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Chiuse dal pm di Catanzaro Guarascio le indagini sul consorzio di bonifica "Alli Punta di Copanello" e sulla parentopoli nella selezione del personale. Assunzioni per la diga fantasma( vedi foto il cancello chiuso), il commissario del consorzio di bonifica “Alli Punta di Copanello”, Grazioso Manno, deve rispondere dell’accusa di abuso di ufficio. Il sostituto procuratore Domenico Guarascio ha chiuso le indagini sulla vicenda raccontata nel terzo numero del Corriere della Calabria. Nove assunzioni che secondo l’accusa sarebbero avvenute in violazione delle normative che prescrivono per gli uffici pubblici il ricorso a graduatorie degli uffici di collocamento o comunque in seguito a procedure selettive improntate a trasparenza, economicità ed efficienza. Al contrario Manno con tre diverse determine avrebbe assunto a tempo indeterminato nove persone a chiamata diretta «senza mai indicare l’eventuale normativa di settore derogante i principi e le prescrizioni legislative». Le 9 assunzioni erano invece giustificate con la presunta necessità «a seguito dei lavori di realizzazione della diga sul fiume Melito, di adeguare l’organizzazione di tutto il personale per garantire una maggiore efficienza operativa». Ma per il pm Guarascio al contrario «risulta accertato come, per il periodo indicato nelle determine di assunzione, i lavori per la realizzazione delle diga sul Melito risultano sospesi; i locali tipo containers, in cui si sarebbe dovuta svolgere l’attività amministrativa alla base delle citate assunzioni non sono mai stati utilizzati». Tre gli atti del Consorzio finiti nel mirino della Procura. La determina numero 6 del 2009 con cui a tempo indeterminato sono stati assunti Antonio Rotella, Aurelia Rania, Francesco Schipani e Paolo Bongarzone. Successivamente con il provvedimento numero 7 sempre del 2009 venivano assunti Alfredo Durante, Paolo Drosi, Stefania Amato e Maria Primerano. Infine all’inizio del 2010 otteneva un contratto a tempo indeterminato Lucia Placanica. Manno avrebbe così procurato ai 9 assunti un «ingiusto vantaggio patrimoniale». In due casi, inoltre, due degli assunti sono stati poi “comandati” presso altre amministrazioni: Durante all’Arcea, la Primerano presso la struttura degli uffici del vicepresidente del Consiglio regionale Pietro Amato. Quello chiuso oggi dal pm Guarascio è solo un filone delle indagini sulla diga del Melito, l’eterna incompiuta costata fino adesso decine di milioni di euro.

INDAGATO E FELICE «Non sapevo nulla che ci fosse un'indagine in corso nei miei confronti. In un momento di grave crisi economica e di disoccupazione galoppante è strano che io venga indagato per aver assunto del personale». Così Grazioso Manno commenta la chiusura dell'inchiesta della Procura di Catanzaro. Il commissario del consorzio di bonifica “Alli Punta di Copanello” aggiunge: «Con tutto il rispetto che debbo alla magistratura, tant'è che spesso in passato mi sono rivolto ai magistrati per denunciare alcune vicende, sono felice di essere indagato per aver assunto. Sono assolutamente sereno per questa vicenda poiché le norme mi consentono, come consorzio di bonifica, di assumere senza concorsi, nel pieno rispetto dello Statuto consortile e del piano di organizzazione variabile consortile. Questo è quanto dichiarerò ai magistrati quando e se sarò chiamato ( Il Corriere della Calabria)

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Petronà. Un uomo corre per strada imbracciando un fucile, bloccando le auto in transito, in mezzo ai pedoni attoniti. Esplode due colpi e ammazza il suo rivale. Eppure, interrogati, nessuno ha visto niente. Una situazione incredibile, evidenziata oggi dal procuratore di Crotone, Raffaele Mazzotta, nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro per l’arresto dell’uomo che ha ucciso ieri il dipendente comunale di Petronà (Catanzaro). «I cittadini hanno dimostrato una insensibilità collaborativa – ha detto Mazzotta – perché assistere dalla finestra alla lotta tra Stato e anti Stato è troppo comodo». Un’accusa molto forte, perché il filmato acquisito dai carabinieri della Compagnia di Sellia Marina ha dell’incredibile. Nelle immagini delle telecamere di uno studio commerciale si vede la vittima, Claudio Rizzuti, 57 anni, camminare sulla strada principale del paese, preceduto da un altro passante. Quindi, alcune auto in transito e altre persone che incrociano e salutano l’uomo. Improvvisamente, tra le auto e i pedoni, compare l’assassino, Francesco Rocca, 37 anni. Imbraccia un fucile. Dribbla auto e passanti e fa fuoco. Qualcuno allarga le braccia sconsolato per l’efferatezza e la spavalderia dell’omicidio, compiuto alle 17 