Ha avuto ragione Roberto Aloe quando ha sostenuto che è ben strano che un Amanteano doc come Sergio Ruggiero, fortemente apprezzato e lodato in tutta Italia per i suoi romanzi storici, riceva, al contrario, una sostanziale disattenzione nella sua città.
Ed è per questo che ha intelligentemente proposto di incontrare qui, nella nostra Amantea, qualcuno di coloro che hanno inteso premiare il nostro principale scrittore Sergio Ruggiero, sia per capire meglio la grandezza del nostro autore, sia per esprimergli il nostro apprezzamento.
Parimenti vicini a Sergio la Presidente del Distretto Sud-Ovest Fidapa Giusy Porchia che ha preso la parola evidenziando le qualità del nostro scrittore amanteano, ed a seguire Franca Santelli presidente della FIDAPA Sez. di Amantea che ha sottolineato gli elementi antropologici del libro “Il Periplo degli Immortali” di Sergio Ruggiero.
Ha concluso lo scrittore di Antonio Cima che ha illustrato anche la impressionante presenza nei media dei libri di Ruggiero.
Straordinaria la conduzione della serata da parte di Franca Dora Mannarino che ha condotto l’evento con eleganza.
Apprezzate anche le letture a cura di Giuseppe Marchese delle pagine del libro scelte dall’autore.
Apprezzata infine la performance musicale ,chitarra alla mano, offerta dal poliedrico Ruggiero le cui canzoni sono state chiuse da forti applausi di apprezzamento.
Una piacevole ed apprezzata serata svoltasi nel chiostro di San Bernardino.
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Economia - Ambiente - Eventi
Cesare battista dopo aver mentito per 37 anni ora ammette i 4 omicidi. Perché? Quale è la vera ragione? Cosa nasconde questo per me finto pentimento? Chi lo guida? Chi è il suo suggeritore? E ' facile, se uno vuole, capirne le ragioni. Sono nelle sue seguenti parole :" io parlo delle mie responsabilità, non farò i nomi di nessuno". Ed allora ci chiediamo chi stia minacciando. Quanto potenti siano questi suoi complici e compagni di merenda. E poi che cosa si aspetta da loro. Forse la grazia? Purtroppo pensiamo di si. Se é così speriamo che Mattarella vada via prima di concederla!!
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Italia
Pregiatissimo sindaco, lei più di altri ha consapevolezza delle difficoltà nelle quali versa la nostra città. La prima e più importante è la mancanza di fondi per fare qualsiasi investimento. Uno di quelli assolutamente necessari è la promozione della città onde accrescere le presenze e non solo quelle turistiche. Brochure, opuscoli informativi e simili sono indispensabili. Per non parlare di campagne mediatiche e Pubblicitarie. Bene
Le ricordiamo che la Regione Calabria ha emanato un bando che ha come obiettivi esattamente quanto ricordato. Sarebbe utile ed importante che amantea chieda ad Oliverio tramite il settore affari generali della presidenza di tenere ben in conto la nostra città e le sue unicità quali momenti di promozione. Non costa niente e vale molto.
Giuseppe Marchese
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Primo Piano
Sta cambiando il clima.
Il Mediterraneo sta tropicalizzando e stanno arrivando anche i cicloni.
Non solo, ma sono sempre più frequenti le cosiddette bombe d’acqua.
Se osservate la pioggia caduta ad Amantea vi accorgerete che nel secolo scorso la massima piovosità non è mai andata oltre i 160 mm nelle 24 ore.
Grazie a questa conoscenza parziale siamo tolleranti nei nostri comportamenti e nelle nostre scelte.
Chi mai, infatti, andrà a riferirsi alle piogge del 1700 e del 1800 che furono così intense da creare piene incredibili che hanno trasportato verso mare immense quantità di materiali litoide costituendole attuali piane di Amantea, di Oliva, di Campora San Domenico( a sud di Campora San Giovanni).
Gli antichi abitatori di Amantea forti di queste conoscenze furono molto attenti ad evitare gli allagamenti delle attuali piane, quelle che oggi sono costruite.
Lo fecero nel modo più semplice.
Intanto costruivano le case sollevate .
Tra i “capimastri” si era usi dire che “i primi tri gradini su di l’acqua” e per questo le case erano rialzate di almeno mezzo metro!
Non solo alzarono le ripe dei fiumi e dei torrenti( Catocastro, Santa Maria, Calcato, Colongi, Corallo, Oliva, eccetera) ma crearono gli scarichi delle acque verticali verso il mare e soprattutto li conservarono vitali ed atti alla loro importante funzione.
Similmente la statale e le ferrovie, anche esse costruite in rilevato ma con molto sottopassi per garantire il deflusso delle acque.
Una cosa alla quale nessuno ha mai pensato è quella che la prima strada della marina, cioè via Dogana, venne realizzata in rilevato rispetto alla piana restante.
E questa scelta tecnica fu dovuta al fatto che in caso di alluvione la strada sarebbe stata comunque praticabile permettendo di raggiungere i terreni limitrofi.
Il primo errore fu quello che non vennero realizzati i sottopassi.
Si rimediò come detto con i canali che portavano l’acqua piovana dalle colline verso mare.
Le famose ed ignorate lave.
Parliamo di Via Lava Gaenza il cui deflusso oggi non è assicurato al punto che lo scarico a mare è perfino interrato!.
Parliamo di via Baldacchino le cui acque piovane( e non solo) anziché scaricare direttamente a mare, come logica avrebbe voluto , sono sollevate e portate al Santa Maria.
Una scelta illogica, infelice, pericolosa(sic!).
Parliamo del canale di Via Della Liberta nel quale confluivano le acque della lava di San Bernardino e che ora sono immesse nella rete fognante( sic!).
Parliamo del canale di Via Margherita misteriosamente inghiottito dalle successive costruzioni.
Per non parlare del canale di Via Garibaldi anche esso parzialmente inghiottito dalle successive costruzioni.
Ha ragione allora Tommaso Signorelli quando ricorda che “il clima è cambiato e noi non siamo attrezzati” e sollecita investimenti in direzione della tutela della “nuova” Amantea dalle attuali e future bombe d’acqua chiedendo “fatti e non chiacchiere”per mettere in sicurezza la piana di Amantea.
Onestamente non so nemmeno se, dopo tanti errori urbanistici e tecnici, sarà possibile.
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Economia - Ambiente - Eventi
Preg.mo sig Commissario Emanuela Greco, la Piazza è quel pugno di case poste lungo Corso Umberto Primo, la strada urbana che va da dal Municipio fino a poco oltre Piazza Santa Croce.
Qualcuna di queste case è caduta e si vede ancora la brutta ferita rappresentata dal crollo di un vecchio manufatto dove un tempo era allocata la Posta.
Il manufatto cadde per colpa delle perdite della rete idrica e fognaria.
Ed anche perché nel tempo Amantea ha dimenticato che se non si allontanano correttamente le acque piovane queste si infilano nel terreno sottostante indebolendo le fondamenta delle case.
Le prove di questa situazione sono fisiche ed ancora oggi evidenti.
La stecca di case lato ovest di Corso Umberto è vistosamente fratturata.
La foto ne mostra un esempio palese.
Purtuttavia sembra che l’ufficio della protezione civile di Cosenza abbia escluso la necessità dello sgombero delle abitazioni compromesse ma a condizione che si eseguano gli interventi suggeriti.
Tra questi :
-la realizzazione di opere di regimazione delle acque meteoriche che dovranno esser convogliate al di fuori del corpo di frana.
In sostanza si da atto che quelle esistenti non sono affatto idonee alla bisogna, anche perché quasi mai manutenzionate.
Si tratta di una grave omissione dell’amministrazione comunale in testa alla quale restano tutte le responsabilità.
-la realizzazione di opere di drenaggio sotterranee per il controllo delle acque di infiltrazione e delle acque di falda.
Anche in questo caso si impone che il canalone a monte sia manutenzionato e le acque avviate verso il fiume e verso il canale cd Delle monache.
Ovviamente occorrono urgenti controlli.
-la verifica delle reti idriche e fognarie presenti nell’area di frana e/o procedere alla loro sostituzione con tubazioni capaci di assorbire sforzi tensionali.
Si tratta di una ripetizione di una vecchia disposizione che imponeva la realizzazione di un canale a vista destinato a contenere tutte le reti.
-la realizzazione di interventi di rifacimento della pavimentazione stradale su Corso Umberto primo, Via Nazionale, Via Sopportico e sulle altre strade che interessano il corpo di frana, al fine di evitare infiltrazioni di acque meteoriche nel sottosuolo.
