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Redazione TirrenoNews

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Riceviamo pubblichiamo il seguente articolo:

Sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e a 4 anni e 8 mesi, Lorenzo Fimiano e Raffaele Verre, accusati di tentato omicidio, per aver aggredito con un coltello, ferendolo all'addome, il giovane Amanteano (ma residente in Germania), Franchini Marco Daniel, durante i festeggiamenti in onore del Santo Patrono, San Francesco, a Campora San Giovanni, nella notte del 02 settembre scorso.

Lo stesso Franchini, nella notte tra il 02 e il 03 settembre, dovette far ricorso ai sanitari dell’ospedale civile di Lamezia Terme che lo sottoponevano ad un intervento chirurgico per suturare una ferita all’addome provocata da un coltello.

Il GUP del Tribunale ordinario di Paola, Dott.ssa Mesiti, nel processo con rito abbreviato, sentiti gli imputati i quali rendevano spontanee dichiarazioni, l'arringa dell'accusa, della persona offesa e degli imputati, ha riconosciuto la penale responsabilità degli stessi, condannandoli così come richiesto dalla difesa della parte civile, ad una pena superiore rispetto a quella richiesta dalla pubblica accusa, e condannando gli imputati altresì all'interdizione dai pubblici uffici ed al risarcimento delle spese di costituzione di parte civile, assistita dall'avv. Beatrice De Luca.

La nostra solidarietà ed i migliori auguri di buona guarigione al giovane Franchini Marco Daniel, sperando che per mezzo di tale sentenza riesca a trovare conforto e quella serenità di cui è stato brutalmente privato.

Amantea lì, 29/03/2018                               avv Beatrice De Luca

Un anno fa – più o meno di questi tempi – le esigenze giornalistiche avevano giustamente richiesto la ribalta e la cosiddetta “prima pagina” per i tre arrestati eccellenti dell’operazione “Robin Hood” contro i papponi di Calabria Etica e così le fotografie di Pasqualino Ruberto e Nazzareno Salerno e le accuse contro il dirigente regionale Vincenzo Caserta hanno girato per tutta Italia.

Era passato in secondo piano invece il ruolo fondamentale del “bancomat” di questi papponi. tutti affamati di tangenti e soldi sonanti. Si chiama Ortensio Marano e viene da Belmonte, costa tirrenica cosentina, ad un passo da Amantea. 

I dieci milioni di euro di fondi comunitari stanziati per le famiglie bisognose sono stati trasferiti alla Fondazione Calabria Etica, e da qui girati attraverso un bando ad hoc ad una società privata, la Cooperfin spa dell’imprenditore Ortensio Marano, che in parte li distraeva dalla loro finalità facendoli girare su conti di gestione in modo da utilizzarli per la propria attività finanziaria, in parte li trasferiva direttamente all’ex assessore Nazzareno Salerno, mascherandoli sotto forma di prestito.

Duecentotrentamila euro: un prestito fittizio, secondo gli inquirenti, perché a fronte delle rate pagate dal politico, la società restituiva le stesse cifre per l’acquisto di quote di una società riferibile alla famiglia dello stesso Salerno.

Tutto questo un anno fa. Oggi, a distanza di poco più di un anno – appunto – scopriamo che il “bancomat”, pardon la Cooperfin, ha chiesto e ottenuto il pignoramento dello stipendio alla Regione di Nazzareno Salerno, quasi a voler dimostrare che quel “prestito” non è fittizio… Ovviamente sappiamo tutti che trattasi di mazzetta mascherata da prestito e questa mossa della Cooperfin potrebbe essere la spia di una forma di collaborazione con la magistratura e quindi con la DDA che non promette niente di buono per Nazzareno Salerno e gli altri suoi compari “papponi”.

Ricordiamo infatti che all’epoca hanno ricevuto un avviso di garanzia anche Maria Vincenza Scolieri, 41 anni, Cristiano Giacinto, 43, e Licia Soreca, 34 anni. I tre sono accusati di abuso d’ufficio in concorso “in qualità di componenti la commissione esaminatrice nominata in relazione alla gara indetta dalla fondazione Calabria Etica, per conto della Regione Calabria, in relazione a un partner di service finanziario connesso alla gestione del fondo a favore di coloro che versano in una situazione di temporanea difficoltà economica di cui al progetto “Credito Sociale”, dunque di pubblici ufficiali o comunque incaricati di un pubblico servizio”.

In estrema sintesi, Scolieri, Giacinto e Soreca avevano aggiudicato la gara alla società Cooperfin Spa nonostante fosse palese che non avesse i requisiti per poterla vincere.

Per raggiungere i propri obiettivi, Salerno ha estromesso quei funzionari che volevano escludere Calabria Etica dal progetto, tra cui l’ex dirigente Bruno Calvetta, che subì minacce e forti pressioni riprese anche dalle telecamere del Ros, e infine venne sostituito con Enzo Caserta, finito in manette nell’operazione.

Ruberto allora ha sottoscritto un avviso funzionale a quella selezione del tutto privo dei requisiti minimi per poter essere considerato un bando pubblico, non facendo alcun riferimento al valore del servizio da appaltare e individuando un termine di appena 7 giorni per la presentazione delle candidature, termine, “oltre che illegittimo anche inadeguato, in relazione alla richiesta di presentazione di un “progetto” che contenga proposte migliorative della gestione del servizio”.

