutto di un orientamento teso a garantire un piano di riforma all’insegna della pulizia e della trasparenza.

L’inchiesta relativa a Scarano, coordinata dal pm Elena Guarino, riguarda un giro di assegni che passando sotto forma di donazioni sarebbero rientrati in una operazione di riciclaggio.

Secondo l’ipotesi accusatoria, il prelato riceveva assegni ufficialmente per ripianare i debiti di un’immobiliare a Salerno. Il denaro - sempre secondo l’ipotesi al vaglio degli investigatori - veniva restituito in contante agli imprenditori che avevano effettuato le donazioni. Spetterà ora agli inquirenti appurare se la società immobiliare è in qualche modo collegata allo Ior e al conto di cui era titolare il monsignore. Scarano, originario di Salerno, vive da tempo a Roma, in un appartamento in via della Scrofa con la madre, anche se ha mantenuto profonde radici nel salernitano dove attualmente possiede alcuni immobili di pregio.

In Vaticano c’è chi ricorda le origini piuttosto modeste della sua famiglia, la vocazione al sacerdozio arrivata in età adulta quando era impiegato alla Banca d’America e d’Italia, la sua intraprendenza. Dopo l’ordinazione venne portato a Roma dal cardinale Martino che per lungo tempo lo ha considerato suo pupillo. Poi ad un tratto i rapporti si sono interrotti.

Continua su “Il Mattino” di oggi 28 giugno

Pubblicato in Mondo
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