-la realizzazione di un adeguato intervento strutturale per il risanamento idrogeologico ed ambientale dell’intera area di frana.
-la estensione del monitoraggio inclino metrico e piezometrico a tutta l’area interessata dal fenomeno franoso considerata la densità abitativa della zona.
-la realizzazione di un sistema di monitoraggio strumentale real-time procedere ad effettuare una verifica strutturale sugli edifici interessati da un quadro fessurativo significativo.
Tra le altre cose l’ufficio di protezione civile ha ricordato la pavimentazione :
-Di Corso Umberto Primo è costituita da massicciata di ciottoli mista a lastre di tipo porfido;
-di Sopportico Piazza è costituita da cemento attualmente fratturato e dissestato;
-di Via Nazionale è costituita da un manto di asfalto con segni di danneggiamento in più parti.
E che tale realtà favorisce la infiltrazione nel sottosuolo delle acque meteoriche che alimentando la falda sotterranea provocano un aggravamento dello stato geomorfologico dell’area.
In sostanza la Piazza non è moribonda ma sicuramente non sta bene ed ha bisogno di attente e durature cure.
Non sarebbe male aprire tutti i pozzetti e pulire tutti i canali espungendo le acque che vi permangono.
E non sarebbe male nemmeno avvertire con parole semplici gli abitanti del quartiere sulla gravità della situazione franosa e sulle cautele da osservare.
Non vogliamo scaricare su di Lei tutti i guai di questo paese ma solo ricordargliene qualcuno.
Usi la sua autorità per ricordare all’Ufficio della protezione civile che Amantea ha bisogno di finanziamenti tratti dai fondi POR.
Se dovessero cadere queste case si perderebbe una parte della nostra storia.
Quella parte di storia che il centro storico esprime e rappresenta.
Quel centro storico che la invitiamo a visitare .
Grazie
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Primo Piano
Questo il comunicato della rete: “Come preannunciato nei giorni scorsi, nella giornata di giovedì 2 febbraio una delegazione della Rete “Difendiamo la Salute” ha incontrato la Commissaria prefettizia, la dott.ssa Emanuela Greco , per fare il punto sulla struttura sanitaria di Amantea.
Un momento di confronto, al quale ha anche partecipato la Direttrice del Distretto, dott.ssa Giuliana Bernaudo, utile per evidenziare le criticità presenti nella nostra struttura sanitaria pubblica di riferimento.
In particolare l’attenzione è stata posta sul Laboratorio analisi che da tempo ormai soffre di una carenza di personale tecnico per via di un meccanismo di rotazione che lo impegna presso il Centro trasfusionale di Paola.
Una situazione incresciosa, se si pensa che la struttura di prelievo e analisi serve un bacino di utenza ampio e che non proviene solo dal Comprensorio, che espone a rischio depotenziamento il Laboratorio.
Le preoccupazioni della Rete sono state condivise sia dalla dott.ssa Greco che dalla dott.ssa Bernaudo che si sono subito attivate per trovare una soluzione alla criticità rappresentata e per evitare che la struttura sanitaria di Amantea ed i servizi offerti possano risultarne depotenziati.
Nei prossimi giorni si terranno altri incontri sempre finalizzati a creare le migliori condizioni sociosanitarie e socioassistenziali nel territorio.
«Come Rete “Difendiamo la Salute” – ha dichiarato il portavoce Enzo Giacco - abbiamo chiesto alla dott.ssa Bernaudo ed alla dott.ssa Greco di affrontare congiuntamente il tema del sottodimensionamento dell’organico del Laboratorio.
La nostra richiesta si è esplicitata nella necessità di trasferire in pianta stabile almeno una ulteriore unità di personale tecnico presso la struttura.
Devo dire che abbiamo trovato nella Direttrice del Distretto e nella Commissaria prefettizia attenzione e sensibilità alla tematica.
Siamo convinti di poter dare a brevissimo buone notizie in merito.
L’occasione è stata utile per fare più complessivamente il punto sulla struttura sanitaria della città, anche con riferimento alla prospettiva della sua evoluzione in Casa della Salute, perché questa è la direzione in cui bisogna muoversi».
Amantea, 2 febbraio 2017 Rete civica “Difendiamo la Salute”
Ndr. Non possiamo non evidenziare ai nostri lettori la straordinaria impressione avuta per esserci trovata di fronte ad un rappresentante dello Stato che ha preso a cuore la vicenda del poliambulatorio e del laboratorio di analisi più di tanti Amanteani. Ci è sembrato sia il risultato della sensibilità, tutta femminile, della dottoressa Greco, ed insieme della sua professionalità nella ricerca delle soluzioni ad un grave problema del nostro comprensorio. Siamo fiduciosi di poter ottenere grandi e positivi risultati.
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Cronaca
Prima scena
Protagoniste:
zi Maria
Giuvanna
Rosina
Cicchina
Fiorinella
************************
Tic, tac
Tic, tac
La sveglia sul comò , quella con il gallo che si muove , fa un rumore infernale , ma per la zia Maria e’ una compagnia, durante tutta la notte.
Lei ormai vive sola da diversi anni, da quando la buonanima del marito e’ volato in cielo, come dice lei.
Drin, drin, drin, drin.
Clic
Si accende la luce sul comodino.
La piccola abat jour diffonde una luce smorta sul vecchio letto, alto, con due materassi, come quello dei nostri vecchi.
Drin, drin, drin, drin.
La sveglia continua a trillare
La zia Maria poggia un piede per terra, poi l’altro; si fa il segno della croce e ringrazia il Signore per questo nuovo giorno che sta per arrivare
Drin, drin, drin, drin.
Cerca con i piedi le vecchie pantofole.
Alza le vecchie reni , si stira un poco .
Drin, drin, drin, dr........
Ecco, finalmente abbassa il pulsante rotondo sulla testa della sveglia, ed il suono finisce.
Si avvia verso la cucina che si trova vicina alla stanza da letto.
Accende la luce.
Riempie la macchinetta del caffè, quella piccola, e la mette sul fuoco
E’ ancora buio.
Ogni giorno la zia Maria si corica presto e si alza presto.
Lei e’ nata in campagna.
E la mattina, sin da quando era bambina, doveva mungere il latte per i fratelli più piccoli, bollirlo e preparare la colazione. prima che partissero a piedi, presto, per andare a scuola, che era lontana.
Da quando era giovinetta la zia Maria si alza presto.
Dopo la prematura morte per parto della ancora giovane madre, e’ stata lei la madre dei fratelli.
Ed e’ sempre da giovane che la zia Maria si avvicina automaticamente alla finestra, apre lo sportello sinistro e guarda fuori per vedere l’alba.
Ma ancora e’ notte fonda.
Fiiiiiiiish, fiiiiiiiiiish,
Ecco, comincia ad uscire il caffè.
Spegne il gas.
Prende la macchinetta e la poggia sul vecchio tavolino di legno, dove ha lasciato tante sue impronte esagonali.
Non si brucia, invece, zia Maria; ha le mani callose, da sempre.
“Ahh, chi cosa bona nu caffe’ i prima matina”
Si, una tazza di buon caffe’ ti ristora lo stomaco, ti da’ una sferzata di energia, anche quando sei vecchia.
Alza la tazzina alla bocca e guarda fuori, e’ ancora notte.
“Mah”
Poi prende i fagioli dal cestino e comincia a sbucciarli, piano, piano.
Le bucce sul grembiule ed i fagioli nella piccola casseruola dove quando cadono fanno tin, tin.
E, intanto, passa il tempo.
Anche in cucina zia Maria ha un vecchio pendolo che accompagna le sue giornate , col suo mesto , ininterrotto e ritmico rituale sonoro.
La zia Maria non ama la radio; un tempo, forse.
E non ha la televisione.
“ quannu u signuru ha nventatu i fasuli ha fattu daveru na cosa bona.
Da sempre li mangia zia Maria.
Ecco ha finito.
Mette le bucce nel vecchio secchio; più tardi li porterà nel cassonetto della spazzatura.
Poi si avvicina alla finestra.
E’ ancora notte.
“…tiegnu l’impressiona ca stamattina a sveglia ma fricatu”
Sussurra piano, piano le parole.
Guarda il vecchio pendolo; non e’ stato mai preciso.
“…sa carretta un va bona”
E si avvia verso la stanza da letto.
Guarda la sveglia.
tic, tac, tic, tac
Il tic tac la scuote
Non sente rumori strani, sembra funzionare.
Ritorna in cucina .
Si riavvicina allo sportello, e’ ancora notte.
Zac
Alza il chiavistello.
Apre la finestra e sporge la testa fuori, piano, piano, guardando con l’occhio, ancora, buono.