Caserta ha poi omesso – pur avendo l’obbligo giuridico di intervenire – qualunque forma di controllo sulle modalità di selezione predisposte da Ruberto, mentre Marano ha concorso in questo in quanto “beneficiario della condotta illecita e negoziatore con Salerno, soggetto, a sua volta, ideatore ed istigatore della complessiva vicenda delittuosa, nonché in ultimo anche beneficiario del prezzo corruttivo che la Cooperfin Spa verserà in suo favore”.

E l’interesse della Cooperfin “non era certo la remuneratività del servizio, ma la disponibilità delle ingenti somme di cui poi avrebbe disposto in maniera assolutamente illecita”.

In definitiva, per il giudice, la predisposizione del “bando” risulta “essere stato chiaramente il frutto di una collusione fra chi lo ha formulato (Ruberto), chi ne ha affidato indebitamente la predisposizione (Caserta), chi aveva interesse a che fosse la Cooperfin ad aggiudicarsi il servizio (Salerno) e chi ne ha beneficiato, non tanto aggiudicandosi il servizio, ma appropriandosi concretamente addirittura della maggior parte (ben l’80% circa) delle somme gestite (Marano).

I 230.000 euro che sono stati trovati a Salerno sono palesemente il ricavato di una tangente. Euro versati al mafioso Salerno in due rate: la prima da 148.484 euro del 02.02.2015, la seconda da 82.255,46 euro, del 17.07.2015.

Le date dei versamenti, specie la prima, sono significative perché corrispondono allo stesso periodo (inizio 2015), quando Calabria Etica versa i soldi alla Cooperfin di Ortensio Marano. Come a dire: non appena i soldi sono stati accreditati e l’affare concluso, si passa al pagamento della mazzetta.

Dicono i magistrati: siamo di fronte ad una chiara mazzetta pagata a Salerno, in quanto ideatore del piano criminale che ha permesso alla Cooperfin di gestire il denaro del Credito sociale. E per giustificare la mazzetta, la cricca capeggiata da Salerno si inventa un prestito. E per “avallare” la tesi del prestito, Salerno versa fittiziamente anche qualche rata del presunto prestito alla Cooperfin. Denaro che Salerno riceveva attraverso versamenti, addirittura superiori all’importo fittizio della rate da pagare, guarda caso, dalla società M&M Management. E di chi è la società M&M Management? Guardo caso di Ortensio Marano, lo stesso che ha ricevuto la gestione attraverso la Cooperfin del denaro destinato al Credito sociale.

Sì, propio lui, Ortensio Marano da Belmonte, il bancomat dei papponi di Calabria Etica ma anche di Calabria Verde, per come abbiamo già documentato (http://www.iacchite.com/calabria-verde-principale-campanaro-le-grandi-manovre-cooperfin-tfr-dei-lavoratori/). Un uccellino ci aveva detto che presto ci sarebbero state novità. Ed aveva ragione. Buona fortuna a tutti!

Da Iacchite- 29 marzo 2018

La storia risalea novembre del 2011.

Nel 2013 , dopo quasi due anni di indagine, viene chiesto il rinvio a giudizio.

I profughi Assisou Abdou, originario del Benin, e Kofi Osei Amoako Osei, originario del Ghana, difesi dall’avvocato Eugenio Naccarato,

Hassane Aboubacar, originario della Nigeria, difeso dal legale Domenico Giordano,

Abdulkadiri Abubakari e Suruikanin Abdul Razak, entrambi originari del Ghana, difesi dall’avvocato Norina Scorza

vennero accusati di avere “in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, tentato con atti idonei, univocamente diretti allo scopo, di cagionare la morte di Monday Nehikhare e Aibizugbowa Hope colpendoli, con un coltello e con bottiglie di vetro rotte.

La morte non si verificò per cause indipendenti dalla loro volontà, costituite dall’intervento di terze persone e dei carabinieri, nonché dall’immediato ricovero presso struttura sanitaria ove venivano prestate le cure”.

Il processo è durato quasi 5 anni.

La lite scaturì per spartirsi un paio di scarpe e qualche vestito portati in beneficenza al centro di accoglienza .

Gli ospiti avrebbero considerato la distribuzione essere avvenuta in modo inadeguato. 

Da qui il ricorso al coltello ed alle bottiglie di vetro rotte.

L’accusa rappresentata Il pubblico ministero Cerchiara aveva contestato un tentato omicidio plurimo, nei confronti di tre migranti nigeriani ospiti del Centro di accoglienza di Amantea, e chiesto 7 anni di carcere per tutti gli imputati.

Il Tribunale collegiale di Paola, presieduto dal giudice Cosenza, accogliendo le tesi difensive, ha assolto tutti dal più grave reato di tentato omicidio.

Il Tribunale ha anche derubricato i fatti in lesioni aggravate.

Da qui la condanna per tutti gli imputati solo a un anno di reclusione con pena sospesa.

Oggi, a distanza di quasi cinque anni, i cinque imputati accusati di omicidio tornano sono liberi .

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