davanti la chiesa madre del paese. All’arrivo dei carabinieri, grazie alle indagini, tutti vengono sentiti. Nessuno, però, dice di avere visto quell’uomo con il fucile. Qualcuno fa solo riferimento a due colpi sentiti in lontananza. «Non è possibile che in pieno giorno, con esercizi commerciali aperti e gente per strada, nessuno abbia visto nulla – evidenzia il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Salvatore Sgroi – questo non è senso civico. Qualche colpo poteva andare a vuoto e colpire qualcuno. Denunciare cose simili non vuol dire essere spioni». Fondamentali i riscontri investigativi dei carabinieri della Compagnia di Sellia Marina, guidati dal capitano Giovanni De Nuzzo, i quali hanno prima stretto il cerchio intorno all’assassino, ponendolo nella notte in stato di fermo, grazie ad una serie di elementi, quindi hanno acquisito le immagini delle telecamere che, da sole, non sarebbero bastate perché poco chiare. Per il capitano De Nuzzo, «durante le operazioni di rilievo, da una parte si notavano gli inquirenti, impegnati a lavoro, dall’altra la gente, ma nessuno si è avvicinato per dire quello che aveva visto». I militari dell’Arma hanno, comunque, avviato indagini che potrebbero portare i presenti ad essere denunciati per favoreggiamento in omicidio. Secondo i riscontri investigativi, tra Rizzuti e Rocca ci sarebbero stati vecchi risentimenti, compreso una ipotesi passionale che vorrebbe il primo amante della moglie dell’omicida. In passato, inoltre Rocca era finito a processo con l’accusa di avere dato fuoco ad un’abitazione estiva di Rizzuti, proprio per vendicare uno sgarro. Ieri l’epilogo e l’omicidio plateale nella piazza del paese. Gli inquietanti retroscena dell'assassinio del dipendente comunale colpito ieri nel catanzarese, davanti la chiesa madre. Le riprese delle telecamere mostrano le fasi dell'agguato: auto bloccate e passanti attoniti, ma nessuno parla. Il procuratore Mazzotta: «Così è troppo comodo». Testimoni rischiano l'accusa di favoreggiamento in omicidio
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Aveva accumulato in casa oltre due tonnellate di corrispondenza che avrebbe dovuto consegnare. Un postino C.G. 34enne originario di una regione del nord Italia e residente a Santa Severina( Crotone) e' stato scoperto dai carabinieri e denunciato. L'uomo deve rispondere di peculato, interruzione di pubblico servizio, Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commessa da persona addetta al servizio delle Poste e Sostituzione di persona. L’incredibile scoperta è stata fatta dai Carabinieri della Stazione di Santa Severina, nel crotonese. Durante una perquisizione nel suo domicilio e’ stata rinvenuta l’abnorme quantita’ di corrispondenza mai recapitata. Da diverso tempo il Comandante della Stazione, maresciallo capo Cefalo, registrava le lamentele dei cittadini che segnalavano ritardi inspiegabili nella ricezione della corrispondenza o di non vedersi recapitare da mesi alcuna lettera. E’ iniziata quindi un’indagine, con l’acquisizione di informazioni e monitoraggio del sistema di smistamento e consegna della corrispondenza. Tutto sembrava essere in regola, dallo smistamento nell’Ufficio zonale della vicina Rocca di Neto fino a quello di Santa Severina ed Altilia. L’attenzione degli investigatori si e’ soffermata quindi sull’ultimo anello della catena di smistamento della posta, ovvero il portalettere del paese. Giovane, nato al Nord ma residente in paese, doveva essere lui presumibilmente il fattore discriminante della questione. I Carabinieri cosi’ hanno cominciato ad osservarne gli spostamenti nell’arco della sua giornata lavorativa, notando che l’uomo, dopo aver prelevato ingenti quantita’ di posta dall’ufficio di Rocca di Neto, tornava a casa dove rimaneva per lunghe ore, per poi uscirvi senza i plichi postali. Da qui la decisione di effettuare una perquisizione domiciliare alla prime luci dell’alba. Nell’appartamento c’erano alcuni cestelli delle Poste Italiane, con dentro numerose lettere datate anche da settimane. A quel punto il portalettere ha addotto come motivo un’ indisposizione di salute che negli ultimi giorni gli avrebbe impedito la regolare consegna delle lettere. Tuttavia quando i Carabinieri hanno preteso di perquisire anche il box-cantina dove e’ stata rinvenuta una quantita’ indescrivibile di corrispondenza accatastata. A quel punto l’uomo ha ammesso le sue colpe. Ma non era ancora finita. Il comandante di Stazione ha controllato anche il garage dell’abitazione materna dell’uomo, dove c’era un carrello da traino stradale stracolmo di posta, oltre ad altri ulteriori scatoloni con dentro la piu’ svariata corrispondenza.
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