“E’ notte funna e fa freddu. Friddu ? E’ na cangarena !”
Poi il dubbio si scioglie .
“Ah , e’ capitu ! E’ cangiata l’ura. Peccio’. Mi signu risbigliata n’ura avanti”
Si convince da sola.
“Allura i mintu u stessu i fasuli ! Tantu mangiu n’ura prima”
Riempie la casseruola d’acqua,accende il gas, e mette a bollire i fagioli, a fuoco lento e con il coperchio.
Poi si mette a recitare il rosario, come ogni mattina.
Passa un po’ di tempo.
L’acqua comincia a bollire, alza il coperchio.
Aggiunge gli odori.
Zia Maria ha finito il rosario.
Alza gli occhi verso la finestra.
E’ ancora notte!.
Si alza, apre la finestra, si affaccia.
Fa freddo.
Di fronte vede Giovannella.
Anche lei dietro il vetro della finestra.
“Rapa, rapa” Le dice .
Giovanna vede solo che muove la bocca, come se fosse un pesce, ma capisce.
Apre la finestra.
“Buongiorno zi Mari’”
“Buongiorno, Giuvanne’. Sapissi l’ura ? Ca a sveglia mia a’ ddessiri rutta.”
“Se’, zi Mari, mi signu appena dazata . Su li sei e nu quartu.
“Va buo’; ca mo a cuonzu a sveglia”
Va nella stanza da letto, guarda la sveglia; fa le sei ed un quarto.
Ritorna in cucina; anche il vecchio pendolo fa le sei e un quarto.
Resta perplessa; si fa il segno della croce.
Si riavvicina alla finestra, s’affaccia.
Ma Giovannella e’ rientrata
Allora si avvicina all’altra finestra, quella che da’ sulla strada; la apre, si sporge e guarda fuori.
Tante luci sono accese nelle case, ma fuori non c’e ancora nessuno.
“E’sempri notte.
Va buonu ca signu nsurdata, ma un’ mi pari ca u cammiu da munnizza e’ passatu, eppure e’ sempri puntuali, alli sei e dieci.
Forse si su dazati tardi.
Pero’ e’ stranu ; a chist’ura , quannu passe lu cammiu e’ gia’ juornu” pensa la zia Maria ad alta voce .
“Allura si vide ca e’ cangiata l’ura. Pò esse, po’ esse.
Avijmu i mintiri arrieti l’orologiu”
Pensa ad alta voce la zia Maria .
Controlla la casseruola , aggiunge un altro po’ di sedano, un po’ di cipolla, un peperoncino secco; si sente già il profumo dei fagioli.
Ancora non sono cotti.
Prende un’altra tazzina di caffè’. E’ freddo. Il caffè freddo non le piace. Prende i grani del caffè e li mette nel vecchio macinino. Poi riempie la caffettiera e la mette sul fuoco .
Guarda fuori, e’ ancora notte !
“ Eh , no, unnè capitu”.“E’ na cosa ca un mi piace”
Il suo sesto senso la ha allarmata, ma che fare ? Niente, deve aspettare.
Lei e’ vecchia.
Non ha nemmeno studiato. Lei ha sempre lavorato; sia per la prima che per la seconda famiglia.
Si siede, si rialza, cammina per la cucina.
Guarda fuori.
Tic,tac, tic, tac.
Guarda il pendolo in cucina.
“ I sei e mezza su passati i nu bellu poco ed e’ ancora notta !”
“Signuru mia. Ottantanni domani ed unne’ visto mai na cosa i chista !
Si avvicina allo sportello
Vede Giovanna che parla con Rosina
Apre la finestra .
“ Giuvanne’, su li sette meno venti ?“
Chiede Rosina , ancora insonnolita.
Giovanna alza gli occhi e vede zia Maria
Zia Maria e’ pensosa.
Lei e’ la più anziana del quartiere, ha tanta esperienza; a lei spesso si sono rivolte per un consiglio.
“Zi Mari ! “
Dice Giovanna
E zia Maria, capendo.
“ Veniti, veniti ; ca è misu a fari u cafe’; fa veniri puru a Rosina”
Due donne con lo scialle in testa passano il vicolo, scambiano alcune parole con altre persone e si infilano per le scale di Maria.
La porta e’ aperta.
Entrano Giovanna e Rosina .
“E’ permessu ?”
E senza aspettare risposta entrano.
Maria ha messo la caffettiera grande; nemmeno lei sa perché.
“E’ permesso ?”
Maria guarda Giovanna e fa un segno con la testa.
“ Sunu Cicchina e Fiorinella”
“Ah trasiti, trasiti,”
Risponde zia Maria.
“Bonivenuti Aviti vistu ?,
Dice zia Maria.
E,poi, alle altre donne, anche esse sorprese, aggiunge
“Aviti ntisu u cammiu da munnizza ?“
Le donne si guardano; NO, non lo ha sentito nessuno.
“I ca’, passe sempri alle sei e dieci e doppu passe lu treno di lavuraturi, chillu ca fischije sempri quannu arrive alla staziona.
Ah , u trenu, sè”
Risponde Fiorinella.
“Appuntu”
Dice la zia Maria.
Poi il silenzio.
Le donne si guardano tra di loro.
La zia Maria mette il caffè nelle vecchie tazzine del suo antico corredo, qualcuna senza manico, ma ancora buone.
Mette lo zucchero nella sua, porge la zuccheriera alle altre, comincia a girare lo zucchero.
Beve lentamente il caffè.
Ancora una volta il miracolo di una sferzata di energia.
Poi parla.
“Secondo me e’ success’ ancuna cosa; na cosa cunne’ bona. U tiempu passe e lu sulu un si daze.
Oh Jesu, Jesu “
Risponde Fiorinella , che e’ sempre stata la più paurosa.
“ Oh Jesu, Jesu “
Continua in cantilena, e si porta le mani al viso
“Eh no, no “
Fa Giovanna.
“A chi sta pensannu, Mari ?”
Intanto si sente il primo tocco delle campane della vicina chiesa.
Si segnano tutte, velocemente .
E tutte guardano la sveglia, segna le sette.
Ecco i rintocchi del pendolo.
La sveglia ed il pendolo allora vanno bene, lo confermano le campane.
“U vi’, u vi cunne’ successu nenti , i campani sonunu” .
Ribatte Rosina.
Guardano zia Maria che scuote lungamente la testa.
“Unne’ na cosa bona. Iu unnu sacciu chi e’ successu, ma unne’ na cosa bona”
“Ottantanni dumani e nunne’ mai vistu na cosa comu e chissa”
“Oh Jesu, Jesu”
Fa eco Fiorinella.
“ Iu vaju; vaju alla casa, ve risbigliu a maritima”.
E scappa senza dire altro, e continuando per le scale
“ Oh Jesu, Jesu”
**********************
Seconda scena
Protagonisti
Vicienzu du bar
Annuzza, a mugliera
Cicciu, u funtanaru
Mariu, u benzinaru
Dice la moglie Annuzza
Vici’, ma a genti stamattina add’uve’
Ed il marito poggiato alla macchina del caffè per riscaldarsi la schiena fredda
Annu’, e chi……. ni sacciu. Sbia fora.
Annuzza esce appena dalla porta del bar e non vede nessuno. No, in fondo alla strada vede due persone.
Vici’, sulu dua, la’ ssùtta
Ed il marito
E china sunu ?
Risponde Anna
Unni scanagliu buonu. Una, mi pare Cicciu, u funtanaru du comunu e l’atru…., l’atru…mi pari Mariu, …..chillu da benzina”
E Vincenzo
“E chi fanu ?
Anna
Guardunu versu i nua.
Allora Vincenzo dice
Facci signu, facci signu, ca ni mbormamu” .
Ed Annuzza fa segno con la mano di avvicinarsi.
I due s’ incamminano verso il bar
Stanu veniennu! Ma pecchi’ m’ a’ dittu di fari veniri ?
Dice Annuzza.
Oj Annu’, Cicciu sicuramente sa pecchi’ unne’ passatu u cammiu da munnizza. Su li sei e mezza; e loru a chist’ura su sempri ca ; su sempri i primi a ssi pijiari u caffe’ …….e l’ammazzacaffe .
Fa Vicienzu
Ah !
Risponde la moglie
Intanto entrano Ciccio e Mario che salutano.
Buongiorno…. Buongiorno !!!!!
U cafe’ ?,
Chiede Vincenzo, da dietro il banco. E prima che possano rispondere Aggiunge
” Offro io”
E prepara due caffè.
“Mo, mu pigliu pur’io”. Nu pocu d’anice?. Cu’ ssu freddu….. ricirche”
RispondonoCiccio e Mario
Uhm, uhm.
