
Nei giorni scorsi Amantea ha avuto ospite il professor Robert Cirillo, Linguista della Università di Amsterdam.
Il professore ha avi amanteani.
Il bisnonno, infatti, si chiamava Gaetano Caruso ed era nato ad Amantea nel 1873.
Il 1930, il bisnonno raccontò una favola dal titolo “Le Sette Mele d’oro” al padre e questi la raccontò ai suoi figli ed ai nipoti.
Il professore Cirillo nello scrivere la bellissima favola, che a breve sarà data alle stampe con il suo straordinario corredo di immagini, ha avuto, così, “la sensazione di riportarla a casa dopo più di130 anni”.
Ci ha grandemente sorpreso questo amore per il luogo natio dei suoi avi che emigrarono e portarono nel mondo questa favola come se fosse il vestito buono, quello della festa.
Per questo amore per Amantea ed ovviamente anche per la sua cultura gli siamo stati vicino sia la prima che la seconda volta, nei giorni scorsi.
Insieme con Roberto Musì lo abbiamo accompagnato in giro per il centro storico e gli abbiamo fatto assaggiare la cucina del suo e nostro paese.
Nei giorni scorsi, infine, lo abbiamo accompagnato prima nella chiesa di Sant’Elia ( dove è rimasto incantato da quanto ha visto e soprattutto dalla straordinaria ricostruzione del centro storico fatta dal maestro Rocco Bonavita) e poi sulla rocca del castello dove abbiamo potuto visitare la Chiesa di San Francesco d’Assisi e la rocca civica, ma senza riuscire,come lui avrebbe voluto, a giungere fino al castello
Il pianoro era pieno di erba altissima che nascondeva ogni trappola possibile.
E’ lo stesso destino amaro di qualunque turista che si metta in testa di leggere e capire la storia di questa nostra Amantea.
E non diverso è per gli amanteani che volessero visitare i luoghi della nostra storia.
Ma la nostra e sua amarezza deriva dalla visione di una gravissima situazione di prossimo crollo della rocca civica.
D’altro canto siamo ad Amantea.
E se le finanze del comune sono in una condizione di gravissimo dissesto perché mai non dovrebbero esserlo i nostri monumenti, il nostro centro storico?
La domanda muta che ci siamo posti io, Roberto Musì e Gregorio Carratelli, suoi accompagnatori, e che forse avrebbe voluto rivolgerci il nostro amico linguista della Università di Amsterdam, “La storia della nostra città e della sua gente è straordinaria. Una antica favola può essere ricordata e ristampata ma i monumenti millenari come la rocca civica ed il castello devono essere salvati prima che tutto crolli e con essi crolli la memoria degli amanteani”.
Ben si sa che prima e dopo un grande evento ci si prepara.
Per esempio per la partita Juve Real Madrid erano state stampate le magliette che si vedono nella prima foto.
Ne sono rimaste tante. Almeno sembra, a giudicare dal prezzo di occasione che si nota nella foto che un romanista ha posto sul web (è quel romanista che in nome dell’appartenenza quando la Juve gioca con il Crotone suggerisce ai calabresi di tifare Crotone, ma non certo perché sia anti-juventino. Affatto!).
E non basta .
Tutto il popolo della Juve si era preparato per una grande sfilata.
Anche qui ad Amantea.
A tanti è rimasta la voglia. Di buono c’è che non si è speso carburante e non si è inquinata l’aria della città.
Ma per Amantea la sfilata è solo rimandata .
Giorno 12 giugno Amantea sfilerà.
Almeno 3 le compagini pronte a dare sfogo alla propria felicità.
Ci saranno bandiere, ci saranno auto strombazzanti, ci saranno fan arredati, sorrisi sfoggiati.
Qualcuno sembra che si sia fatto preparare anche il baldacchino d’oro sul quale prenderà posto per dimostrare il suo potere e mentre girerà per Amantea e Campora San Giovanni farà ripetutamente il gesto apotropaico dell’ombrello.
Qualcuno si dovrà contentare della sediolina fatta di braccia.
Qualcuno prenderà una spremuta di limoni con bicarbonato, qualcuno prenderà antidepressivi, neurolettici, tranquillanti, ansiolitici, ipnotici e calmanti.
Qualcuno butterà sale dai suoi balconi e dalle sue finestre.
Così fan tutti, così faranno gli amanteani.
Chi sfilerà?
Ma è indubbio, il vincitore.
E chi è?
Che importa?. Uno ei tre partecipnti.
E poi ricodiamoci che ad Amantea nessuno perde .
Perde sempre la città!
E come sempre ci saranno i furbi o pseudo tali che si camufferanno da vincitori, pronti, cioè, a salire su una delle auto del vincitore, dove c’è sempre un posto vuoto, e farà di tutto per farsi vedere dagli altri, pronto a chi dovesse dirgli: “ma tu non eri della lista di……..?”; “ma che dici…era tutta una mossa concordata per capire come avrebbe votato la gente”; “ Ma se mi hai chiesto il voto per……..?” ; “E che c’entra sapevo che votavi per la lista di…….e ti ho suggerito un amico!”
Non solo. Sarà proprio lui che chiederà quando si farà festa e la partecipazione sarà come la ciliegina sulla torta. E magari poterà pure lo spumante : quello in offerta, però!
Sabato 3 giugno nella Chiesa di San Bernardino alle ore 12.30, organizzato dalla Caritas amanteana si terrà "Il pranzo di Solidarietà: Il pane di Sant’Antonio".
