Un agente di Polizia penitenziaria è stato sospeso per un anno dal servizio per aver fatto recapitare a un detenuto nel carcere di Parma un telefono cellulare e un registratore audio.
Un cellulare è consegnato tra le sbarre di Via Burla, senza stratagemmi, libri usati come nascondiglio o ingegnosi nascondigli: semplicemente recapitato a un detenuto.
Non un superboss, ma un criminale comune, seppur con una fedina penale di un certo rilievo: a lui, carabinieri e Polizia Penitenziaria, che su ordine della procura nei giorni scorsi hanno passato sotto la lente di ingrandimento stanze e alloggi del personale del carcere, sono convinti il telefonino sia stato recapitato con semplicità.
Per denaro, forse. O altre piccole promesse che ora per l’agente, lasciato comunque a piede libero, è scattata l’accusa di corruzione.
E il caso, su cui le indagini si stanno concentrando anche se per ora si parla di mere ipotesi, vuole che nel febbraio 2013, quando dal carcere, dopo, probabilmente, mesi di macchinosa organizzazione, fuggirono Valentin Frrokaj e Taulant Toma, di turno nel loro settore fosse proprio lo stesso agente, che la sera prima dell’evasione era rimasto in turno fino a tardi, proprio assegnato a quelle celle.
All’epoca, a differenza di altre undici persone rinviate a giudizio, otto delle quali (l’ex direttore, l’ex comandante e altri sei poliziotti) per procurata evasione, sotto indagine per quella fuga, non fu indagato.
Poi gli approfondimenti.
Ed ora i risultati.
A corromperlo, "con la promessa di benefici economici e di altre utilità" come hanno fatto sapere i carabinieri del Nucleo Investigativo, che hanno condotto le indagini, sono stati in concorso tra loro il destinatario delle 'attenzioni', un pregiudicato 58enne di origine calabrese detenuto per altri reati.
Il pregiudicato, tra novembre e dicembre 2014, aveva aggirato in questo modo le limitazioni imposte dalla detenzione e aveva potuto avere contatti con persone esterne alla casa circondariale. Per lui l'autorità giudiziaria ha disposto la misura cautelare in carcere.
L'agente era già stato sospeso dal servizio dall'Amministrazione penitenziaria
Ora ci si chiede chi abbia chiamato il detenuto con quel telefono: familiari e amici, parenti.
L’atto alla guardia potrebbe costare carriera e distintivo.
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