Il profumo dell’anice riempie il bar.
Bevono il caffè; si compie il miracolo di dare energia e calore.
Sembra ce ne sia bisogno, nel bar c’è un’aria strana. Nessuno parla.
Pure Ciccio, che e’ sempre un chiacchierone e ne dice pure troppe, e’ silenzioso. Qualcosa lo preoccupa.
Ed infatti e’ lui che rompe il silenzio
“A voliti sapiri na cosa!
Dice ad un tratto .
E senza aspettare risposta , come un fiume :
“Signu jutu a mari,….. pe cumprari dua pisci alli varchi, ma i lampari erano ancora fora. Ed erunu gia’ i sei e nu quartu. Forsi c’e’ pigliatu u suonnu, …..e’ pensatu.Ma pua e’ vistu ca alla marina c’ere sulu iu e mi signu dittu , sulu sulu, comu nu ciutu. Mah,…… a matina c’e’ sempri na fera…. E pensatu ca jive mala sa cassarola “
Ed indica il vecchio orologio. Poi continua
” Allura mi signu ricuotu versu a casa…… ed e’ ncuntratu a Mariu, ca ma dittu ca puru illu facie la stessa ura. E ce’ puru chiestu a Mariu si i spazzini avjuno fattu a nafta e ma ddittu ca null’a vistu…………. E’ veru Ma’. E pu’ ….. nmienza a via un c’e nessunu.
L’unicu che vistu e’ lu Pachjicu.”
“China?, fa Vincenzo.
Eh, eh….., u Pachjicu, u Pachjicu; eh,…. chillu ca ogni matina appena fa juornu esce culla bicicletta .
Ere dintru u purtunu , culla bicicletta alli mani, guardave fora, e zumpettave supri i gammi.”
E cosi dicendo Ciccio saltella sulle gambe.
“ E pua chi friddu stamatina”
Un fiume di parole.
Gli altri si guardano, Ciccio aveva materializzato un sospetto che non avevano avuto il coraggio di esternare.
Anna, intanto, e’ fuori dalla porta, guarda a destra, a sinistra, tante luci nelle case, ma nessuno fuori.
Il silenzio riempie il bar.
Drin, drin, drin…..
Squilla il telefono e Vincenzo risponde
“Pronto. Si , si. Sette e sette. “Va bene. Uh , subito, subito, cinque minuti”.
Anna guarda Vincenzo
“ Ci va puorti? Arrieti ca’, alli carabinieri. Va subitu, ca c’e lu capitanu. Sunne’ capitu mali, ce’ ancuna cosa sutta.”
Vincenzo alza gli occhi interrogativamente e mette i polsi incrociati.
Anna esce e porta sette cappuccini e sette briosce.
Intanto Ciccio guarda l’orologio, quasi ogni minuto.
Pure Mario guarda l’orologio.
Stanno per scattare. Si sentono estranei al bar.
Ed insieme : “Grazie Vici’……….
Ma Vincenzo li ferma.
“Oh ,….ca mo vene Annuzza e ni cunte……”
Ciccio e Mario si guardano, sono curiosi, sorridono. La prima notizia si vende bene.
Arriva Anna.
Tutti la guardano.
Anna alza le spalle, fa un gesto con gli occhi.
“Stavunu escjiennu culli machini, e’ sentutu ca parravunu cull’altri stazioni e tutti stavunu pe’ descjiri”
Ciccio, Vincenzo e Mario si guardano.
E Cicciu:
“ unnaviti capitu ,…eh ?. Unnaviti capitu ! Loro sanu ancuna cosa. Loro sanu sempri tuttu , e prima, prima i nua!”.
“ Eh chi ?” , fa Mario.
E Ciccio “Ohi Ma’, su quasi i setti ed e’ ancora notti, su li setti e lu sulu ancora un se dazatu !”
Un vento freddo sembrò entrare nel bar, colpirli nelle spalle , penetrare loro nelle ossa .
“Vaju alla casa. Oj mi pigliu nu juornu”, disse Ciccio.
E Mario lo segue.
Terza scena
Protagoniste:
zi Maria
Giuvanna
Rosina
Fiorinella
altri
Sono tutte fuori, nel vicolo.
Altre donne si sono unite a loro.
Le più anziane avvolte nello scialle.
Qualcuna si accarezza le mani per riscaldarsi, qualcuna tiene le dita incrociate, come in preghiera, ma scosse da movimenti nervosi.
“ Pecchi’ un chiamamu u sinnicu?”, dice Giovanna
“E chi t’ha di diri , u sinnicu ?” , risponde zia Maria
«Eh, sempri u sinnicu du paisu e’», continua Giovanna.
E, sempre, zia Maria , Chillu magari ancora dorme, nua u risbigliamu ….e chi ci dicimu: Sinnicu,….. pecchi’ un nasce lu sulu? “
“E allura a china chiamamu ? “fa eco Fiorinella .
Le donne si guardano tra di loro.
“A don Franciscu, a don Franciscu, u prievitu”
Fa Rosina
E Giovanna un po’ delusa della proposta
“ Seh, …e chillu cumince, ca e’ nu signu divinu, ca nua simu peccaturi, ca u vangelu dice ca u munnu finisce quannu è tuttu chjnu i peccati . Accussi ognunu penzamu alli nuostri, china ha arrubbato, china ha fattu i corni allu maritu, china………”
Intanto le donne avevano tutte abbassato la testa.
E la zia Maria ,“ Forsi unne mali ca chiamamu u prievitu,……. si ni dice si cose; ca nu pocu i coscienza i chiù avissimu d’aviri tutti, forse . Iu mi spagnu, inveci , ca illu unni sa rispunniri i nenti e si spagne cume nua”.
Un attimo di silenzio, la paura adesso esce fuori. Come era successo con Fiorinella.
“E si chiamamu i carabinieri ?”, fa eco Fiorina .
Ed ecco che si materializzano.
I carabinieri vedono il gruppo di donne e si fermano.
Un attimo, e resta solo la zia Maria.
I carabinieri, allora, se ne vanno.
“ Guagliu’ “ Dice zia Maria, alzando la voce per farsi sentire dalle altre donne nascoste dietro le proprie porte .” Iu vaju alla ghiesia. Sapiti adduvu mi trovari…..,si succede ancuna cosa. Vua diciticcellu alli mariti vostri. Ah, unni risbigliati i guaglioni. Oj scola un ci nne’. Nua, forsi facimu buonu a pregari, cumu unn’avinmu mai fattu.”
Quarta scena
Protagonisti
Vicienzu du bar
Annuzza a mugliera
don Cicciu
u maresciallu di carabbinieri
u sinnicu
altri
Anna e’ sulla porta del bar.
Vici’, vicì a gente sta desciennu.
Ah, buonu, buonu, accussi cominciamu a fari nu pocu i cafe’.
Risponde Vincenzo.
E comincia macinare altro caffè.
La gente entra. Fa freddo. Un caffè riscalda il corpo, anche se e’ lo spirito che occorrerebbe riscaldare.
Il bar e’ pieno anche se e’ ancora notte e le luci della pubblica illuminazione sono accese.
Intanto si sente il secondo tocco della messa mattutina: sono le sette e un quarto.
Vincenzo, si accorge che la gente nel bar e’ silenziosa.
Ognuno ha un rapporto particolare con la propria tazzina di caffè.
Ognuno la guarda, la gira, la stringe nella mano, quasi a riscaldarsi, o forse per trovare sicurezza in una forma comune, ordinaria, quotidiana, antica…...
Ma non sembra che trovino ciò che cercano,anzi forse proprio la tazzina da’ corpo ai pensieri più nascosti, alle preoccupazioni più celate.
Vincenzo cerca di smuovere la situazione; e comincia con le sue barzellette.
Uno solo ride.
Tutti gli altri lo guardano senza vederlo.
Ognuno e’ con i propri pensieri.
Anna lava le tazzine, nervosa, poi esce fuori.
Giovanni la guarda come a chiederle che cosa vede.
Anna si avvicina e gli sussurra qualcosa negli orecchi.
Giovanni diventa serio.
Entra don Ciccio.
Più alto degli altri, corpulento, don Ciccio era sempre stato chiacchierato.
No, non che alcuno sapesse, ma uno come lui, che era notoriamente più intelligente degli altri, faceva un po’ paura.
Con lui pochi riuscivano a chiacchierare.
Se si trovava in buona compagnia era brillante, frizzante, simpatico.
Se qualcosa gli andava storto tirava certe botte! ; poche parole ma che sferzavano violente come sciabolate nell’aria.
E poi quando ti guardava pareva che ti leggesse dentro e ti mettesse a nudo.