Il pranzo è stato incluso nel programma religioso della festività di Sant’Antonio del 2017.
La principale novità di questa edizione è la partecipazione congiunta di Frate Rocco Predoti della parrocchia di San Biagio VM e di don Luigino Zoroberto della parrocchia di Santa Maria e Campana.
Due i parroci, due gli elementi distintivi dell’evento
Il primo è la solidarietà , quella che la caritas evidenzia con lo slogan “Il pane spezzato è più buono dell’aragosta”
Il secondo è la festa di Sant’Antonio, patrono della città,e la occasione di ricordare il perché del “Pane di Sant’Antonio” , un momento di condivisione fatto della distribuzione gratuita di panini ai fedeli partecipanti alla processione e che trova origine in un miracolo operato Padova da Sant’Antonio, all’inizio del culto antoniano.
Era il 1257,dopo la liberazione di Padova dalla tirannide di Ezzelino dato che i monaci si dedicavano tranquillamente alla costruzione del sacro edificio.
L’episodio narra di un bambino di non ancora due anni,figlio di buoni genitori che abitavano vicino alla chiesa del Santo:un giorno Tommasino, così si chiamava, trovandosi solo per qualche momento,ne approfittò per trastullarsi accanto ad un grosso recipiente pieno di acqua;mosso dalla curiosità,forse nel tentativo di afferrare la sua immagine riflessa,si sporse sul bordo e vi cadde dentro a testa in giù.
In pochi attimi morì soffocato.
Quando la madre,intenta in alcune faccende,ritornò e si mise a cercarlo; lo trovò,cadavere, in quel contenitore.
Cominciò allora a gemere con alte grida.
Accorsero i vicini ed alcuni frati che assistevano alla costruzione della Basilica e tutti si diedero da fare per rianimare il piccolo Tommaso,ma non ci fu nulla da fare.
Per quanto confortata dai presenti e pur invasa dal dolore di quella tragica perdita,la donna confidando nell’intercessione di Sant’Antonio fece voto di distribuire tanto grano quant’era il peso del bambino se questi fosse ritornato in vita.
Trascorse alcune ore,proprio mentre la madre dolente rinnovava il suo voto di carità fraterna, il suo figliolo riprese a vivere!
La promessa fù presto mantenuta e la devozione si propagò sotto il nome di “Peso del Bambino”.
Naturalmente,quel grano divenne pane per i poveri,”il Pane di Sant’Antonio”, appunto.
Si diffusero così le due pie pratiche,cioè quelle di offrire il pane per i poveri e di porre i bambini sotto la protezione di Sant’Antonio.
La devozione dell’offerta del pane però,col tempo si affievolì.
A ridarle un nuovo impulso contribuì un altro prodigio del Santo di Padova;questa volta avvenne in Francia,nella città di Tolone,circa il 1888.
Una signora,tale Luigia Buffiero,gestiva un piccolo esercizio commerciale.
Non era una devota del Santo, ma aveva sentito dire che Lui faceva ritrovare le cose perdute.
Una mattina la donna non potè aprire il suo negozio:la serratura a segreto era rotta e,a quanto pare,aveva anche smarrito la chiave adatta ad aprire.
Fece chiamare subito un fabbro ferraio che,con un grosso mazzo di chiavi e con tutta la sua esperienza,armeggiò per quasi un’ora senza riuscire ad aprire la porta.
Alla fine perse la pazienza e diede ad intendere che si sarebbe allontanato per qualche minuto per andare a prendere gli attrezzi per sfondare quell’ingresso,così stranamente resistente alla sua provata abilità.
Nel frattempo la bottegaia pensò che se offriva del pane per i poveri certamente quel Santo tanto nominato avrebbe risolto il caso senza dover abbattere la porta,con la conseguenza di maggiori spese e perdite di tempo.
Tornato che fu il fabbro,con un aiutante,la signora fece presente il suo voto e li pregò di tentare con le chiavi ancora una volta,altrimenti si sarebbe proceduto allo scasso necessario per l’accesso al locale.
Il fabbro,sebbene poco convinto del risultato positivo prese,a caso,una delle chiavi del mazzo e la introdusse nella toppa già rotta.
All’istante la chiave girò nella toppa meglio della chiave originale!
Si gridò al miracolo e la donna mantenne la sua promessa.
Una sua amica testimone del fatto,avendo ottenuto una grazia per un parente,offrendo un chilo di pane,le regalò una statuetta di Sant’Antonio che ella pose nel suo retrobottega con una luce accesa: là molti si recavano a chiedere grazie ed offrire una certa quantità del prezioso alimento e le loro richieste venivano esaudite.
Nei soli mesi di novembre e dicembre del 1891 fu offerto pane per quasi 500 lire di allora!
Dalla fine dell’ottocento la tradizione del pane di Sant’Antonio riprese vigore ed i nostri monaci lo distribuivano in gran parte nella mensa del Refettorio dei Poveri,presso l’entrata del convento ov’era custodita la statua del Santo di Padova.
La tradizione si perpetua ancora oggi ed il pane,non più elemento necessario alla vita del corpo fisico,diviene ancor più di prima simbolo del cibo spirituale della fraterna condivisione che affratella tutti grandi e piccini,così come desiderava Sant’Antonio nel cui santo nome quel pane si offre a testimonianza di fede e a ringraziamento di grazie chieste e ricevute.
Il pranzo di solidarietà assume allora questo profondo significato.