Ma tutti lo accolsero con un “Buongiorno don Ci’”
E lui guardando tutti, “Buon giorno allu cazzu.”
“Adduve’ su juornu.? Mancu vua c’iaviti capitu nenti, eh ?.” E lu culu vi fa qua,qua.”
Ecco, era lui , sempre lo stesso. Attaccava .
“Don ci’ u cafe’.” , fa Vincenzo
“No,….nu cappuccinu”
Risponde don Ciccio
“Cullu cacau i supra ?”, fa Vincenzo
“No , Vici’, u sa cun mi piace.”Conclude don Ciccio e poi rivolto a tutti i presenti,
“Allura chi voliti sapiri ?”
Silenzio .Nessuna risposta
“Chi ni piensu iu ?. O miegliu , chi sacciu, iu ?”
Tutti stavano con la bocca aperta .
“Chi sapiti, don Ci’ ”
Dice il fesso di turno.
Intanto arriva il cappuccino e lui comincia a sorseggiarlo.
“Sacciu…….”
E via un altro sorso.
“ Eh, eh,…….. Sacciu …….
E tutti restano sospesi come in attesa di una parabola del Signore
Sacciu …….ca u sulu s’e fermatu “.
“ Cumu, cumu…? “fa Vincenzo
Intanto tra gli astanti, sottovoce .
“Cu dillu un sa mai si ti piglije pè culu o si sta diciennu a verita’ “.
“ Cittu, cittu, fammi sentiri “ , continua Vincenzo e don Ciccio continua
“ Sacciu ca u sulu s’e’ fermato . E’ telefonatu all’america . E là u sulu e’ mpittu allu cielu ca su sia o sett’ura “.
“ Cumu, cumu ?“. fanno in coro.
“ Eh chi vo’ diri ? don Cì, chi vo diri? “, sempre in coro.
Don Ciccio li guarda negli occhi, uno dopo l’altro, gli occhi e lo sguardo seri, poi esclama
“ Vo’ diri ca a terra un gire chiù “.
Silenzio. Intanto la gente era anche sulla porta del bar.
Un tam tam silenzioso aveva portato tanta gente vicino al bar. Le teste si alzavano; qualcuno in punta di piedi .
“E mo chi succede? “ , fa qualcuno dal fondo
“Difficile da dirsi.”, risponde don Ciccio
E tra gli astanti, “Minghia sta parranno sul serio; quannu parre in italiano u chiu’ di voti dice la verità.”
“E’ come se si fosse fermato il tempo”, fa don Ciccio “Ognuno conserva le condizioni che aveva in qual preciso istante in cui si è fermata la terra”.
“E mo adduve nua chi ura e’?”, chiede un astante.
“Se sono vere le informazioni che mi hanno dato, e’ circa mezzanotte “
“Allura u sulu d’escje n’atri sia uri ?”, continua il solito che non capiva mai niente
“Si , se la terra ricomincia a girare “ conclude don Ciccio
Poi uno dei presenti, “Don Ci’, don Cì…….. e sun n’asce “
Lui lo guardò, fulminandolo.
Sembrava che il tempo si fosse fermato due volte.
Anna era con le mani sotto la fontana, la testa bassa ma non riusciva a lavare più una tazza.
Giovanni non macinava più caffè, stava con le mani conserte e si toccava .
I presenti si guardavano l’un l’altro.
Ed infine don Ciccio:
“E sun’nasce ……su cazzi pè tutti. Ja , jativinni alla casa vostra e dicitici alli vuostri chillu ca e’ successu, e’ giustu ca u sanu. Pua china tene fida si mintisse a pregari “.
Ma prima di andare via si fermano alcune auto.
Entrano i carabinieri e Vincenzo .
Buongiorno. Marescia’ ch’è successu?.
Ed il maresciallo
“Ancora il comando non ci ha fatto sapere niente” .
E don Ciccio non potè trattenersi, “Marescia, puru vua siti allu scuru?”.
La risata fu spontanea e liberatoria; pure il maresciallo si mise a ridere .
Poi dal fondo
“Vu dicimu nua chillu’ ch’è successu”. U munnu s’è fermatu”.
E poi
“U sapiti ca all’america u sulu ancora addi puniri”
Ed ognuno diceva la sua o quello che gli veniva in mente.
Don Ciccio non era più nessuno.
Detto ai carabinieri, si poteva dire a tutti.
Trenta secondi ed il bar era vuoto.
“Don Ci’” fece il maresciallo. “ Ma e’ vero quello che hanno detto?”.
E don Ciccio
Potrebbe esserlo; e’ una spiegazione plausibile, logica, per quanto inverosimile.
Il maresciallo si avvicina a don Ciccio
Parlottano.
Poi il maresciallo gli tende la mano,
“Grazie don Ci’”
Ed escono.
Anna , svegliatasi. “Don ci, chi ciàviti dittu?”.
E don Ciccio scosse la testa.
“Quant’e’?. Chiese don Ciccio.
“Nenti , nenti don Ci’, offro io”. Disse Vincenzo “Ma va puozzu fari na domanda?”
Don Ciccio abbassò lievemente la testa
Nua c’amu i fari?. Continuati a fari cafè, si vi fermati puru vua amu fatti daveru culli cazzi!.
Restano solo in tre .
Al tocco della terza campana don Ciccio sta per uscire.
Entra il sindaco e fa “Buongiorno don Cì ”
“Buongiorno sindaco” risponde don Ciccio
Don Ci’, che vi offro?. Fa il sindaco
Grazie sindaco ho già preso un cappuccino
Risponde don Ciccio
Don Ci’ con questo freddo…. qualche cosa di caldo….
Insiste il sindaco .Era un invito, il sindaco voleva sentire se la voce che gli era arrivata era giusta
“Va bene grazie” dice don Ciccio
E rivolto a Vincenzo :
“Un altro cappuccino,………. senza cacao“
Anche per me , dice il sindaco.
E don Ciccio
“Ci sediamo ? “
“Certo“ risponde il sindaco
“Allora sindaco, preoccupato ? “ fa don Ciccio
“Be’ don Ci, c’e’ da esserlo ! E lo so, ho parlato con i carabinieri ed anche loro sono stati allertati. Ma qui non e’ un fatto di protezione civile“.
Vincenzo ed Anna ascoltavano.
E don Ciccio, quasi in un sussurro.
“Vincienzu ed Annuzza teninu i ricchije chiu’ longhi i nu ciucciu“.
Il sindaco sorride.
Intanto entrano molti altri avventori.
Al banco od al tavolo .
Vincenzo quasi in silenzio
“Cafe’? “
Cenni di testa.
Don Ciccio alza la voce.
“Dicevo che non e’ un fatto di protezione civile. A questo problema non potete rimediare , ne voi, ne’ io. Io credo che quanto vi ha riferito il maresciallo sia la cosa più logica, in questi casi“.
“Si, ma io in chiesa , che c’entro“.
Dice il sindaco
“Sindaco, se convocaste il consiglio, la gente crederebbe che siete in grado di fare qualcosa, e noi sappiamo che non e’ vero. In chiesa siete come gli altri, ma la vostra presenza può dare il segno che la politica non può fare nulla e nessuno vi accuserebbe di alcunché , anzi un sindaco che si rivolge al Signore e’ apprezzato come uomo.
Ma soprattutto la vostra presenza eviterebbe scene di panico, un sindaco e’ sempre un sindaco. In questi casi occorre parlare alla gente“.
Il sindaco era stato attentissimo, poi dice
“Don ci , se voi dite così forse e’ giusto. Ma ditemi davvero avete telefonato in america ?.”
E don Ciccio
“Sindaco, a voi hanno detto cose diverse dalle mie ? So che anche voi avete telefonato“.
“E chi ve lo ha detto don Ci’. “
Chiede il sindaco
“Na palummella. A stessa ca ma dittu ca u maresciallo che ha telefonato allu capitanu che ha subito telefonato al capo di gabinetto e questo ha avvertito il prefetto. Pe’ essiri na cazzata ha fattu troppa strada. Vi pare? “
Ribatte don Ciccio
“Allura vua dicite ca è jiri in chiesa. E quale? “.
La domanda del sindaco appare un po’ stupida
“Alla matrice. In questi casi si va nella chiesa principale“.
Don Ciccio mette la mano alla fronte come a porgere un saluto
“Allora vado!. “
Conclude il sindaco
“Con la famiglia, chiamate vostra moglie e vostro figlio. E la giunta .U stessu. Dice don Ciccio
“!E pua?. “ fa il sindaco
“I carabinieri davanti a ghiesia . I vigili in giru, pe’ lu paisu. Ogni quartu d’ura vani veniri a diri i novita’.” Continua don Ciccio
“E chi manu i diri?”.fa il sindaco
“Nenti, ma a genti unn’addi sapiri. Accussì a gente capisce ca vua pregati ma stati faciunnu ancuna cosa…..”
Poi il sindaco sempre più perplesso
“Se, don ci; ma dicitimi na cosa. Ma vua chi pensati, chi po’ succediri?”
E don Ciccio
“Sinnucu mia. S’u munnu nun ricumince a girari su cazzi pe’ tutti. A duv’e nua u sulu un’nasce chiu’ e senza sulu nua un potimi campari. Se il mondo restasse fermo avremmo poche zone vivibili ma la nostra non lo sarebbe”.
“Allora io vado”. Fa il sindaco e poi aggiunge “E vua?.”
“Vi raggiungo tra poco”. Dice don Ciccio
Il sindaco va via.
Vincenzo.
“Don ci’ ?”
E scosse leggermente il capo a dire : “Chi?, o meglio, c’amu fari?.”
“Vici’ . S’un nasce , su cazzi. Pe’ tutti.”
E don Ciccio esce
Quinta scena
La chiesa era piena.
Molte macchine davanti la chiesa .
Arriva il sindaco con la macchina dei carabinieri.
Porta la fascia di primo cittadino.
Sale le scale.
Appena entra in chiesa si fa il segno della croce.
E dentro la chiesa
„U sinnicu, u sinnicu“.
E mentre si avvia verso l‘altare la gente „Sinnicu dicitini ancuna cosa”.
Il sindaco saito sull’altare , parla con il prete e poi rivolto ai fedeli.
“Cari amici, il momento e’ grave. La terra si e’ fermata ; in alcune parti come da noi c’e’ la notte, in altre il tramonto, in altre l’alba , in altre il pieno giorno. Il fenomeno e’ inspiegabile.
Gli scienziati stanno studiando questo fatto che non e’ mai avvenuto, ma non riescono a capirci niente. Il governo e’ impotente. In questo momento i capi di stato sono in riunione a Bruxelles. Noi non possiamo niente. Se non pregare. Pregare come non abbiamo mai pregato. Pregare che il signore che faccia risorgere il sole”
dal pubblico dei fedeli si sente “ Sinnicu….. e sun n’asce?.”
“Prenderemo i provvedimenti giusti ed opportuni. Saranno azioni concertate con tutto il mondo. Non sarà facile, ma con l’aiuto del signore ci riusciremo”.
Poi, prima ancora che altri facessero domande, porge il microfono al parroco.
“Ave Maria….”
La chiesa si riempie di un brusio sommesso, ma consistente .
Il sindaco si siede in prima fila .
Ogni tanto si avvicina un vigile od un carabiniere.
Intanto sale anche don Ciccio.
Il brusio delle preghiere si interruppe.
“E’ don Ciccio. Ah , manu dittu ca illu u sapie. Dicica ci’l’a spiegatu a tutti . Adduvu s’e’ assettatu. Unnu vidu. E’ la’ arrieti a colonna. Vì si ci portunu na seggia, vi’?.
Fa zia Maria seduta in seconda fila .
Poi insiste con una donna vicina:
“Facci signu, facci signu, a don Ciccio, ca ni stringimu”.
Ma poi si gira lei, guarda l’amico e dice
“Ci’, Ci, vieni”.
E le donne si stringono.
Don Ciccio capisce, percorre a lenti passi la navata centrale e si siede.
“Buon giorno Ci”.
Dice Maria
“Buongiorno, Marì”.
Risponde don Ciccio
“Cum’unne’ tu alla ghiesia?”
Insiste Maria e don Ciccio
“Eh … quannu c’e’ bisuognu ,u sa ,mi furgu sempri. Ma ,ma dicimi, chi voliti sapiri?
Poi Maria un po’ piccata dice:
“No, nenti,……chi ti piensi ca te fattu posto pe’ sapiri?”.
“Se”. Risponde Ciccio
Le donne intorno si guardano
“Mancu mo, u pugljiamu pe fissu. Aviti ragiunu, don ci. Volimu sapiri, chi ni pensati”.
E don Ciccio brevemente le informa.
Appena finito il banco rimane vuoto.
E così quello di dietro.
Le donne, si sa hanno un buon udito, certe volte sentono anche il non detto.
Ognuna di loro prende posto in un altra fila e si mette a raccontare .
Don Ciccio volge la testa verso la zia Maria e le fa un piccolo segno di intesa .
La zia Maria dice. “Ci’, ti spagni?”
“No, Mari’, E’ gia’ prenotatu u bigliettu pe’ l’america. La’ a nevi jorchi su li setti da sira, fa friddu ma almenu e’ juornu”. Dice Ciccio
“Eh, tu si chiu’ guagliunu i mia” fa Maria
“Marì si vo veniri adduvu vaiu iu c’e’ postu puru pe tia” dice Ciccio
“Ti ringraziu ma iu signu vecchia”. Dice Maria e poi
“A vua vi pigljunu tutti, vua siti intelligenti…”
“E a tia puru, Mari’, tu si saggia e puru bona i cori. Pensici. Conclude Ciccio
“Seh, ci pienzu. Ma a vo sapiri na cosa?”
Fa Maria
“Zi mari, u sacciu chi pienzi”. Completa Ciccio
“Ni si sicuru?.” Fa Maria
“Se!. Tu piensi ca un c’e america ca tene, si daveru u munnu s’e’ fermatu un c’e’ misericordia pe’ nessunu.”
Dice Ciccio.
“Cià ncarratu, tu daveru sa lejiri u coru da genti. Ma puru iu Ci’.Fa Maria
“E dintra u miu chi c’e’ scrittu ?”.
Chiede Ciccio.
E Maria lo guarda e risponde
C’e’ scrittu ca tu sa ca u sulu ritorne. E ca a genti s’arricorde pe’ sempri i su fattu e nu pocu divente chiu’ bona. Peccio’ ha mannatu u sinnicu alla ghiesia, cu tutta a famiglia e cu tutta a giunta”.
Poi Ciccio
“Zi mari, ma dicimi na cosa. Tu daveru ha pensatu ca tuttu u malu hanu fatto loru?”
E Maria
“No, no ci’. A prima peccatricia signu iu. Ma certu un signu sula.”
“E china unni tene, oj Marì?.” Fa Ciccio
“E’ sempri dittu ca ognuno tene lu muortu intra a cascia. China tuttu sanu e china nu jiritiellu. A fricatura e’ ca i casci su sempri chiusi Nessunu i nua ci va sbie, ogni tantu.
Nessunu ca guarde versu arrieti pe’ vidiri si supra a strada da vita sua ci’a lassatu rose o spini. Ognunu si guarda la viertula sua, i sentimenti su favuzi, ed la vita e tutta na cummedia , cum’e’ chissa jojata ca stamu faciennu”.
Maria : Cì u sa chi penze la gente ca e’ ca’ ddintra?. Penze ca e’ misa bona Si c’e’ lu sinnicu ca sa sempri vistu a viertula sua a cosa e’ bona. Seh,… si si perde d’illu ni perdimu tutti, si si sarbe d’illu ni sarbamu tutti.
E Ciccio: “E lu signuru?.”
Maria “E sulu nu strumientu, na scusa . Peccio’ ha fattu veniri u sinnico?”.
Ciccio “Se, Mari’”.
“Ma si pua u sulu d’esce illu s’inni vante” . dice Maria
“U sacciu. Dice Ciccio. Ma intanto e ca’ cumu tutti l’atri e vi ci’ha truvatu. Scommettu ca a ghiesia ha raputa tu”.
E Maria :”China t’a dittu?”
E Ciccio: “Na palummella. Puru ca un c’è sulu , ci su sempri i palummelli.”
Don Francesco, intanto, tiene una omelia sulla fine del mondo e schiaffeggia le coscienze di tutti.
Stanno tutti con la testa china.
Ancora non comincia ad albeggiare.
“Mari’ sta nascijennu u sulu”.
“Cumu u sa’, Ci’?” chiede Maria
“Ohj, mari, un tinni si accorta ca a temperatura s’e’ dazata; ca fa menu friddu i prima”. Dice Ciccio
Maria sbatte la capu.
“Chide’ Marì”. Fa Ciccio
“Ohi ci, si sempri chiu’ spiertu”. Gua’, Ci’, s’a cosa se’ risolta ti mieriti nu cafè”. Dice Maria
“Minnè pigliati già dua”. Fa Ciccio
“Di mia, no”. Dice Maria
“Va buonu, jamuninni”. Dice Ciccio
E si avviano sotto braccio verso l’uscita.
La gente li guarda.
Ciccio da un lato e dall’altro la zia Maria
“Ni jamu pijiamu nu cafe, vua continuati, ca n’atru pocu nasce lu sulu.
Ma unn’a lassati a ghiesia finu a quannu unnu viditi chinu. M’arraccumannu”.
Così disse zia Maria alle sue amiche ma facendo in modo che sentano tutti.
La gente ci guarda strana, ma con dentro un sentimento di speranza.
Dopo poco più di mezzora sentiamo le campane suonare a festa , i clacson delle macchine strombazzare.
Era nato il sole, la gente tornava per le strade.
Era finita la brutta paura.
Don Ciccio si avvia verso casa .
Ma la gente era tutta distratta , nessuno si interessa di lui.
Però non era andata male, la zia Maria fa sempre un buon caffè.
Giuseppe Marchese
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Ciccio e Giovanni camminano per raggiungere la solita panchina del lungomare.
Cicciu:” Giuva’ , t’arricuordi quann’erimu guagliuni, ca ijumu alla scola a pedi, e certi voti l’acqua cià jettavi culli cati ed arrivavumu alla scola tutti ‘nfusi da capa alli piedi?”.
Giuvanni : “Uhm, …..”
Silenzio.
Giuvanni: “ Ci’, chi vo diri ?”
Cicciu “ e t’arricurdi ca alla scola ni davunu na tazza i lattu e nu piezzu i pani?”
Giuvanni “ Uhm,……”
Silenzio
Giuvanni: “ se, compa’, ma chi vo significari? “
Cicciu: “ vuogliu diri ca mo i niputi mia mangiunu i merendini e vanu alla scola cullu purminu”
“Vuogliu diri ca i tiempi su cangiati”
Giuvanni: “Compa’, tieni arraggiunu, alli tiempi nuostri ere n’ atra cosa. Tu parri i quannu a bonanimi i papa’ jive a zappari da matina alla sira, e quannu turnave ere stancu muortu ca un sa fidave mancu a parrari: dave chillu ca s’ere abbuschjatu alla mamma e si jive a curcari”
Cicciu: “ se, ere lu tiempu ca papa’ un truvave lavuru e la mamma, penni fari mangiari ancuna cosa jive a lavari i panni allu jumu”
“ Pero’ alla scola un faciunu tri pisi e tri misuri”
“ M’arricuordu ca u maestro miu minave chiu’ palati allu figlio ca a nua”
” E m’arricuordu ca iu e li frati mia jivumu alla scola, e grazie alli borsi i studiu nun sulu ni vestjiumu , ma ci mangiave tutta a famiglia “
“ E pe’ nnua a scola ere nu lavuru, ca i borsi i studio un si vinciunu sunn’avij daveru studiatu”
Silenzio
Cicciu: “E mo ?”
“ Mo adduvu su li sacrifici ? “
“ Pari ca tutti tenunu tutto “
“ Machini, motorini, telefonini”
“T’annu m’arricuordu ca papa’ ha pigliatu i piezzi i tri biciclette pe’ nni fari una, ca avije di jiri a lavurari a Falerna e ncapa a canna si purtave puru u compariellu sua, ca unn’avie mancu na bicicletta e senza lavoru i quattru figli morjiunu i fame”
Giuvanni :” Compa’ ta puozzu diri na cosa ?. Un t’incazzi ,eh ?”
“Ma pecchi’, oji fa si discursi ?
E’ bontiempu, ce’e lu sulu, stamu buonu, unne’ successu nente ….
O e’ successu ancuna cosa ed iu unnu sacciu ?”
Cicciu: “No cumpa’, c’e’ lu sulu, stamu buonu e unne’ successu nente, “
Giuvannu “ Eja’, ca ti canusciu !. Quannu fa accussi’ ti si ncazzatu “
Cicciu: “ No Giuvà, un signu ncazzatu, signu preoccupatu !”
Io ormai l’anni mia mi le fatti , u Signuru quannu vo, mi po’ chiamari e nun tiegnu mancu voglia i scappari.
Ma ancora un signu ne’ cecatu, ne’ rimbambitu, e li cosi i vidu , e cumu si i vidu, e purtroppo ancora i capisciu!.
Ma tu un vidi nenti ntuornu ?
Na vota a genti avie fame ma ere bona. S’aiutave una cu l’atra, ca nu mazzu i scarola e quattru patati passati alla tiella d’inchjiunu a panza e nun divacavunu a sacchetta.
Ni chiamavumu tutti compari e ni rispettavumu.
Tantu, u quazunu culli pezzi allu culu aviumu tutti e lu cappottu nessunu.
E mancu i ricchi stavunu buonu e pe campari si vinniunu i terri.
Pu e’ venutu u benessere, su venuti i pensioni, pensioni a tutti, puri a chilli ca unn’aviunu lavuratu, pensioni i fami, se, ma sempri pensioni.
E’ venuto u statu, ca aiutave a tutti, stampave sordi ed aiutave.
E tutti ni simu illusi.
E siccome erimu ‘illusi du benessere, pecchi avijmu fari patiri alli figli nuostri a fame ?
Nua erimu jiuti culli quazuni chjin’ i pezze allu culu, ma alli figli nuostri ciavijumu i dari i meglj vestiti !
I nuostri quannu si spusavumu faciunu a festa.
Nu piattu i maccarruni i ziti, fatti alla casa, na carrocchia i vinu, nu piattu i lupini, quattro alivi ammaccati e nu piezzu i panu.
E si facie festa. E chi allegria!
Pua, amu fattu a gara a china avjie chiu machini allu matrimoniu e chiu’ mmitati allu ristoranti.
E mo’ ?, mo a gente si spagne.
Lavuru, cumu na vota, un sinni trove.
Eppuru i terri su sievudi e lu mari e’ sempre chijnu i pisci.
Ma l’ industrie chiudunu.
Ormai u frigoriferu avimu tutti, a televisione puru, u motorinu puru e la machina puru, ma un’navimu mancu i sordi pè pagari l’assicurazioni.
Na vota a luce a sparagnavumu, mo campanìe.
I panni i lavavumu allu jumu, mo avimu a lavatrice, ma un pagamu mancu a bulletta i l’acqua.
“Giuva’ ,unne’ c’ amu fattu u passu chiu’ luongu da gamma e stamu pe’nni truvari cullu culu ‘nterra ?”
“Na vota i giuvini jivunu a fari i camerieri in Svizzera, i zappaturi in Francia, l’operai in Germania e li minaturi in Belgio, mo puru i cipulli i facimu coglieri alli marocchini”
Giuvanni: “ Compa’ mi sta mintiennu n’angoscia!.
Un ti disperari , vo ddiri ca quannu va mali tornamu a fari l’emigranti, e cuminciamu dape’ “
Cicciu : Forsi tieni arraggiunu .
Ma tu ci vidi i niputi nostri ca vanu a lavorare in Germania ?
Niputta Giuva’ tene lu diploma du liceu, mi sbagliu ?
Culla filosofia ca studiatu pò jiri a fari …… u muraturu?, no, ca unnu sa fari, u contadino?, no, ca un sa chi de’ na zappa, ………bu?
Inveci niputima culla ragioneria pò jiri a fari ………..u stessu i niputta.
Giuvanni: Compa’ ta puozzu diri na cosa, ma me jurari c’un t’incazzi.
Tieni arraggiunu tu, avimu sbagliati tuttu, avimu datu puru u culu pè tirare avanti onestamente a vita nostra e di figli nuostri, erimu abituati sulu alli doveri e nunn’ avimu mancu avutu a possibilità di sapiri, i diritti .
Ni simu illusi ca pe li figli nuostri era tuttu facile, ca u malutiempu ere passatu e ca venie lu sulu, pe tutti, senza ‘mmidia.
Mo ca mi ci fa pensari senza a pensiona mia un sacciu cumu potisse fari figlijma .
Quannu jamu alla posta alla piglijari avidu sempri pensusa.
Certi voti ci le chiestu, ma un ma mai rispostu.
Unne’ ca mi fa mancari ancuna cosa, o ca un mi dune cunfuortu, almeno illa.
Ma sulu quannu vene Natali e piglie la tredicesima ci vene lu sorrisu, na vota almeno.
Mi fa veniri certi dubbi!
Unne’ ca ma fattu a capa acqua pe smettiri i fumari sulu pe risparmiari cientumilaliri u misu?
Silenzio………………….
Poi come uscendo dal trance
Giuvanni : E chi potimu fari, compa Ci’ ?
Cicciu: Nenti Giuva’, propriu nente, ca cumu facimu, facimu sbagliamu; almeno chissa e’ la storia nostra.
Potimu sulu campari, u chiu’ possibile, sperannu ca i tiempi cangiunu, sperannu ca i figli e li niputi nuostri mintunu i sienzi.
Giuva’ godimuni u sulu, ca e’ lu stessu di tiempi nuostri
Forse.
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Esiste un popolo di “eroi” che si nascondono dietro uno pseudonimo e commentano gli articoli sul web con interventi che mostrano la acredine con la quale vivono la loro esistenza.
Gente che ha paura di esporsi, gente pavida, senza coraggio.
E’ il tuo caso Minnacchio.
Il problema è che talvolta la penna ti scivola ed esprime tutta la tua rabbia, contro tutti e tutto.
Una rabbia che è figlia della arroganza di giudizi che sono figli della tua pochezza culturale e di animo.
La fregatura è che poi qualcuno si arrabbia e sporge querela.
Una querela che muove un procedimento tecnico amministrativo per noi fastidioso .
Sai bene a cosa ci riferiamo.
I tuoi commenti colpiscono molti, noi compresi, verso i quali hai usato parole ingiustificate che noi abbiamo letto soltanto quando ci è stato segnalato un tuo commento al nostro articolo “Giuseppe Sabatino e Francesca Menichino in tribunale”.
Dal tuo commento è derivato il procedimento penale 876/16 aperto presso la Procura della repubblica di Paola.
Gli altri tuoi commenti( sul nostro e su altri siti web) non li abbiamo nemmeno letti.
Qualcuno lo abbiano trovato solo adesso per inviarlo alla Polizia Postale nella speranza che riesca a sapere chi tu sia.
Sapessi quanto gradiremmo sapere chi sei per dirtene altre quattro quando ti incontreremo, magari davanti ad una tazza di caffè che inconsapevolmente avremmo potuto offrirti supponendoti una persona moralmente per bene.
Ma tu sai che non è così. Tu non sei una persona per bene, tu sei un ipocrita, un falso, come è quella persona che volontariamente pretende di possedere virtù, ideali, sentimenti, emozioni che in pratica non possiede.
Una persona ( non suoni offesa per le vere persone) che non avendo il coraggio di dire a se stessa tutte le proprie deficienze le ascrive ad altri.
Sai che carabinieri e Polizia Postale ti stanno inseguendo e noi speriamo ti raggiungano e ti fermino, tanto che ormai non ti fai più sentire con i tuoi beceri commenti su tutti e tutto.
Così vorremmo suggerirti di valutare la opportunità di chiedere scusa a tutte le persone che hai offese, nella speranza che rimettano le querele.
Valuta con attenzione il nostro suggerimento.
Forse è l’unico modo per evitare di essere portato nella sala udienze del tribunale di Paola, dove arriveresti con gli occhi bassi, magari sostenendo che si è trattato di uno scherzo politico e goliardico, di un equivoco.
Sai ai pavidi come te basta poco per perdere la faccia!
Ed una volta che sarai stato scoperto ognuno potrà capire la tua matrice “fascista” ( senza offesa per i fasci stima tu intendi, vero?) e l’uso reiterato del temine “sodale” di cui abusi ogni volta che scrivi.
Ti ricordi?
- “C’è la garanzia di zio………sodale occulto di ar- “
- “Grande……….., pochi gliene hai dato a questi sodali,( che) sono soldatini di….)
- “..non sono state riportate all’attenzione dei giudici rimarcando una sorta di complicità sodalica……”
Permettici di omettere i nomi perché forse non hanno avuto il piacere di leggere i tuoi insulti, ma stai certo che se sarai scoperto ci pregeremo di avvertirli.
Certo che la tua malattia è grave se passi dalla affermazione “Stupenda”, apposta il 2014-06-01 20:57 su Webiamo al titolo “ La lista Mazzei nel rispetto dello sloganelettorale hanno riaperto la mitica cantina...così possono fare.......na mbrishcula, na quarta e na gazzosa, luppini, pinozzi..
a quella di cui al punto 1)
minnacchio tacchio 2014-06-01 20:57 stupenda..
Perchè ce l’hai, a turno, con tutti i politici? Se forse un politico mancato?
Giuseppe Marchese
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Comunicati - Sport - Giudiziaria
Un folto ed attento pubblico ha partecipato alla “prima” de “Alle soglie dell’ultimo giorno”,la nuova opera di Sergio Ruggiero.
Intense ed applaudite le letture di Maria Cuzzilla,la introduzione di Enzo Giacco segretario del PD di Amantea e le relazioni di Roberto Musì e Giuseppe Marchese del circolo culturale “Lo Scaffale”.
Questo l’intervento di Marchese:
“Signore e signori, buona sera,il mio amico Sergio Ruggiero mi ha chiesto di parlare brevemente della sua ultima opera “Alle soglie dell’ultimo giorno”, un compito arduo al quale mi accingo con qualche difficoltà, non perché mi manchino le parole, ma perché è realmente molto difficile sintetizzare in poche righe le emozioni che a distanza di giorni dalla lettura di questo straordinario romanzo, ancora, conservo vivide ed intense .
Chiudendo delicatamente l’ultima pagina del nuovo romanzo di Sergio mi sono reso conto che era finito, che non potevo andare oltre; al più potevo cominciare a rileggerlo, questa volta, magari, più lentamente, piluccandolo, soffermandomi su personaggi, luoghi, momenti storici, vicende, fatti, amori; magari ritornando indietro all’inizio del capitolo per meglio apprezzarne l’essenza ed il significato che lo scrittore aveva voluto offrire alla nostra valutazione.
E così ho fatto, scoprendo di avere, con facilità, superato la iniziale difficoltà, incontrata nella prima lettura, ad entrare con pienezza nella conoscenza di un momento vitale ed importante, ma nel contempo poco conosciuto, della storia calabrese ed amanteana e nel corretto apprezzamento dell’opera.
Come in tutti i suoi precedenti romanzi ancora una volta Sergio Ruggiero intende colmare la generale scarsa conoscenza della nostra storia, anteponendo alla scrittura della sua opera una intensa ricerca che, sappiamo, lo ha fortemente impegnato, inducendolo a confrontarsi con cultori di storia medievale anche di altre regioni, con ricercatori e docenti universitari.
Ricordo, a me stesso , prima che a voi, che la presenza araba ad Amantea, finora, ha potuto avvalersi di pochi contributi tra cui “Gli Arabi ad Amantea: elementi di documentazione materiale” della professoressa Cristina Tonghini , lo studio sui termini arabi nel territorio di Amantea condotto da Giuseppe Staccioli, ricercatore del CNR, la ricerca della miniatura del Synopsis Historiarum” “scovata” dall’internauta Giuseppe Sconzatesta, e poi diffusa dal cenacolo “Lo Scaffale” (l’assedio bizantino di Niceforo Foca ad Amantea nell’anno 886 d.C.), gli studi di Enzo Fera, Francesco Amato ed una pregevole e completa relazione del professor Roberto Musì.
Ora Ruggiero ci permette, con il suo romanzo, non solo di conoscere una parte della storia della presenza saracena ad Amantea , ma di respirare la società amanteana di quegli anni e le modificazioni che la città ha subito dopo la conquista da parte degli “infedeli” e che comportò non solo la scomparsa della religione cristiana , ma anche forti modifiche del dialetto, degli usi , dei costumi e della stessa gastronomia .
In questo contesto storico nascono, si sviluppano e muoiono, dolcemente o drammaticamente, intense storie d’amore , di amicizia, odi, battaglie, guerre, .
Ma soprattutto, si snoda dalla prima all’ultima pagina la storia dell’angelo che muove alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza, trionfo del Bene sul male , conferma della necessità della Speranza, quella che offre conforto nella disperazione, quella che aiuta a superare tutti i momenti difficili, quella che oggi spinge migliaia di profughi al giorno a lasciare le proprie terre verso luoghi dove poterla esercitare.
Potrei continuare a lungo ma mi fermo volutamente a queste brevissime considerazioni per non togliervi il piacere di leggere un grande romanzo che saprà avvincere e convincere il lettore ed imporsi nel panorama letterario italiano.
Chiudo ringraziando l’autore Sergio Ruggiero ed invitandolo a continuare, l’editore Mannarino per l’attenzione che ha verso gli scrittori Amanteani ed il PD per l’attenzione avuta verso l’autore e a sua ultima opera, acchè solleciti l’attenzione dell’ amministrazione verso la cultura, magari ridando alla nostra città la civica biblioteca della quale nulla si sa più ed aprendo in essa una sezione di storia e cultura locale dove poter leggere anche i libri degli scrittori locali.
Grazie per l’attenzione Amantea 25.8.2015 Giuseppe Marchese”
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